Allarme Colombia

La Commissione europea stanzia 105 milioni di euro a favore della strategia militare statunitense nella regione. L’Italia ancora non si pronuncia su una guerra per il controllo del petrolio, dell’acqua e della biodiversità amazzonica.

 

di Marco Consolo – Liberazione 22-10-2000


Centinaia di guerriglieri delle Farc mentre lasciano San Vicente del Caguan, dove si sono svolti i colloqui di pace. Foto Ansa

 

 

A pochi giorni dalle elezioni statunitensi l’escalation del conflitto colombiano viaggia nel colpevole silenzio dei grandi media occidentali. Gli esperti di “marketing di guerra” studiano a tavolino la “narcotizzazione” del conflitto sociale, per proiettarne su scala mondiale l’immagine distorta di una guerra per il controllo del narco-traffico. Dopo gli “interventi umanitari” nei Balcani, la “guerra alla droga” è oggi il pretesto per rafforzare il dominio imperiale in America Latina. Dopo gli anni delle dittature militari, dopo l’epoca delle cosiddette “democradure”, nel duemila l’imposizione del modello neo-liberale nel continente, anche grazie al ricatto del “debito estero”, passa attraverso una rafforzata presenza militare statunitense in Perù, nell’Ecuador “dollarizzato”, Puerto Rico, Panama, Honduras, Colombia.  

E’ così che, nei mesi scorsi, il Congresso statunitense approva il “Plan Colombia”, un pacchetto di 1.300 milioni di dollari di aiuti militari, con briciole di interventi “sociali” e “contro la povertà” a mo’ di carota. Elicotteri “Black Hawk” e armamenti “made in Usa” per l’esercito di Bogotà, strumento privilegiato del terrorismo di stato, in prima fila nei massacri indiscriminati, nella creazione degli squadroni della morte paramilitari, nel traffico di cocaina. Si getta benzina sul fuoco e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Allo scadere del mandato, l’amministrazione Clinton moltiplica gli sforzi per “pacificare” il continente. La scorsa settimana a Manaus, in Brasile, William Cohen, ministro della difesa statunitense ha attaccato gli omologhi latinoamericani per la “mancanza di appoggio” dei rispettivi governi al Plan Colombia.

L’arroganza statunitense ha fatto sussultare molti dei partecipanti, al “4° incontro dei ministri della difesa delle Americhe”.

L’approvazione di questo piano di guerra ha rafforzato le posizioni più oltranziste dell’oligarchia dominante, e delle forze armate colombiane congelando  il faticoso processo di pace tra il governo e la guerriglia delle Farc-Ep. E i massacri quotidiani non fanno più notizia: decine di sindacalisti, esponenti comunisti, dirigenti contadini e studenteschi uccisi dall’esercito e dai paramilitari

nella più totale impunità. Le pressioni Usa aumentano, e la presenza militare si rafforza in tutta l’area andinoamazzonica.

E’ così che, mentre le provocazioni dell’esercito colombiano (travestito da guerriglieri) alle rontiere con l’Ecuador, Venezuela e Panama si moltiplicano per “regionalizzare il conflitto”, gli Usa hanno risposto al tiepido appoggio al Plan del presidente brasiliano Cardoso, triplicando i dazi doganali per le merci brasiliane.

 

E l’Europa?

Fino a pochi giorni fa i governi europei (con l’eccezione della Spagna di Aznar) erano restii ad appoggiare un piano che non affronta i problemi sociali. Ma il 17 ottobre la Commissione Europea ha stanziato 105 milioni di euro di appoggio al Plan. Sono stati premiati così gli sforzi di Javier Solana e del britannico Patten, commissario europeo noto per la sua fedeltà atlantica: l’Europa

non andrà a mani vuote alla prossima riunione dei donatori che si terrà a Bogotà il 24 di questo mese. E se l’autonomia politica dell’Unione europea è al lumicino, da parte sua il governo italiano non si è ancora pronunciato ufficialmente a favore del “Plan” e non si conosce l’atteggiamento che terrà a Bogotà.

 

Non solo petrolio

Oltre a contrastare l’avanzata del movimento guerrigliero colombiano, la posta in gioco è il ontrollo strategico delle risorse. Il bottino di guerra è l’Amazzonia, uno degli ecosistemi più ricchi del mondo. La parte colombiana è di 406mila chilometri quadrati, il 36,5% del totale del territorio colombiano.

Fanno gola le immense riserve di acqua, legname, idrocarburi e minerali, oltre che di flora e fauna.

 

Innanzitutto l’enorme piattaforma petrolifera tra Colombia e Venezuela. Al Gore, candidato del partito democratico alla Casa Bianca, siede nel consiglio di amministrazione della Occidental Petroleum, direttamente impegnata nello sfruttamento delle risorse petrolifere in Colombia. E lo stesso Bush junior ha tra i suoi principali sostenitori la multinazionale Texaco.

La seconda risorsa strategica è l’acqua della regione andino-amazzonica, elemento vitale sia in termini energetici che di sopravvivenza per l’intera umanità.

Nel Rio delle Amazzoni e nei suoi 7mila affluenti scorrono 6mila miliardi di metri cubi di acqua al secondo.

Infine, il controllo dei brevetti delle piante medicinali e della biodiversità è anch’esso un elemento centrale del conflitto. Si tratta della maggiore estensione di boschi tropicali del pianeta e di

un’enorme varietà di ecosistemi, di specie e di risorse genetiche. L’interesse della Banca Mondiale per la “questione ambientale”, lungi dall’essere il segnale di una rinnovata sensibilità  ell’istituzione finanziaria, la dice lunga sulla posta in gioco.

 

Ma l’Amazzonia è solo una parte degli obiettivi: infatti vi sono inoltre la “Cordillera Oriental”, riserva immensa di idrocarburi; la zona di Urabà ricca di ogni tipo di minerali e di biodiversità, la zona de La Guajira con enormi riserve di carbone.

Le fumigazioni delle coltivazioni di coca con il “glifosato” (un prodotto chimico simile alla diossina) e gli esperimenti con il “fusarium oxisporum”, un fungo parassita il cui uso è sconsigliato dagli stessi inventori in quanto se ne disconosce la reale portata distruttiva sono ulteriori minacce concrete all’ecosistema amazzonico, “polmone dell’umanità”.