America Latina: il futuro nell’urna?

Vittorie elettorali della sinistra e controffensiva della destra in America latina

di Marco Consolo  (in G&P 157 febbraio/marzo 2010)

 

Tra il 2009 e il 2011 in tutta l’America latina si celebra il Bicentenario dell’indipendenza dalla corona spagnola. L’epoca della potenza coloniale europea finiva due secoli fa  e nascevano le speranze di emancipazione dei popoli delle colonie. Da allora molte di quelle speranze e di quei sogni sono stati repressi nel sangue. Ma quell’utopia possibile è stata sempre alla base delle lotte che si sono succedute negli anni in molti paesi del continente. Solo nell’ultimo decennio l’America latina sembra rialzare la testa con la vittoria nelle urne di diversi governi democratici, progressisti e rivoluzionari che hanno unito il continente come mai era successo nella storia. Nel 2009 ci sono state sette elezioni  presidenziali, due referendum e tre elezioni legislative.

La maratona elettorale è iniziata con due referendum costituzionali, a gennaio in Bolivia e a febbraio in Venezuela. Mentre in Bolivia la vittoria del governo Morales era annunciata, in Venezuela l’opposizione sperava di ripetere il risultato del referendum del dicembre 2007, ma non ce l’ha fatta, nonostante sia cresciuta, e il governo Chávez ha vinto l’ennesima prova elettorale.
Importanti sono state altresì le elezioni presidenziali in ben sette paesi: El Salvador (15 marzo), Ecuador  (26 aprile), Panamá (3 maggio), Uruguay (25 ottobre-29 novembre), Honduras (19 novembre), Bolivia (6 dicembre), Cile (13 dicembre).
Per finire, si sono svolte anche elezioni legislative in El Salvador (gennaio), in Messico (luglio), in Argentina (ottobre), per il rinnovo totale o parziale dei parlamenti nazionali. Nelle ultime due si è votato anche per le assemblee statali, dato il loro ordinamento federale.

 

MARATONA ELETTORALE: TRA VITTORIE … 
Ma andiamo con ordine. In Bolivia il governo di Evo Morales ha rafforzato il proprio consenso sociale con l’approvazione della nuova costituzione del paese andino passata a grande maggioranza, nonostante la dura opposizione dei settori conservatori e i tentativi di destabilizzazione di quelli più reazionari organizzati nelle regioni più ricche della cosiddetta “media-luna”. Come si ricorderà, i governatori di queste regioni erano stati protagonisti di una rivolta “autonomista” con caratteri razzisti che ricordano da vicino le rivendicazioni della Lega nord. Dopo l’approvazione della Carta magna, la vittoria di Evo Morales è stata suggellata nelle elezioni politiche, dove il Mas (Movimento al socialismo) del presidente ha ottenuto più del 62% dei voti e la maggioranza parlamentare.
Un altro dei paesi dove il cambiamento è stato simbolicamente più significativo è stato El Salvador: a gennaio si sono svolte le elezioni municipali e legislative e il 15 marzo quelle presidenziali. Il nuovo presidente eletto è Mauricio Funes, candidato indipendente del Fronte Farabundo Martì per la liberazione nazionale (Fmln), l’ex formazione guerrigliera all’opposizione in tutti questi anni. Funes, un giornalista molto conosciuto, ha battuto Rodrigo Ávila, ex direttore della Polizia nazionale e candidato della destra di Arena, al governo sin dal 1989, ovvero quasi dalla fine della guerra civile.
In Ecuador le elezioni presidenziali di aprile hanno riconfermato il presidente progressista Rafael Correa, al governo dal 2006. L’ex economista Correa si è potuto ripresentare anche grazie all’approvazione di una nuova costituzione nel 2008, ottenuta con una ampia maggioranza dei consensi. La dura campagna dei grandi mezzi di comunicazione contro Correa non è bastata a far vincere un’opposizione che si è presentata divisa alle urne. Proprio in questi giorni si discute in parlamento una proposta di riforma del settore audiovisivo.
Di segno opposto la vittoria della destra a Panamà. Il 3 maggio, Ricardo Martinelli, un milionario di origini italiane proprietario di una catena de supermercati e candidato dell’opposizione, ha battuto Balbina Herrera, appoggiata dal presidente uscente di centro-sinistra Martín Torrijos. Martin è figlio del generale Omar Torrijos, un militare nazionalista che ebbe un ruolo chiave nel negoziato per la restituzione del Canale di Panamà. Dopo aver firmato un trattato nel 1977 con l’allora presidente statunitense Jimmy Carter, il generale Torrijos scomparve in un misterioso incidente aereo, secondo molti organizzato dalla Cia.

 

…E SCONFITTE

Il 29 giugno coglie di sorpresa molti. Con una modalità resuscitata dal passato, in Honduras avviene un golpe che spodesta ed espelle dal paese Manuel Zelaya, presidente legittimo. Zelaya, dell’ala progressista del partito liberale, aveva aderito al progetto dell’Alba (Alleanza bolivariana para los pueblos de nuestra America e dei Caraibi) e aveva deciso di sottomettere al giudizio degli elettori anche la possibilità di poter riformare la costituzione del 1982. Il golpe, guidato dall’italo-honduregno Roberto Micheletti, conta con l’appoggio di fatto degli Stati uniti, di Israele e della destra internazionale. Nonostante la quasi unanime condanna da parte dei paesi latinoamericani, l’Onu, la Ue, la Oea, Micheletti organizza elezioni presidenziali farsa per il 29 novembre nel tentativo di legittimare il golpe e il nuovo presidente. Boicottate dalla resistenza honduregna, le elezioni, che hanno visto la scarsa partecipazione di meno del 40% della popolazione, hanno dato la vittoria a Porfirio Lobo del Partito nazionale che nel 2005 era stato battuto dal presidente legittimo Manuel Zelaya.
Il gigante messicano ha votato il 5 luglio per la Camera dei deputati e ha eletto inoltre sei governatori di altrettanti stati. Anche a causa del logorio di due anni di governo, il Partito azione nazionale (Pan) del presidente Felipe Calderón passa al secondo posto. Viceversa, il Partito rivoluzionario istituzionale (Pri) riconquista un ruolo di primo piano nella politica degli Stati uniti messicani ridiventando la prima forza politica del paese. Come si ricorderà, il Pri era rimasto ininterrottamente al governo per ben 71 anni (1929-2000). Per quanto riguarda l’opposizione della sinistra moderata, le forti divisioni interne del Partito rivoluzionario democratico (Prd), con un’immagine opacata verso l’esterno, producono una caduta di consensi e il partito si colloca al terzo posto con solo il 12% dei voti. La strada verso le presidenziali del 2012 è ancora lunga.
In ottobre è stata la volta dell’Argentina, che ha rinnovato la metà della Camera e un terzo del Senato. Il governo di Cristina Kirchner perde la maggioranza nella Camera anche a causa della dissidenza di alcuni deputati peronisti come Felipe Solá. La sconfitta è bruciante anche a Buenos Aires, dove vince la destra capitanata da Mauricio Macri, possibile candidato alle elezioni presidenziali del 2011. Ma la vera novità e sorpresa elettorale è data dal candidato progressista Fernando (Pino) Solanas, che nella capitale ottiene più del 20% dei voti. La sua  lista elettorale (Proyecto Sur) riunisce diverse anime della sinistra argentina e contribuisce alla formazione di un blocco parlamentare progressista, autonomo dal peronismo, ma decisivo per la maggioranza parlamentare del governo. Ciò permette di negoziare diverse misure legislative, tra cui l’importante legge sulla regolamentazione dei mezzi di comunicazione audiovisivi, recentemente approvata. In Argentina le prossime elezioni presidenziali si terranno nel 2011.
La maratona delle urne si chiude a fine anno con le elezioni presidenziali in Uruguay e Cile.
Nella piccola Repubblica orientale dell’Uruguay, al secondo turno di fine novembre si impone Josè Mujica, l’ex guerrigliero tupamaro candidato del Frente Amplio, che raccoglie il testimone dal precedente governo del frenteamplista Tabarè Vasquez. La formula presidenziale elegge come vicepresidente l’ex socialista Danilo Astori, ministro dell’Economia del precedente governo, in gran parte artefice del recupero economico del paese, ma anche di una controversa proposta di un Trattato di libero commercio (Tlc) con gli Stati uniti.
In Cile, il primo turno elettorale per la presidenza  consegna un’ampia maggioranza a Sebastian Piñera, multimilionario candidato della destra. Il populista Piñera, un mix tra Berlusconi e Sarkozy, tra l’altro è azionista della linea aerea Lan, di una squadra di calcio, oltre che proprietario del canale televisivo Chilevisiòn. Dopo 20 anni al Palazzo presidenziale della Moneda, la Concertaciòn (coalizione di centro-sinistra) rischia concretamente di perdere il governo il 17 gennaio, data del secondo turno. Al momento in cui scriviamo, salvo un colpo di scena poco probabile, sarà la destra a riconquistare la Moneda, da dove nel 1973 aveva cacciato il presidente socialista Salvador Allende con il colpo di stato di Pinochet.

 

DETERMINANTE IL BRASILE
Ed è proprio dal Cile che potrebbe partire un possibile effetto domino in tutto il continente e la controffensiva della destra continentale, già iniziata da tempo. Nel 2010, infatti, vi saranno elezioni presidenziali in Colombia, Brasile e Costa Rica e importanti elezioni legislative in Venezuela.
In Colombia, il presidente Álvaro Uribe si ripresenterà alle urne forzando disperatamente una possibile rielezione. Ogni giorno che passa sono sempre più i settori dentro e fuori il paese che chiedono a gran voce all’attuale presidente di abbandonare la competizione elettorale. Negli ultimi mesi il giornale spagnolo “El Paìs” e il britannico “The Economist” si sono aggiunti al “New York Times” che aveva già chiesto a Uribe di non ripresentarsi. La persistente violazione dei diritti umani, la necessaria soluzione politica del sanguinoso conflitto armato interno, gli effetti sempre più drammatici della crisi economica internazionale e la difficile situazione sociale sono gli elementi che più peseranno al momento del voto. E proprio il giorno in cui si celebrava l’anniversario dell’indipendenza dalla corona spagnola,  svendendo la sovranità del paese Uribe firmava un accordo con gli Stati uniti per l’istallazione di ben sette nuove basi militari “made in Usa”. L’appoggio statunitense certamente farà la differenza nel risultato elettorale.
Ma le elezioni presidenziali di gran lunga più importanti del 2010 saranno quelle del gigante Brasile. Anche se mancano molti mesi, le previsioni per il Partito dei lavoratori (Pt), al governo da due mandati, non sono buone. Com’è noto, la costituzione brasiliana impedisce a Lula (presidente uscente ed ex sindacalista metalmeccanico) di ricandidarsi per la terza volta. Nonostante l’enorme popolarità di Lula, che lascia la presidenza con più dell’80% di gradimento, la candidata del Pt Dilma Rousseff non sembra essere in grado di eguagliarne il risultato. Il voto dipenderà anche dalla situazione economica e sociale negli ultimi mesi del mandato di Lula, ma non saranno solo questi gli elementi che peseranno nella decisione degli elettori. Il fattore candidato continua ad avere un peso decisivo, soprattutto nelle fasce di popolazione povera che si sono identificate pienamente con l’operaio Lula. Inoltre il Brasile, con i suoi quasi 190 milioni di abitanti, è un paese con una grande concentrazione urbana e il voto delle grandi metropoli (Sao Paulo e Rio de Janeiro) sarà decisivo. Ma pesano molto anche i singoli territori e le clientele locali, meccanismi che la destra conosce bene e su cui farà certamente leva. Il Pt e lo schieramento dei partiti di sinistra che hanno appoggiato il governo (tra cui il Partito comunista del Brasile) hanno davanti mesi difficilissimi, con una campagna elettorale (peraltro già iniziata) senza esclusione di colpi. C’è da aspettarsi di tutto e nei prossimi mesi la capacità di stare sul terreno marcherà la differenza. Altrettanto importante sarà la campagna degli oligopoli al comando dei mass media, con in testa la famosa Rede Globo, nata nel 1965 all’ombra della dittatura militare. E Lula ha già manifestato di voler riformare il settore prima della scadenza del mandato.
Sul piano internazionale il Brasile si muove a tutto campo nei diversi scenari: in America latina gioca la carta dell’integrazione, senza per questo disdegnare una aggressiva politica a favore delle proprie grandi imprese (costruzione, energia); come parte dei Paesi Bric (Brasile, India, Cina), ha una propria politica di espansione commerciale in Africa a partire dai Paesi lusofoni (Angola e Mozambico in primis); come potenza globale intrattiene rapporti bilaterali con gli Stati uniti in special modo nel settore energetico e degli “agrocombustibili”. Non c’è dubbio che sarà il risultato del Brasile che determinerà il futuro politico di tutto il continente nei prossimi anni a venire.

 

IL “SOCIALISMO DEL SECOLO XXI”
E per finire, nel secondo semestre 2010 in Venezuela si terranno elezioni politiche per il rinnovo del parlamento. Il governo del presidente Hugo Chávez deve affrontare una complicata situazione interna e internazionale. Nelle passate elezioni l’opposizione non si è voluta presentare, lasciando il campo libero al “chávismo” che ha dominato il parlamento. Questa volta non sarà così e l’opposizione affila le armi, nonostante le profonde divisioni interne e la difficoltà a trovare candidati credibili che possano raccogliere consensi. Se sembra difficile che riesca a passare la soglia del 50% degli eletti, le previsioni parlano di almeno un 30% del parlamento in mano alle forze che si oppongono visceralmente ai cambiamenti portati avanti dal governo bolivariano.
Il cosiddetto “socialismo del secolo XXI” ha davanti a sé diverse sfide.
Innanzitutto vincere inefficienza statale, burocrazia e corruzione. Ma c’è molto da fare anche sul versante della sicurezza, di un’inflazione al 30%, del mercato nero. E in campo economico è imprescindibile rafforzare la capacità produttiva soprattutto in agricoltura , ridurre le importazioni di beni voluttuari e diversificare l’economia, ancora troppo dipendente dal petrolio. Nell’affrontare gli effetti della crisi economica internazionale e la caduta del prezzo del petrolio, il governo ha fatto della difesa dell’occupazione la sua bussola principale, anche a costo di sussidiare (e produrre in perdita) la produzione in diversi settori come ad esempio l’alluminio. Più in generale si tratta di riuscire a soddisfare i bisogni base della popolazione e allo stesso tempo avanzare nella trasformazione del modello politico, sociale ed economico.
Sul versante politico il Partito socialista unito del Venezuela (Psuv) del Presidente Chávez ha appena tenuto il suo primo congresso di formazione. In questo anno elettorale la macchina del Psuv sarà messa a dura prova. Nelle intenzioni di Chávez, la cosiddetta “politica delle tre R” (revisione, rettificazione, rimpulso) dovrebbe essere alla base della politica dei prossimi mesi.
Il panorama latinoamericano non è certo uniforme. Se molti dei paesi del continente sono governati da sinistre con diverse sfumature, la destra è saldamente al comando in Messico, Colombia, Perù, Panama e lo sarà probabilmente in Cile. Sono segnali da non sottovalutare. La controffensiva imperiale ha diverse frecce al suo arco. La rivitalizzazione della IV flotta statunitense, il golpe in Honduras, le nuove basi militari statunitensi in Colombia e Panama, la cospirazione e la destabilizzazione politica e militare, un’aggressiva politica commerciale attraverso i cosiddetti “Trattati di libero commercio” sono tutti elementi di forte preoccupazione.
La storia non si ferma, ma nulla è scontato. C’è il rischio e la possibilità concreta di fare un passo avanti e due passi indietro.

 

Marco Consolo resp. America Latina Prc-Se