America Latina in chiaroscuro

Marco Consolo [1] – 

L’America Latina è da sempre un continente in disputa. Nonostante la sua vicinanza geografica e la storica sottomissione politica agli Stati Uniti, nella macro-regione si continuano a realizzare trasformazioni politiche e sociali in controtendenza ai diktat neo-liberisti.  Nonostante le sue difficoltà endogene e le sfide esterne, l’America Latina e i Caraibi sono l’unico polo del sistema internazionale con governi anti-neoliberali che negli anni scorsi hanno provato a costruire processi di integrazione regionale autonomi dagli Stati Uniti. Anche in un momento di profonda e prolungata crisi economica nei Paesi centrali del capitalismo, i governi post-neoliberali latino-americani non hanno smesso di espandere le loro economie e, soprattutto, di combattere la povertà e la disuguaglianza.

Una breve rassegna della recente fase politica continentale ci consegna una situazione molto fluida, contrassegnata dalle vittorie elettorali da parte del centro-sinistra e della sinistra in diversi Paesi (Argentina, Bolivia, Perù, Honduras, Cile).  In queste settimane l’attenzione è rivolta alla Colombia che va a elezioni presidenziali il 29 maggio, con una possibile vittoria di Gustavo Petro, candidato del centro-sinistra e della sinistra. Sarebbe un risultato clamoroso, dato che, a partire dal “Plan Colombia” di Bill Clinton, il Paese è la base statunitense di aggressione contro i processi di trasformazione del continente (a partire dal Venezuela e dalla Bolivia) ed esporta mercenari in tutto il mondo, oltre alla cocaina.

Ma non c’è dubbio che tutti gli occhi sono puntati soprattutto sul Brasile, con Luiz Inácio Lula da Silva in testa nei sondaggi per le elezioni del prossimo ottobre nel gigante sudamericano, leader di fatto della regione e locomotiva del polo sudamericano. Grazie ai governi di Lula e Dilma Roussef, il Brasile è ancora tra le prime economie mondiali, nonostante il disastro Bolsonaro. Le aspettative di vittoria elettorale di Lula sono enormi, anche tra i milioni di persone che hanno seguito i processi farsa contro l’ex-Presidente, per non permettergli di presentarsi alle elezioni. Chiusa quella fase giudiziaria, Lula ha ripreso la battaglia politica ed elettorale.

Molti analisti interessati avevano messo l’accento sulla fine definitiva del ciclo “progressista” dei recenti anni passati, con i “golpe blandi” (come in Bolivia) e le vittorie del centro-destra e dell’estrema destra  in molti Paesi (Brasile, Ecuador, Paraguay, Cile, Colombia, Uruguay, etc.), che hanno iniziato ad avere un forte ruolo politico nel continente. Tra le cause di queste sconfitte, ci sono naturalmente gli errori dei governi “progressisti”, insieme ai successi delle destre continentali. Destre che da sempre godono dell’appoggio degli Stati Uniti, con un interminabile curriculum di golpe e destabilizzazione dei processi di trasformazione e, più di recente, con un ruolo chiave nella creazione ed articolazione del “Grupo di Lima” (ormai moribondo),  del “Foro di Madrid” (con gli spagnoli di Vox in prima fila) e dell’Alleanza del Pacifico.

Ma dalla sconfitta di quel primo ciclo si sono tratte diverse lezioni ed oggi il vento è cambiato.

UN TERRENO DI SCONTRO TRA POTENZE

In uno stato di eccezione permanente e planetario, con un baricentro geo-politico che si sposta verso le “periferie”, è sempre più marcato il declino relativo dell’egemonia degli Stati Uniti e del dollaro come moneta di riferimento del commercio internazionale. Ma il vecchio non è ancora morto, ed il nuovo non è ancora nato e, come ricordava Antonio Gramsci, nei chiaroscuri della transizione si generano i mostri.  E’ così che, lungi dall’essere “cosa del passato”, sotto l’ombrello della “Dottrina Monroe” la storica ingerenza di Washington è ancora all’ordine del giorno nel “cortile di casa”, oggi pudicamente definito come “nostra area di responsabilità” da un alto comando militare in una recentissima audizione al Senato statunitense.

Pochi giorni fa, i generali statunitensi incaricati della “sicurezza emisferica” hanno dichiarato che le minacce agli Stati Uniti nella regione provengono principalmente dalla Russia, dalla Cina e dalle organizzazioni criminali transnazionali, accusando il Messico di ospitare il più grande contingente di intelligence militare russo nel mondo [2]. Accusa subito respinta al mittente dal presidente Lopez Obrador, al cui governo Washington ha intimato di rompere con la Russia e di inviare armi in Ucraina, senza peraltro ottenere risultati.

La generale Laura Richardson, responsabile del Comando Sud degli Stati Uniti (Southcom), ha dichiarato che l’emisfero occidentale, è sotto l’assalto di sfide transfrontaliere che minacciano direttamente gli Stati Uniti. Secondo la generale a stelle e strisce, “l’America Latina e i Caraibi stanno affrontando l’insicurezza e l’instabilità, esacerbate dal Covid-19, dalla crisi climatica e dalla Repubblica Popolare Cinese, che continua la sua marcia inesorabile per espandere la sua influenza economica, diplomatica, tecnologica, informativa e militare e sfidare l’influenza statunitense in queste aree”.

Secondo il generale Glen VanHerck, capo del Comando Nord degli Stati Uniti (Northcom), “il traffico di droga, la migrazione e la tratta di esseri umani sono sintomi di un problema più grande, insieme al tema delle organizzazioni criminali transnazionali, poiché l’instabilità che generano offre opportunità ad attori come Cina, Russia e altri che potrebbero avere piani per attività con conseguenze disastrose per cercare accesso e influenza nella nostra area di responsabilità, da una prospettiva di sicurezza nazionale” [3].

PANDEMIA E CRISI ECONOMICA

Nonostante la pandemia, il 2021 è stato un anno di  ripresa economica in America Latina, superiore alle aspettative per molti Paesi. Dopo aver registrato la più grande contrazione legata al coronavirus nel mondo nel 2020 (- 7%), nel 2021 l’America Latina si è ripresa più velocemente della media mondiale, crescendo al 6,3%.  Ma, secondo le previsioni pessimiste del Fondo Monetario Internazionale, la ripresa ha già iniziato a rallentare e, nel 2022, avrà una crescita del Pil reale solo del 2,4% [4].

Naturalmente su questi dati del FMI (da prendere sempre con le molle) pesano sia fattori interni, che internazionali.

Non c’è dubbio che i fattori interni hanno un  ruolo chiave per la ripresa economica, a partire dalle politiche monetarie, da quelle fiscali, e da incertezze nel contesto politico.

In alcuni Stati l’incertezza politica spaventa “i mercati” e può essere un freno a nuovi investimenti, sia nazionali che esteri. Per esempio, in Perù  le élite dominanti non hanno ancora accettato il risultato elettorale dell’anno scorso e cercano di ostacolare il governo di Pedro Castillo, mentre in parlamento non è ancora chiara la normativa sugli investimenti nell’importante settore minerario.

Il Cile è entrato in una nuova fase politica (ed economica), sia per l’elezione di Gabriel Boric, primo Presidente con proposte “di sinistra” dalla fine della dittatura, sia con la redazione della nuova Costituzione. L’aspettativa è che aumenti la partecipazione dello Stato nell’economia, ma è ancora presto per sapere come verrà ridisegnato il confine tra ruolo dello Stato e quello del mercato. Se in Argentina il recente accordo con il FMI, per affrontare la crisi debitoria provocata dall’ex presidente Macri, ha provocato una spaccatura nel governo e nella sua base d’appoggio, in Brasile e in Colombia l’incertezza è legata alle prossime elezioni presidenziali, ed al possibile ribaltamento politico.

E dopo anni di bassa inflazione nella regione (a parte Argentina e Venezuela per cause molto diverse tra loro), nel 2021 la crescita dei prezzi è tornata a essere elevata (colpendo il potere d’acquisto delle classi popolari), nonostante l’aumento dei  tassi d’interesse da parte delle banche centrali di diversi Paesi del continente.

Rispetto ai fattori internazionali, pesa in positivo il boom dei prezzi delle materie prime, che ha come contro-altare la guerra in Europa e la presenza degli Stati Uniti nella regione.

Infatti, dopo la fase acuta della pandemia e prima della guerra in Europa, le previsioni erano che Stati Uniti, Cina e Unione Europea sarebbero cresciuti a tassi elevati, e che anche la domanda di importazioni dall’America Latina sarebbe stata alta.  E’ chiaro che, se continua il boom dei prezzi delle materie prime, la domanda estera dovrebbe sostenere la crescita dei Paesi dell’America Latina. Nel 2021, ad esempio, il Brasile ha registrato il maggiore avanzo della bilancia commerciale della sua storia, pari a 61 miliardi di dollari [5].

In piena crisi della globalizzazione neo-liberista (così come l’abbiamo conosciuta), la Casabianca vuole rafforzare le relazioni economiche con la regione. L’Amministrazione Biden  ha il dichiarato obiettivo di frenare l’espansione cinese nella regione. Il continente fa parte dell’iniziativa Build Back Better for the World (B3W) del G7, voluta fortemente da Biden come alternativa alla Belt and Road Initiative (BRI) della Cina. Non è un caso quindi che, in linea con la tendenza post-pandemia,  alcune multinazionali statunitensi aumentino la loro presenza per accorciare e diversificare la catena produttiva. E’ il caso di INTEL [6], che ha aumentato da poco la propria presenza in Costa Rica, drasticamente ridotta nel 2014 per investire in Asia. Com’è noto l’iniziativa cinese ha l’appoggio di diversi governi latino-americani che non vogliono rimanerne esclusi. Da parte sua, la New Development Bank (NDB), la Banca di Sviluppo dei Paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), ha appena deciso di investire 140 milioni di dollari in due progetti in America Latina [7].

Infine, oltre al rischio di fuga di capitali, un ulteriore elemento di incertezza è dato dagli effetti dei contagi per la variante Omicron, che sta colpendo la regione.

E quest’anno si terrà negli Stati Uniti il  Vertice delle Americhe, importante incontro istituzionale tra i capi di Stato di tutto il continente americano, in cui Biden dovrà presentare la politica verso la regione.

INTEGRAZIONE REGIONALE NON SUBALTERNA E MULTIPOLARITA’

L’esistenza della rivoluzione cubana e la strategia internazionale del Venezuela bolivariano hanno permesso lo sviluppo di nuove relazioni tra un ampio gruppo di Paesi latinoamericani e caraibici. I risultati concreti si possono trovare nei meccanismi di integrazione come PETROCARIBE, l’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA), l’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR), la Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (CELAC), e l’entrata del Venezuela nel Mercato Comune del Sud (MERCOSUR).

Non a caso, tra le prime misure dei governi della destra nel continente, c’è stata la decisione di abbandonare UNASUR e CELAC, accusate di essere “alleanze ideologiche”.

Di natura strategica è stato lo sviluppo di una televisione contro-egemonica (TeleSur), mentre non hanno invece preso il volo due importanti progetti: dar vita  al Consiglio di Difesa Latino-americano (senza l’ingombrante presenza degli Stati Uniti) e realizzare una nuova architettura finanziaria regionale e globale attraverso la Banca del Sud.

La politica estera bolivariana ha avuto un impatto anche sull’Africa, con la realizzazione dei vertici tra i Paesi sudamericani e africani (ASA).  In quanto a diversificazione dei rapporti diplomatici, politici e commerciali, si sono approfonditi i legami di Caracas con Cina, Russia, Vietnam, Corea del Nord, Iran, Turchia. In nessun altro periodo della sua storia il Venezuela ha sviluppato una politica estera così ampia e diversificata a beneficio proprio e di altre nazioni, nonostante l’aggressione esterna, le misure coercitive unilaterali (mal chiamate sanzioni), ovvero il blocco economico, commerciale e finanziario imposto da Washington e dal furto delle sue risorse finanziarie, principalmente da parte del Regno Unito e degli Stati Uniti.

In questi scenari di timida post-globalizzazione neo-liberista, i governi di Cuba, Venezuela, Bolivia, Messico e Argentina, tra gli altri, spingono per costruire il polo latinoamericano e caraibico, e un’integrazione regionale autonoma dagli Stati Uniti verso un sistema internazionale multipolare nel XXI° secolo. Il centro di gravità del mondo non è più solo nei “centri capitalisti” più sviluppati.

IL RUOLO DEI MOVIMENTI SOCIALI

Non c’è  dubbio che i movimenti sociali avranno un ruolo centrale nella nuova fase politica continentale e nei processi di trasformazione. La grande varietà e ricchezza delle organizzazioni popolari del continente è la cifra che li caratterizza. In particolare il movimento femminista, quello ambientalista ed i popoli originari che hanno acquisito un importante protagonismo. Nei diversi Paesi, sono diverse le modalità dell’organizzazione, della partecipazione dal basso, del protagonismo e del controllo sociale sull’operato dei governi, anche di quelli “amici”.

A partire dalla necessità di autonomia dei movimenti (cosa diversa da una falsa “neutralità”), rimangono aperti dialetticamente i nodi del rapporto movimenti-governi, partiti-governi, movimenti-partiti. Riuscire ad evitare possibili corto-circuiti e rotture, e mantenere la inevitabile tensione dialettica in un ambito di dialogo (anche se aspro e contraddittorio) è una delle sfide principali di un diverso ciclo che si apre. Le aspettative sono molte, forse troppe ed il rischio di frustrazione è sempre dietro l’angolo.

Nello scenario continentale, l’altro rischio è quello della divisione tra i governi della “sinistra carnivora” e quelli della “sinistra vegetariana”, un classico “divide et impera” che sarebbe una sciagura per le speranze di cambiamento. Le sirene dell’impero e quelle della ex-socialdemocrazia (in profonda crisi di identità) spingono per separare i “buoni” dai “cattivi”, i “moderati ragionevoli” dagli “estremisti  radicali”. E qualcuno può rimanerne incantato, magari convinto dal gradualismo che immobilizza o dal “vogliamo tutto e subito” senza tenere conto che cambiare un “modello di sviluppo” storicamente dipendente non è certo facile. Piaccia o meno, l’unità nella diversità è un cammino obbligato per le forze di trasformazione del continente.

La sfida è quella di porre al centro il protagonismo popolare, non per fare cambiamenti cosmetici e superficiali, ma per cambiare la realtà strutturale. Con una nuova ondata di governi popolari, progressisti e di sinistra nel continente, a partire dall’analisi concreta della propria situazione concreta.

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[1] Questo articolo è apparso originariamente sulla rivista “Su la testa” (https://www.sulatesta.net/) dell’aprile 2022.

[2] https://www.eleconomista.com.mx/politica/General-de-EU-destaca-presencia-de-personal-de-inteligencia-ruso-en-Mexico-20220324-0088.html

[3] https://www.c-span.org/video/?518941-1/us-northern-southern-command-leaders-testify-2023-budget-request

[4]https://www.imf.org/en/Publications/WEO/Issues/2022/01/25/world-economic-outlook-update-january-2022

[5] https://www.reuters.com/markets/us/brazil-posts-2021-record-trade-surplus-61-billion-2022-01-03/

[6] https://www.cinde.org/en/essential-news/intel-costa-rica-increases-investment-to-$600-million-and-triples-the-number-of-announced-jobs

[7] https://www.bnamericas.com/es/noticias/new-development-bank-aprueba-u140mn-para-proyectos-de-infraestructura-en-brasil