America Latina: pioveranno pietre ?

di Marco Consolo

Alla fine di un anno di elezioni politiche in molti dei Paesi dell’America Latina, (Costa Rica, El Salvador, Panama, Colombia, Bolivia, Brasile, Uruguay), oltre a quelle amministrative (Ecuador e Perù), e l’insediamento di nuovi governi in Honduras e Cile, si può tentare un primo bilancio dell’ultimo ciclo politico e del modello di sviluppo comunemente indicato come “neo-sviluppista”, basato principalmente su di un rinnovato estrattivismo.

Le vittorie delle sinistre e del centro-sinistra nelle elezioni politiche (El Salvador, Bolivia, Brasile, Uruguay) mostrano la persistenza del ciclo politico progressista, nonostante la flessione negativa del numero dei voti a favore. In Cile, il governo della Presidente Bachelet (insediatosi a Marzo) è in difficoltà sotto gli attacchi di una destra sfacciatamente arrogante ed impune, anche se divisa.
Sul versante delle elezioni amministrative, lo scorso febbraio in Ecuador, l’esperienza progressista del governo Correa ha subito una battuta d’arresto con la perdita della capitale Quito e di importanti città come Guayaquil e Cuenca. E di recente anche in Perù il centro-sinistra ha perso la capitale Lima.

LA RESTAURAZIONE CONSERVATRICE E IL RUOLO DEI MEDIA

La destra si conferma al governo di Honduras, Messico, Colombia e Panama. E si rafforza in Brasile e Venezuela nonostante le sconfitte elettorali, mentre in Argentina si prepara ad «assaltare la diligenza» alle presidenziali del 2015, in uno scenario tuttora confuso.
Come ricordava l’ecuadoriano Rafael Correa “non siamo ancora riusciti a stabilire il predominio del potere popolare sull’elite e chiaramente c’è una ricostituzione delle forze di destra.…articolate a livello internazionale con una strategia di potere” che gode “della complicità della stampa nazionale e internazionale e dei paesi egemoni ». Nelle sue parole siamo di fronte al tentativo di « restaurazione conservatrice”.
La destra rialza la testa e, dopo molti anni di sconfitte, cerca sostegno popolare. La sua nuova strategia cerca di adottare un discorso favorevole alle misure sociali, e promette “più e meglio”. Si presenta come alternativa di buona gestione contro lo “statalismo”, il “populismo” e la corruzione.
La nuova base sociale che cerca di conquistare si trova tra la popolazione che in questi anni è stata beneficiata dalle riforme politiche e sociali, che le hanno permesso di avere accesso al lavoro, all’educazione ed alla salute, e di aumentare il suo potere d’acquisto.

Uno degli strumenti più efficaci per recuperare una “egemonia culturale” indebolita in questi anni, è dato dal controllo dei grandi gruppi mediatici. Dopo le riforme del settore in Venezuela, Argentina, Ecuador, insieme al Cile mancano all’appello Uruguay e Brasile, che non a caso sono stati oggetto di una aggressiva campagna elettorale dominata dai media. Come ricorda Aram Aharonian (i) «… nei 3 mandati del Partito dei Lavoratori (PT) in Brasile e nei 2 del Frente Amplio non si è riusciti ad approvare leggi di riforma dei media e romperne l’oligopolio”.

OBAMA: UN’ANATRA ZOPPA

Con le elezioni midterm negli Stati Uniti, Obama ha davanti a sè due anni di governo da «anatra zoppa»: i democratici hanno perso anche il controllo del Senato ed il Presidente verrà osteggiato da un Congresso repubblicano votato all’ostruzionismo.
Molti analisti sostengono che la politica estera degli Stati Uniti sia destinata ad essere ancora più ondivaga degli ultimi anni, con un peso maggiore dei “falchi” repubblicani.
Nei confronti dell’America Latina, certo Obama non è stato un salto in avanti. Durante il suo mandato ha mantenuto il blocco a Cuba e la base di Guantanamo, ha rafforzato l’appoggio militare al governo colombiano, ha aperto nuove basi militari, ha ripristinato la “quarta flotta” navale, in sonno dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e destinata al controllo del continente ribelle. Dulcis in fundo ha favorito due colpi di Stato  “istituzionali”,  in Paraguay e in Honduras.
Il controllo parlamentare repubblicano è una buona spinta ai possibili Trattati di Libero Commercio (TLC). In particolare al TPP (Trans-Pacific Partnership), il TLC con l’area del Pacifico, ed al TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), quello con l’Europa. Dal punto di vista dei repubblicani, il TLC del Pacifico è anche un modo per «contenere» la Cina, che da tempo sta conducendo un’offensiva diplomatica, politica e commerciale a tutto campo nel “cortile di casa” statunitense.
Non c’è dubbio che questo ulteriore spostamento a destra con un rinnovato protagonismo dei “falchi” repubblicani è una cattiva notizia per i processi di trasformazione a Sud del Rio Bravo.
Per quanto riguarda i rapporti dell’Unione Europea con l’America Latina, sullo stesso versante c’è da segnalare la firma dei TLC con il Cile, i Paesi centroamericani, la Colombia, il Perù e quello più recente con l’Ecuador. Oltre alle pressioni per firmare il TLC con il Mercosur.

LA BATTAGLIA CONTRO I POTERI FORTI

Non stanno alla finestra le imprese multinazionali, che utilizzano tribunali sovranazionali (uno tra tutti il famigerato CIADI della Banca Mondiale) per contrastare le nuove leggi che regolano le loro attività e ricattano per l’approvazione dei TLC (scritti di loro pugno).
Tra le priorità dei governi progressisti latino-americani, ci dovrebbe essere quella di promuovere la diversificazione produttiva e commerciale, per evitare la perdita ulteriore di sovranità, la dipendenza dalla fornitura delle materie prime e l’irruzione delle multinazionali nei “servizi”, a cui condannano gli “accordi di libero scambio”. Infatti, dopo la sconfitta nel 2005 del progetto statunitense dell’Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA), la strategia delle multinazionali è quella di firmare i TLC, veri e propri “mini-ALCA”.
Anche sul versante del controllo della finanza mondiale, lo scontro del governo argentino con i cosiddetti “fondi avvoltoio”, è un’opportunità per rimettere in discussione la struttura ed il potere della finanza, la “neutralità tecnica” delle scelte economiche ed il ruolo del dollaro come valuta sovrana mondiale. Un’opportunità che si può cogliere solo dando vita a strumenti concreti (la banca dei BRICS e la stessa Banca del Sud che però fatica a decollare) insieme alla più amplia mobilitazione politica, sia in America Latina, che a livello globale.

Per aggiungere elementi al rompicapo di questo complesso ciclo politico, bisogna tenere conto della pressione per la svalutazione da parte dei settori esportatori; dei negoziati con gli investitori (in primis Cina e Russia) interessati a materie prime, aree strategiche e infrastrutture; della minaccia eversiva dell’estrema destra, sempre più sovrapposta al narco-traffico ed al paramilitarismo, con un ruolo ondivago delle Forze Armate.
E da tempo, anche la “ex-socialdemocrazia” (in particolare quella europea), oltre a schierarsi apertamente con la destra contro « l’eresia socialista» e il « populismo », utilizza le stesse ricette avvelenate che hanno provocato tanti danni e tragedie sociali.

UN PRIMO BILANCIO

Il bilancio del ciclo politico latino-americano degli ultimi dieci anni è di grande importanza non solo in America Latina, ma a livello globale. Nel corso dell’ultimo decennio, l’America Latina ha rappresentato un laboratorio per alternative “di sinistra” al neoliberismo: dal riscatto dell’idea di socialismo (del ventunesimo secolo), alla relativa inversione del ciclo di privatizzazioni; dalle politiche sui diritti umani, a quelle di riduzione del debito; dalla maggiore inclusione sociale, alla creazione di aree di integrazione come l’ALBA, la CELAC e UNASUR, insieme ad un nuovo protagonismo dei popoli originari.
La sconfitta delle destre permette di affermare la persistenza del ciclo politico “progressista”. E prolunga la sconfitta dei tentativi delle classi dominanti neoliberiste di riprendere il controllo politico diretto. La destra si ristruttura anche utilizzando la pressione dei mercati, che spingono per definire gli orientamenti politici del prossimo ciclo. In generale si conferma la “permeabilità” delle istituzioni pubbliche, grazie al ciclo di lotte che, negli ultimi anni, ha contrastato il consenso neoliberale degli anni ’80 e ’90.

Ma il consolidamento di queste esperienze di governo fa i conti, tra l’altro, con una nuova configurazione di classe di alcune delle società sudamericane. C’è da sottolineare l’emergere di un nuovo “ceto medio” (definizione approssimativa di una realtà diversa e contraddittoria), insieme alla massificazione del consumo, e alla persistenza di ampie fasce di povertà (ii). Elementi che ridanno centralità al tema della “sicurezza”, cavallo di battaglia del programma delle destre.

UN NUOVO MODELLO DI SVILUPPO ?

In diversi paesi della regione, si accendono i riflettori sull’intenzione dei governi di mantenere il ciclo politico “progressista” in base alla continuità del modello “neo-sviluppista”, basato sul neo-estrattivismo. Un tema complesso, che non può essere liquidato con un’analisi superficiale.
Questo modello di sviluppo si è costruito sulla base di una recente rinegoziazione del tradizionale inserimento dipendente nel mercato capitalista mondiale. Un inserimento come fornitore di materie prime (soia, cereali e industrie estrattive), che oggi garantiscono la divisa necessaria per mantenere le politiche di “inclusione sociale”, permettendo allo Stato di svolgere un ruolo più attivo.

Purtroppo, la discussione su un diverso modello di sviluppo non è molto popolare tra i governi progressisti, che non sono certo immuni alle sirene dello “sviluppismo”. E in molti casi, i prestiti cinesi rafforzano le attività estrattive e il mono-cultivo di soia. I possibili cambiamenti futuri del modello economico cinese sono già da adesso un tema vitale per molti Paesi di cui la Cina è il primo partner commerciale.
Questo modello di sviluppo fa prevedere scenari di esclusione politica e violenza sociale, con un impatto trasversale (in maniera diversa), sia sui Paesi con governi “progressisti”, che conservatori. Le mobilitazioni per difendere le risorse naturali sono una parte significativa di quelle degli ultimi 5 anni (iii). Il caso del Messico è forse il più emblematico, ma la Colombia, l’Honduras e il Perù sono altrettanti esempi dell’uso della “strategia del terrore” per la gestione dei conflitti sociali ed ambientali.
La regione, come il resto del pianeta, ha bisogno di trovare un cammino che preservi l’ambiente.

Ma, allo stesso tempo, deve trovare le risorse per soddisfare i bisogni di base (e non solo) e ridurre le enormi asimmetrie con le economie “sviluppate”. Un compito non certo semplice.

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i) http://www.nodal.am/2014/11/derrota-electoral-de-la-derecha-por-aram-aharonian/
ii) Secondo la FAO in America Latina vi sono ancora 37 milioni di affamati, 164 milioni di poveri e 69 milioni di indigenti http://ilmanifesto.info/search/alla+fao+c%27%C3%A8+chi+ha+fame),
iii) Solo nel 2012 vi sono state 184 conflitti di questo tipo nel continente (Svampa 2013; Bruckmann, 2012).