AMERICA LATINA: sei paesi “sfidano” GEORGE BUSH

di Marco Consolo – Liberazione 20-2-2002

Un manifestante in Argentina in uno dei tanti “cazerolazos” organizzati in questi mesi di crisi economica e politica

 

Non bastano i colloqui telefonici tra il presidente argentino (non eletto) Duhalde ed Horst Khoeler, direttore del Fondo Monetario Internazionale (Fmi). Nè le visite a Washington del ministro per l’economia argentino, Jorge Remes Lenicov per un possibile negoziato che cerchi di sbloccare la sospensione dei pagamenti del debito estero decisa a Buenos Aires lo scorso dicembre.

Mentre il biglietto verde viene scambiato contro la valuta argentina all’interno di una forbice tra 1,80 e 2 peso per dollaro, il sottosegretario al Tesoro statunitense, John Taylor, fa sapere che il Fmi invierà “molto presto”, forse la prossima settimana, una missione in loco, per avviare un negoziato formale che raffreddi la temperatura del conflitto sociale.

Una delle possibili merci di scambio è il voto all’Onu contro Cuba previsto per marzo, se, come si vocifera nei corridoi, l’Argentina presenterà una risoluzione di condanna per la “violazione dei diritti umani” nell’isola, ispirata dagli Stati Uniti. Ma in queste frenetiche ore per l’economia argentina altri due avvenimenti fanno riflettere.

 

Innanzitutto la riunione tra le montagne canadesi dei ministri delle finanze del G7 allargata alla Russia, passata quasi inosservata: i “ricchi del pianeta” (tra cui il nostro paese) mandano a dire alla Casa Rosada che deve «continuare a lavorare con il Fmi, visto che sta dando passi nella direzione giusta».

«L’Argentina ha preso misure importanti, ma resta ancora molto da fare» ha detto Paul Martin, ministro per l’economia del Canada. Una maniera non proprio diplomatica per far pressioni sul governo Duhalde, che ha annunciato forti tagli alla spesa pubblica e la libera fluttuazione del peso, condizioni indispensabili perchè il Fmi riapra i cordoni della borsa.

Ma per il Fondo non si è andati ancora abbastanza a fondo: chiede altri tagli alla spesa sociale e reclama una riprogrammazione del pagamento del debito estero a cambio di nuovi prestiti per il paese che “deve” circa 142 miliardi di dollari, con un sistema finanziario a  pezzi, almeno quattro anni di recessione ed una disoccupazione di circa il 40% (tra disoccupati e precari).

 

E’ di ieri la notizia che i principali gruppi bancari stranieri hanno esportato  allegramente capitali per milioni di dollari, proprio mentre i risparmiatori argentini avevano i conti correnti bloccati con il famoso “corralito”.

 

L’altra notizia si riferisce alla riunione a Buenos Aires dei capi di Stato  dei paesi del Mercosur, un accordo verso un mercato comune che riunisce Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay ed i paesi associati Cile e Bolivia. E’ la prima volta che ciò avviene dalla sua entrata in vigore nel 1995, anche a causa di scontri sui dazi di importazione, in particolare tra Brasile ed Argentina.

 

Al contrario di quella del G7, la dichiarazione finale di “solidarietà verso l’Argentina” fa appello agli organismi di credito internazionali affinché «comprendano la situazione del Paese e si rendano conto che l’appoggio che chiede è legato ad una gestione politica interna che mira alla crescita economica».

 

«Il fatto che l’Argentina si sia lasciata alle spalle la parità fissa consentirà di procedere più facilmente nell’integrazione macroeconomica dei paesi del Mercosur» ha dichiarato il presidente cileno Ricardo Lagos. E’ questo l’obiettivo dei paesi latinoamericani, in particolare del Brasile che si candida ad essere la locomotiva del blocco economico.

C’è da rilevare che il presidente brasiliano Cardoso non aveva mai visitato  l’Argentina durante i  due anni del precedente governo di “centrosinistra” di Fernando de la Rua, particolarmente freddino sul Mercosur.

 

Ma sullo sfondo c’è l’Alca (Area di Libero Commercio delle Americhe), dal Canada alla Terra del Fuoco, un progetto fortemente voluto dall’amministrazione Bush, che dovrebbe essere operativo nel 2005, in chiara rotta di collisione con quello del Mercosur. Un progetto che ricalca fedelmente i negoziati in sede Omc e che anzi li oltrepassa abbondantemente, contro cui anche a Porto Alegre vi è stata una grande manifestazione di piazza.

 

Se dunque l’Alca è l’obiettivo finale, ed il Plan Colombia è il suo braccio armato, la dollarizzazione strisciante o esplicita (Ecuador, Salvador, Panama) delle economie latinoamericane ne rappresenta lo strumento finanziario.

E’ forse questa una chiave di lettura del mancato “salvataggio” dell’economia argentina?