Argentina al ballottaggio

di Marco Consolo.

Le elezioni argentine di domenica scorsa consegnano uno scenario elettorale incerto e lontano dalle aspettative.
Come si sa, 32 milioni di Argentini erano chiamati ad eleggere il Presidente dei prossimi 4 anni, la metà della Camera dei Deputati (130 seggi), un terzo del Senato (24 seggi), i 43 parlamentari del Parlamento del Mercosur (Parlasur) e diversi governatori. Con un’alta affluenza elettorale (quasi il 79 %), sono le ottave elezioni presidenziali senza interruzioni golpiste e le prime post-dittatura dove si va al ballottaggio.
In base alla legge, nel caso che nessun candidato superi il 45% dei voti o il 40% con una differenza di più di dieci punti con il secondo, si va al ballottaggio il 22 novembre. Ed è questo lo scenario che si è presentato alla fine dello spoglio dei voti.

Tre i principali candidati. Daniel Scioli del Frente para la Victoria (FPV), candidato di sostanziale continuità dell’esperienza kirchnerista (Nestor prima e Cristina poi), che ottiene il 36,7% dei voti.
A destra Maurizio Macri di Propuesta Republicana (PRO), al governo nella capitale che si presentava con il cartello elettorale Cambiemos e la proposta market-frendly di “liberare dai ceppi il mercato”. Macri raggiunge il 34,48%.
Da ultimo Sergio Massa, candidato di Unidos por una Nueva Alternativa (UNA) e dissidente della destra peronista. La campagna elettorale di Massa era stata incentrata sulla necessità di “girare la pagina della storia e farla finita con il kirchnerismo”. Massa si ferma al palo con il 21,23%.
Nessuno dei tre l’ha spuntata al primo turno, nonostante i sondaggi che davano Daniel Scioli come possibile vincitore, anche se il Frente para la Victoria insieme ai suoi alleati, fino ad ora rimarrebbe il gruppo parlamentare più forte alla Camera.
Da qui al ballottaggio è facile prevedere che la battaglia sarà durissima, senza esclusione di colpi. In gioco non c’è solo un’elezione presidenziale, ma la direzione di marcia che l’Argentina sta costruendo dal 2003 insieme ad altri Paesi del continente.

I candidati

Daniel Scioli, dopo una lunga carriera sportiva come motonauta, nel 1997 entra in politica ed è eletto deputato nazionale per Buenos Aires. Confermato nel 2001, ricopre la carica di Ministro del Turismo e Sport durante la presidenza di Carlos Menem. Nel 2003 è proposto da Néstor Kirchner come Vice nella campagna presidenziale. Nel 2007 vince le elezioni a Governatore della Provincia di Buenos Aires dove viene rieletto nel 2011 ed è stato in carica sino a oggi.


La sua proposta centrale è quella di ampliare il mercato interno, approfondire l’industrializzazione e creare opportunità di lavoro. A questo proposito, l’inserzione regionale è vitale. Così come l’idea di rapportarsi con gli attori emergenti di un ordine multipolare, come la Cina e la Russia. Questi rapporti, soprattutto con America Latina e Cina, strategici nella visione di Scioli, viceversa sono visti come il fumo negli occhi da Macri.
Più morbido sulla questione del debito estero e sulla possibilità di chiedere nuovi crediti alle agenzie internazionali, lo è stato in campagna anche sullo scontro con i cosiddetti “Fondi avvoltoio” (Fondos buitres).

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La rimonta di Mauricio Macri, il “Berlusconi argentino”, è stata la vera “sorpresa”: Ingegnere civile, imprenditore ed ex-dirigente sportivo, presidente del Club Atlético Boca Juniors (1995-2008), eletto deputato di Buenos Aires (2005-2007) e dal 2007 ad oggi è stato Sindaco della capitale. Il suo obiettivo era arrivare al ballottaggio per poi cercare di captare il voto degli elettori di Massa. Da segnalare l’appoggio dato al candidato della destra, da parte dell’Unione Civica Radicale (UCR) dell’ex-presidente Alfonsin. Una formazione “social-democratica” che, con questa scelta elettorale, scompare definitivamente da qualsiasi panorama timidamente riformista.

A distanza di sicurezza rimane il terzo contendente, Sergio Massa. L’altra faccia dell’ideologia dello “Stato minimo”, durante la presidenza di Néstor Kirchner è stato Direttore Esecutivo dell’Administración Nacional de la Seguridad Social (ANSES) e Capo di gabinetto. E’ stato inoltre per due volte Sindaco peronista di Tigre, nella Provincia di Buenos Aires. Ha rotto con i Kirchner dando vita al Frente Renovador, che lo elegge deputato per la provincia di Buenos Aires.

A sinistra, penalizzato dalla forte polarizzazione e dal voto utile, c’è da segnalare il risultato di Nicolás del Caño, deputato e candidato del Frente de la Izquierda y de los Trabajadores (FIT), formato dal Partido dei lavoratori socialisti, Partido Obrero e Sinistra Socialista. Il FIT ha fatto una campagna elettorale contro-corrente, arrivando al 3,38%.

La destra moderna di Macri

La sconfitta più cocente per il kirchnerismo arriva proprio dalla Provincia di Buenos Aires, fino ad oggi governata da Scioli e serbatoio tradizionale di voti peronisti. Una provincia che ha voltato le spalle al candidato kirchnerista Anibal Fernandez, ed ha eletto María Eugenia Vidal, la giovane candidata di Cambiemos, attuale Vice-sindaco della capitale. Oggi la destra controlla sia la capitale che la sua provincia, consolidando le speranze di vincere la presidenza.


Mauricio Macri, rappresentante della destra moderna, ha fatto la sua campagna evitando lo scontro frontale, con toni morbidi, parlando di “giustizia sociale” ed appropriandosi delle conquiste ottenute dai governi kirchneristi (a cui ha votato contro sistematicamente), proiettando con un buon marketing elettorale un’immagine di un “cambio necessario” dopo 12 anni all’opposizione.

Scontato l’appoggio a Macri dei grandi media argentini ed internazionali, nonché dei “mercati”, per farla finita con il “populismo” dei governi kirchneristi. Nei giorni scorsi i corifei della finanza internazionale (Wall Street Journal, Financial Times, Bloomberg, etc) hanno usato tutti i loro argomenti. Come riporta La Repubblica, secondo Bloomberg i governi dei Kirchner “hanno litigato con il Fmi, condotto il Paese al secondo default in questo secolo piuttosto che rimborsare i fondi speculativi, si sono guadagnati la fiducia con sussidi ed elargizioni che hanno generato il secondo tasso d’inflazione più alto dell’emisfero”, alle spalle del Venezuela. All’elenco, il Financial Times aggiunge il decremento delle riserve in valuta estera. Secondo il Wall Street Journal, le riserve si sono dimezzate dal 2011 a circa 27 miliardi di dollari: qualunque sia il prossimo presidente, dovrà prendere misure impopolari per tamponare questa emorragia. Basta pensare che il gap tra il cambio ufficiale e quello che accade per le strade è vicino al 70%: sul mercato servono 16,05 pesos per dollaro, contro i 9,52 pesos ufficiali”. Fin qui il giudizio dei “mercati”.

Il progetto nazional-popolare del peronismo kirchnerista

Quando Nestor Kirchner arrivò alla presidenza, con Lavagna come Ministro dell’Economia, il Paese stava appena iniziando a recuperarsi dal disastro sociale ed economico provocato dalle misure neo-liberaliste imposte con il golpe civico-militare che inizia la dittatura (1976-1983) e dai successivi governi.
L’industria nazionale era a terra, praticamente nulla, come risultato dell’apertura commerciale dei 30 anni precedenti, il debito estero era vertiginoso, la disoccupazione era del 17,3%, la povertà colpiva il 50% della popolazione. Un panorama macabro, in un Paese devastato.
Come sostiene Jorge Ceriani, “negli ultimi dodici anni si sono duplicati i lavoratori occupati, oggi il potere d’acquisto è tre volte quello del 2002, la politica dei diritti umani, è tra le più avanzate al mondo. Con la ri-pubblicizzazione di settori importanti dell’economia (petrolio, ferrovie, compagnia aerea di bandiera, sistema pensionistico, ecc), sottratte al patrimonio nazionale nei tempi dell’euforia neoliberista inaugurata dalla dittatura, la tassazione dei profitti dell’oligarchia, la borghesia agraria e le multinazionali ottenuti dall’esportazioni e il recupero della centralità dello stato nella produzione e la distribuzione, si è ri-dimensionato il potere della reazione e ampliata la democrazia. Da ricordare anche la convinta adesione argentina al processo di integrazione antimperialista latinoamericana…”.
Ma non è bastato a vincere al primo turno. E ci si chiede se basti per vincere al secondo.
Dopo tre presidenze consecutive del peronismo in versione kirchnerista, in questi anni l’appoggio al governo è venuto principalmente dai lavoratori, dai settori più emarginati, da frange della classe media. Un capitale politico accumulato grazie all’azione dello Stato, alle politiche pubbliche, in un sistema che ha raggiunto una propria stabilità ed una relativa pace sociale.

Per quanto riguarda la battaglia elettorale, è stata la stessa Cristina Fernández a definire la formula elettorale del Frente para la Victoria, con Daniel Scioli come Presidente e Carlos Zannini a Vice.

Daniel Scioli, Cristina Fernández, Carlos Zannini.

Si tratta di un paradosso del progetto kirchnerista, che ha scelto di non presentare un proprio candidato. Detto in altri termini, il suo principale riferimento politico si ritira dal governo con una alta approvazione, ed una centralità quasi escludente. Nonostante ciò, il suo successore Daniel Scioli, non è la figura voluta, ma appariva come il migliore candidato possibile per affrontare nelle urne la destra che cerca di tornare in sella. D’altra parte, non è un segreto che il Vice, Carlos Zannini, è legato a doppio filo a Cristina e che sia stato messo lì per garantire, in caso di vittoria, la continuità del processo iniziato 12 anni fa.

Le organizzazioni militanti ed i settori sindacali filo-kirchneristi (che riconoscono la direzione di Cristina), con diversi malumori, hanno scelto di appoggiare la formula Scioli-Zannini nonostante i numerosi dubbi e le contraddizioni che Scioli rappresenta.
Con tutti i suoi limiti, il kirchnerismo ha garantito una decade di conquiste, agito il conflitto sociale equilibrando i rapporti di forza verso risultati favorevoli al campo popolare. Si è trattato di una ricostruzione della sovranità popolare e di uno Stato redistributivo, attraverso diverse politiche pubbliche che hanno favorito il mercato interno. Una modalità di governo che non è stata quella di Scioli nella Provincia di Buenos Aires, che si è caratterizzata per l’amministrazione dello stato di cose esistenti, senza un impulso di trasformazione, caratteristica principale di questi ultimi anni.

L’azione del prossimo governo (qualunque esso sia) definirà la direzione della militanza kirchnerista, che ha fatto la differenza in questi anni, in particolare tra i giovani. In caso di vittoria di Scioli (tutta in salita), se darà segnali di un’agenda a favore delle richieste popolari (gli annunci della creazione dei Ministeri dell’Economia Popolare e dei Diritti Umani, della Banca per lo Sviluppo Industriale vanno in questo senso), sarà la mobilitazione popolare organizzata che dovrà trasformarla in politiche pubbliche concrete ed efficaci.


Di certo, Cristina Fernández de Kirchner, lascerà la Casa Rosada, ma non smetterà di essere il riferimento politico dei settori più militanti del kirchnerismo, coscienti delle contraddizioni di Scioli, del processo e di quelle al loro interno.

Le sfide del prossimo governo

Il prossimo governo dovrà comunque affrontare, inoltre, due problemi di tutto rispetto. Innanzitutto è cambiato radicalmente il panorama favorevole dei prezzi delle materie prime (energia, soia, etc.) di cui ha goduto il governo, e che è stato fondamentale per le politiche pubbliche portate avanti, data la caduta verticale sui mercati internazionali.
In secondo luogo il logorio del ciclo economico inaugurato nel 2002 (con una bassa crescita) si allinea cronologicamente con la crisi capitalista che colpisce in particolare i Paesi sviluppati e la stessa domanda cinese.
In questo quadro, risultano incerte, tra le altre, le possibilità di avanzare in settori conflittuali come l’espansione smisurata delle coltivazioni di soia (la “frontera sojera”), l’informalità e la precarizzazione del lavoro, i problemi di accesso alla terra ed alla casa.
Se lo scenario sarà quello dell’aggiustamento strutturale, l’accumulazione organizzativa raggiunta in questi anni dovrà riprendere il conflitto e costruire l’alternativa politica nelle piazze, in caso sia necessario recuperare la direzione di cambiamento.

Temi rilevanti, nel quadro della contro-offensiva statunitense che ha l’obiettivo immediato di cambiare i rapporti di forza in Argentina e Brasile per poi avanzare nei confronti del resto delle esperienze progressiste del continente, a partire dal Venezuela che va a elezioni il prossimo 6 dicembre.

2 Risposte a “Argentina al ballottaggio”

  1. Caro Marco ti invío questo articolo dalla Argentina per aggiungere alcune idee al tuo articolo molto interesante. Purtroppo é scritto in spagnolo, la mia lingua, ed spero che ti sia possibile leggerlo. Grazie:

    UNAS PRIMERAS CONCLUSIONES DE ESTA 1° VUELTA ELECTORAL
    La primera conclusión que hay que sacar de estas elecciones es que no había ninguna razón ni política. ni social. ni económica, para que el FpV tuviera el golpe que ha recibido. Porque independientemente del triunfo final de la fórmula Scioli Zannini, la pérdida de la gobernación de Buenos Aires es un golpe muy importante para la estructura política que ha construido el FpV en estos 12 años. Porque todos sabemos el peso específico de esta provincia en el país. El otro antecedente de pérdida de la gobernación de Buenos Aires fue cuando ganó Armedariz en 1983. Pero perdía frente a un gobierno que fue de centro-izquierda con Alfonsin, mientras que ahora pierde con un candidato que representa la derecha neo-liberal, si bien Vidal no es la mejor representante de ese sector. Es cierto que la crisis económica mundial y en la región, particularmente en nuestro socio Brasil, unido al desgaste natural y los errores cometidos por el kirchenerismo, hacían prever una elección reñida. Y si a esto le sumamos que Scioli no era el mejor representante del kirchnerismo e incluso con los déficits de los últimos años en la gobernación de Buenos Aires, dirigida por él, se podría pensar en un final reñido en la primera vuelta y la consiguiente 2° vuelta. Pero en este escenario, aún desfavorable en muchos aspectos, no se preveía una derrota tan clara en la provincia de Buenos Aires. Y sin entrar en detalle si el candidato era o no el mejor, lo cierto es que la designación de Anibal Fernández como candidato fue el resultado de un lucha interior que desgastó enormemente la autoridad del FpV en Buenos Aires. La forma en que fue bajado Randazzo de la candidatura a presidente, luego su negativa a ser él el candidato único en Buenos Aires y la posterior interna entre Dominguez y Fernández, crearon un marco de mucha inseguridad que favoreció a Vidal. Una candidata que hizo todo lo contrario de Aníbal, y que fue caminar toda la provincia, presentarse dialogando sobre los problemas que aquejan a la región y para nada haciéndose representante del programa y la política del macrismo a nivel nacional. No porque estuviera contra sino porque supo encararse desde otro ángulo que no le requiriera definiciones tajantes sobre las políticas nacionales. Anibal Fernandez, en cambio, hizo campaña desde su puesto como jefe de gabinete y su relación “con los intendentes” del que se jactaba su muy buena relación. Y eso no solo que no es suficiente, sino que se demostró inadecuado y falto de visión frente a los graves problemas que aquejan todavía a la provincia.
    Por otro lado el país que deja el kirchnerismo es una país desendeudado, con enormes conquistas sociales para el pueblo, un desarrollo importante, aunque todavía incipiente, científico e industrial que permitió no solo un crecimiento sostenido, sino poder enfrentar una situación regional y mundial muy adversa manteniendo el empleo, el consumo y dando nuevos derechos solo comparables con las mejores época de Argentina de la época de Perón. Por eso digo que no había razones para un golpe de estas características si no fuera por el mal desempeño de un conjunto de dirigentes políticos del peronismo que nunca supieron, ni quisieron ponerse al frente del proceso despojándose de sus intereses personales. No hace falta nombrarlos porque todos los conocen. Pero lo que es cierto, es que si la renovación de ciertas figuras del peronismo no las hace el mismo peronismo, las termina haciendo el enemgio y de la peor manera. Así pasó en 1983 y en parte ahora. No es igual porque ahora hay una conducción política en Cristina y una camada de dirigentes jóvenes que sabrán cómo recomponerse de esta derrota y encontrar el camino no solo para triunfar en la 2° vuelta, sino para impedir que un futuro gobierno pueda torcer el rumbo de estos 12 años. Y de las derrotas muchas veces se aprende y se sale mas fortalecido. En parte ya lo vimos en 2009 con Nestor aunque ésta es más grave porque está en juego nada más ni nada menos que la presidencia de la Nación. Pero el espíritu debe ser el mismo. Habrá que sacar rápidamente conclusiones y prepararse para las próximas batallas, en especial el 22 de noviembre en la 2° vuelta. Están las posibilidades de ganar, pero también ahora las tiene Macri como no las tuvo nunca. Sea por el efecto “arrastre” sea porque el kirchnerismo no pueda recomponerse interiormente de esta situación. Pero así son las cosas y nunca nada de lo que se hizo en estos 12 años vino de regalo. Y ahora es igual.
    No se sacan 9 millones de votos y se gana en 17 provincias si no hubiera razones políticas, sociales y económicas en el país que den sustento a ello. Lo que hace que el triunfo de Scioli tenga sabor a derrota es pura y exclusivamente la derrota en la provincia de Buenos Aires. Y esto se debe fundamentalmente a que un gran sector del pueblo bonaerense no creyó en Aníbal Fernández. Los 700 mil votos entre blancos y corte de boleta lo indican. Y por qué no creyó? Es una combinación de factores que van desde el comportamiento inescrupuloso de una camada de dirigentes medios corruptos dentro del peronismo que actuó contra, pero también que Aníbal Fernández no supo encontrar los canales para llegar a la gente y demostrar con argumentos cómo salir de los problemas que la gobernación de Scioli tuvo en estos últimos años. Porque no nos engañemos con esto. No me quedo solo con la traición que pudo haber existido. El problema es más profundo y pasa por la creencia de que lo logrado hasta ahora es suficiente. Y no es así. A cada paso andado, hay que pensar en los que faltan y no solo en los que se hicieron. Y muchos candidatos se quedaron con lo que se hizo. Y en realidad es Cristina la única que puede hablar de lo que se hizo, por fue ella y Néstor que lo hicieron. A todos estos agreguemos sí, la función de los medios, pero no nos quedemos con eso. De las derrotas se sale enfrentándolas y no mirando hacia otro lado o buscando culpables. Los 9 millones de votos y las 17 provincias ganadas serán una garantía de triunfo si sabemos primero, no desconcertarnos con esta “derrota”, y segundo, manteniendo más que nunca en alto las convicciones que nos han puesto en este lugar de la historia. Parrafraseando a Néstor ” uno puede ganar o perder una elección, pero lo que nunca se deben perder son las convicciones”
    26 de octubre de 2015
    Guillermo Marino
    [email protected]

  2. Temible el cambio de politica internacional invisibilizar a Nuestra America girar al imperio Mucha trsteza en la ciencia y la cultura y el casi 50 otro%

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