Colombia, la guerra annunciata

Dopo l’intervento “umanitario” nei Balcani, la lotta al narcotraffico in America latina è la maschera della strategia Usa nel nuovo ordine imperiale

 Di Marco Consolo- Liberazione 9-7-2000

 

Di ritorno da Bogotà all’aereo che ci riporta in Italia ci appaiono i lampi di un violento temporale, vera e propria metafora della realtà colombiana.

Proprio mentre, nell’ambito del difficile processo di pace, il tavolo comune tra il governo e la guerriglia delle Farc-Ep dava vita in Colombia alla “Conferenza internazionale sulle coltivazioni illecite e l’ambiente”, alla presenza di tutti gli ambasciatori dell’Ue e di Giappone, Canada, Svizzera, Norvegia e Vaticano, il Congresso statunitense approvava il “Plan Colombia”. Gli Stati Uniti, nonostante l’invito, hanno disertato l’incontro, che si è svolto il 29 e 30 giugno in diretta radio e tv (un milione di spettatori), nelle montagne di Los Pozos del Caquetà, cui ha partecipato una delegazione del nostro partito composta da Nichi Vendola della Direzione e da Marco Consolo del Dipartimento Esteri.

Nel pacchetto di 1318 milioni di dollari che riguarda la regione andina, ben 930 sono destinati a Bogotà (un aumento dell’800% rispetto al passato) ed il resto a Bolivia, Ecuador, Perù ed alla costruzione di basi “antidroga” del Pentagono nel continente. Elicotteri sofisticati per l’esercito e la polizia, basi radar, aerei spia, insieme a pochi spiccioli per “programmi sociali”.

Ma al di là delle cifre, il dato più inquietante è una piccola “clausola di riserva” che lascia mano libera a Clinton. Il paragrafo recita: “Il Presidente degli Stati Uniti potrà ovviare al numero massimo di 600 militari e 300 contrattisti per un periodo di 90 giorni nel caso in cui le forze militari siano coinvolte in ostilità o esista un’evidenza credibile che lo saranno”. Uno scenario che ricorda i primi anni dell’escalation interventista nel Vietnam.

Il giorno prima dell’incontro, Javier Solana, responsabile della politica estera dell’Ue, era volato d’urgenza a Bogotà per convincere gli ambasciatori europei della necessità dell’appoggio finanziario dei rispettivi governi al Plan Colombia.

Alla sua presenza, venerdì scorso a Madrid, la riunione dei paesi donatori ha deciso un contributo di altri 871 milioni di dollari. Ma, al di là della facciata, molti governi europei sono restii ad impegnarsi in un piano che riserva all’Europa la “carota” sociale ed agli Stati Uniti il “bastone” militare per il controllo del “cortile di casa”.

 

Una crisi profonda

 

La Colombia vive il momento più difficile della sua storia. Innanzitutto una grave crisi economica,

approfondita da una sfrenata politica neoliberista, che provoca quotidianamente in tutto il paese scioperi, blocchi stradali, manifestazioni, occupazioni di terre. La risposta è la violenza di Stato. Sul versante istituzionale e politico la crisi è ancora più profonda, ed è prossimo un rimpasto di governo dopo le recenti dimissioni del ministro delle Finanze, Juan Camilo Restrepo. La crisi ha spaccato trasversalmente l’oligarchia dei partiti tradizionali, liberali e conservatori, che ha governato con tratti profondi di corruzione e di narco-capitalismo.

La forte presenza della guerriglia delle Farc-Ep ed, in misura minore, di quella dell’Eln (con  quest’ultima si annuncia l’apertura del dialogo con il governo in Svizzera a fine luglio), completa un quadro che preoccupa fortemente il governo statunitense.

L’interventismo si chiama oggi “Plan Colombia”, grottescamente definito da Clinton come un modo per «preservare la democrazia ed appoggiare i diritti umani nel paese». Ma il suo zar antidroga, il generale Barry McCaffrey, dichiara esplicitamente che serve «a recuperare il controllo nel sud del paese, attualmente sotto controllo della guerriglia». Certo non servirà a vincere la guerra, se non si eliminano davvero le sue cause: la mancanza di giustizia sociale ed economica, di una vera riforma agraria, del rispetto dei diritti D umani. Il futuro che attende la Colombia è fatto di distruzione, guerra indefinita, indebitamento.

Come spiegava cinicamente John Foster Dulles, un ex-Segretario di Stato, «quando gli Stati Uniti donano armi, stanno comprandosi un cliente». Davvero agghiaccianti le dichiarazioni del presidente colombiano Pastrana: «Una buona notizia, sono molto soddisfatto, i colombiani devono essere molto contenti».

 

Gli “aiuti” di Washington

 

Nel frattempo aumentano vertiginosamente i “consiglieri militari” statunitensi. Ufficialmente non più di 300 sono in realtà, secondo alti ufficiali anonimi delle Forze Armate, già più di 5000 ed addestrano le truppe colombiane nelle basi di Tolemaida (Tolima), Barrancones (Guaviare) e nel Comando Specifico di Oriente di Tres Esquinas (Caquetà). Una “vietnamizzazione”  strategicamente distante dalla guerra aerea della Nato contro la ex-Jugoslavia.

A ciò si aggiunge l’appoggio tecnico all’aviazione militare, con aerei-spia ad alta tecnologia che raccolgono informazioni sui movimenti guerriglieri, elicotteri Black Hawk per il combattimento notturno, equipaggiamento elettronico, radar controllati da specialisti statunitensi, mezzi anfibi da combattimento. Se fino a poco tempo fa era un’eccezione, oggi la regola è la presenza nei combattimenti di ufficiali nord americani, la loro direzione di operazioni militari e il loro coinvolgimento ad operazioni coperte. Al fronte combattono ufficiali statunitensi di origini latine, in molti casi colombiane. Non bisogna dimenticare il paramilitarismo,  il terrorismo di Stato cresciuto sotto l’ombrello della “dottrina della sicurezza nazionale”, strumento indiretto che permette agli alti comandi di massacrare, torturare e far scomparire i dirigenti sindacali, contadini e studenteschi senza apparire coinvolti.

L’obiettivo dichiarato è “ripulire dalla sovversione” le zone contadine (le più ricche) ed aumentare i rifugiati nei paesi vicini come il Venezuela (massacro del Nord di Santander), Panamà (assassinio a Zapzurro nel Chocò) e nell’Ecuador (strage del Putumayo) per destabilizzare le frontiere e spingere all’intervento militare esterno.

In caso di vittoria della guerriglia è pronta una forza controrivoluzionaria armata ed organizzata.

 

L’accerchiamento militare

 

Dopo il ritiro forzato delle truppe del Comando Sud da Panama dello scorso dicembre, gli Usa mantengono le basi di Guantanamo (Cuba), Roosevelt Roads (Porto Rico), ne costruiscono nuove in America Latina e nei Caraibi, le cosiddette “Località Operative Avanzate” (Forward Operating Locations-FOLS) per aumentare il controllo militare continentale ed accerchiare la Colombia.

A Porto Rico la base navale di Vieques, nonostante le proteste della popolazione, si prepara ad accogliere i comandi aerei in arrivo da Howard a Panama.

Altre “basi d’appoggio per combattere il narcotraffico” per aerei-spia si stanno costruendo nelle isole di Aruba e Curaçao, con la luce verde del governo olandese. In Honduras si ristruttura lo scalo militare di Soto Cano per gli aerei Awacs. In Perù si concentrano le Forze Speciali per il controllo fluviale e delle frontiere nelle basi di Riverine, vicino Iquitos in Amazzonia. Nella selva ecuadoriana di El Cocay, e nella base aerea di Manta, porto sul Pacifico.

Non gli è riuscito con il Venezuela di Chavez che ha negato lo spazio aereo, né con il Brasile che ha esplicitato in diverse occasioni la sua contrarietà ad un intervento militare. C’è n’è abbastanza per mobilitarsi contro una guerra annunciata.