Colombia, la parola alle armi

Scaduto l’ultimatum alle Farc

 

di Marco Consolo – Liberazione 15-1-2002

 

 

 

Non solo Afghanistan. In Colombia ieri sera alle 21.30 ora locale è scaduto l’ultimatum del governo Pastrana alla guerriglia delle Farc-Ep.

Se da Washington e  dalla presidenza Ue si sprecano le dichiarazioni di appoggio a Pastrana, in America Latina le prime reazioni sono contrastanti.

Contrari alla rottura Fidel Castro ed il presidente venezuelano Hugo Chavez, attuale presidente del gruppo dei 77 paesi poveri (G 77), che ha criticato apertamente la decisione di Pastrana. «La via della Colombia non è quella delle armi, ma una soluzione politica » ha detto Chavez che ha aggiunto: «Occorrono sforzi sovrumani per cercare la pace».

 

Ma alle frontiere la tensione è altissima.

 

In Ecuador l’esercito ha minacciato di uccidere i guerriglieri che potrebbero attraversare la frontiera, mentre da mesi agiscono indisturbati gli squadroni della morte paramilitari. Il Perù ha rafforzato le proprie guarnigioni.

Il Venezuela ha allertato la “Guardia Nacional”, il Brasile vigila sui suoi 1600 chilometri ed anche a Panama il pattugliamento è serrato.

Dagli Usa il Ministro degli Esteri messicano, Jorge Castaneda, ha minacciato di chiudere l’ufficio di rappresentanza delle Farc in Messico.

 

Mentre scriviamo, gli ambasciatori dei dieci “Paesi facilitatori” del dialogo di pace (tra cui l’Italia) sono a S. Vicente del Caguàn (dove dal gennaio 1999 sono avvenuti i colloqui tra governo e Farc-Ep) per incontrarsi con i comandanti guerriglieri.

 

Ed in Colombia ora la parola passa alle armi che da 37 anni non hanno mai taciuto.

 

I generali si dichiarano difensori della “civiltà cristiana occidentale” e mostrano i muscoli ma, soprattutto, l’apparato bellico “made in Usa” del famigerato “Plan Colombia”: tra l’altro decine di elicotteri “Black Hawks” e super-Huey, 4 aerei-spia, aerei OV-10, Tucano, Caravan e Gavilan.

 

Sono 23mila i soldati (esercito, marina, aviazione) in allarme, di cui molti già ai limiti dell’area  pronti a rioccuparla, in particolare dalla base di “Tres Esquinas”, con 13mila uomini a circa 10 minuti di distanza. Il più sofisticato ed equipaggiato laboratorio di guerra e di spionaggio del continente, in posizione strategica alla confluenza dei fiumi Putumayo, Caquetà e Orteguaza. Una base di più di 1500 ettari, che dispone di una pista d’atterraggio grande come quella dell’aeroporto  internazionale di Bogotà, circondata da 8 anelli di sicurezza, fossati, filo spinato elettrificato, video e sensori elettronici che avvertono della presenza di estranei in un diametro di 100 km.

A poca distanza il porto fluviale, costruito con materiale importato dagli Usa, con una complessa struttura metallica sommergibile in grado di emergere in caso di piena.

 

Le comunicazioni e lo spionaggio della base sono garantiti da un ombrello di sofisticatissime antenne, presto rafforzate da un radar del costo di 25 milioni di dollari, alla cui inaugurazione assisterà il presidente Pastrana.

 

Ed in queste ore, per timore della repressione dell’esercito, quasi centomila abitanti stanno lasciando la zona di S. Vicente del Caguàn, aumentando la cifra drammatica di quasi due milioni di rifugiati interni.