Colombia, Uribe Velez, uomo dell’ultra destra vince le elezioni presidenziali.

Forte l’astensione  Il 53% della popolazione non si è recata alle urne. Sul voto ha pesato la disperazione di una popolazione stanca della guerra

 

di Marco Consolo – Liberazione  28-5-2002

 

 

Non era mai successo che un candidato presidenziale in Colombia vincesse le elezioni senza ricorrere al ballottaggio. Ci è riuscito Uribe Velez, uomo dell’ultra destra, dissidente del Partito Liberale, eletto al primo turno presidente della Colombia con il 53% dei voti nelle liste di “Prima la Colombia”.  A grande distanza, con il  31%, Horacio Serpa, candidato ufficiale dei liberali. In terza posizione, con il 6,2%, (circa 680.000 voti) Lucho Garzòn, ex presidente della Cut (Centrale Sindacale), candidato del “Polo Democratico”, la formazione di centrosinistra impegnata in una difficile campagna elettorale, tra minacce, attentati ed omicidi dei suoi sostenitori.

 

Ma il primo dato significativo è la forte astensione di circa il 53% della popolazione.

 

In pratica Uribe è stato eletto dal 25% dei votanti, in particolare nelle città, N sfiorate dalla guerra civile che insanguina il paese da più di 35 anni. Di diverso segno l’astensionismo rurale, sia per l’altissimo numero di sfollati di guerra (quasi 2 milioni e mezzo), sia per l’appello al non voto della guerriglia delle Farc-Ep.

Il secondo elemento è la profonda crisi dei partiti tradizionali, conservatori e liberali. Il partito conservatore del presidente Pastrana, che fino a poco tempo fa non riusciva ad esprimere un candidato, ha ottenuto poco più del 5%. I liberali, dal canto loro, subiscono la sconfitta del candidato ufficiale, Serpa e la vittoria di un loro dissidente. Il partito liberale, membro dell’Internazionale Socialista, rappresenta gli interessi di un settore importante dell’oligarchia al potere e riunisce personaggi di diversa indole, compresi i paramilitari. Un esempio per tutti: il prossimo vice-presidente, Francisco Santos, è tra i maggiori azionisti de “El Tiempo”, la principale nonché unica testata nazionale, che si è schierata con Uribe.

 

Ma sarebbe semplicistico attribuire la vittoria del candidato fascista solo all’appoggio dei mezzi di comunicazione, dei latifondisti, dei narcotrafficanti, degli imprenditori e della gerarchia cattolica.   Sul voto ha pesato la disperazione di una popolazione stanca di guerra che si affida alla promessa salvifica di “ordine e  sicurezza”.

 

Di certo, l’elezione di Uribe significa l’approfondimento dell’interventismo statunitense con il Plan Colombia, l’applicazione ortodossa delle politiche neoliberiste del Fmi, la guerra ai piccoli coltivatori di coca attraverso le “fumigazioni” e non ai veri narco-trafficanti, il taglio alle spese sociali ed il forte aumento di quelle militari, l’appoggio agli squadroni della morte che assassinano i contadini per poter disporre delle terre a favore dei macro-progetti delle multinazionali, la violazione massiccia dei diritti umani e l’impunità totale per le forze armate. Un dato per tutti: la metà dei sindacalisti uccisi nel mondo sono colombiani.

 

Sul versante della guerra interna, Uribe appoggia apertamente la soluzione militare, coltivando l’effimera speranza di una sconfitta militare delle due formazioni guerrigliere, le Farc e l’Eln, attive da più di 35 anni nel paese. Uribe conta con l’appoggio degli squadroni della morte, che hanno contribuito alla sua precedente elezione a governatore del dipartimento di Antioquia. I paramilitari che controllano già il 35% degli eletti alle elezioni legislative dello scorso marzo, si sono mobilitati in forze, intimidendo ed uccidendo i sostenitori degli altri candidati. Nel suo programma elettorale ha proposto  di armare un milione di civili.

 

Quando ancora non si era concluso il conteggio dei voti, l’ambasciatrice statunitense, Anne Patterson, è andata a complimentarsi con Uribe ed ha annunciato la visita di un alto funzionario di Washington per la prossima settimana.

 

Sul versante internazionale peggiorano i non idilliaci rapporti tra Colombia e Venezuela.

Il governo colombiano ha infatti concesso l’asilo politico a Carmona Estanga, l’imprenditore golpista venezuelano, presidente per sole 26 ore grazie al tentativo di colpo di stato dell’11 aprile scorso.

Carmona si era rifugiato nella residenza dell’ambasciatore, per sfuggire agli arresti domiciliari decretati dalla Corte Suprema venezuelana per “usurpazione di funzioni” e “ribellione”. Il ministro degli esteri di Caracas, Alfonso Davila, ha reagito con durezza ricordando come Carmona non fosse né in pericolo di vita, né perseguitato, ma solo sotto inchiesta.