Il business degli aiuti umanitari

di Giovanni Russo Spena e Marco Consolo

Le poco nobili ragioni dei nobili interventi umanitari. Regnano non solo il caos di progetti contraddittori e a volte anche controproducenti, ma anche speculazioni e ruberie. Occorre passare dall’emergenza alla programmazione dello sviluppo. Dare maggiore ruolo alle Ong locali.

I trattato di Maastricht, che istituisce l”Unione Europea (Ue), definisce la politica comunitaria di cooperazione allo sviluppo “complementare” a quel la dei singoli stati membri. Oggi esistono infatti sedici politiche di cooperazione in Europa: quelle dei quindici membri dell’Unione più quella gestita direttamente da Bruxelles, spesso in concorrenza, con principi guida, regole amministrative ed | obiettivi politici diversi, Una gran confusione, insomma, le cui contraddizioni si scaricano direttamente sui Paesi del Sud del mondo, che vedono messe in pratica nei loro territori strategie di ogni tipo e per giunta non coordinate.
Recentemente la Ue ha approvato un nuovo documento comune in cui si sottolinea che la “complementarietà della politica comunitaria con le politiche perseguite dagli Stati Membri potrà essere raggiunta solo se tutte queste politi- che sono guidate da obiettivi comuni, se tali obiettivi vengono tradotti a livello settoriale ed operativo in misure comuni e se l`efficacia degli interventi nazionali e comunitari viene valutata congiuntamente?
Nello stesso documento vi ai un appello ai Consiglio dei Ministri della Ue (organo ministeriale che raccoglie tutti i responsabili governativi della cooperazione allo sviluppo): “l) le politiche settoriali devono essere definite c/o aggiornate al fine di orientare le attività di sviluppo della Comunità c degli Stati Membri; 2) devono concordarsi priorità comuni a livello generale e/o nazionale; 3) le particolari difficoltà di alcuni Paesi o regioni devono essere discusse per giungere a soluzioni reciprocamente accetta- bili e per coordinare le rispettive azioni”.
Un tentativo di concretezza, rispetto alle fumose dichiarazioni di “complementarietà” definite nel Trattato. Un’innovazione rispetto al caos totale del passato, Un passato (ed un presente) fatto di progetti non coordinati e contraddittori, finanziati per dare sussidi alle proprie imprese nazionali, per la conquista di mercati minacciati dalla presenza di qualche altro concorrente o per tacitare l”opposizione interna.
Certo gli interessi e gli egoismi nazionali approfondisce- no le resistenze al coordinamento tra chi concepisce la politica di cooperazione come “”longa manus” della propria politica estera, del proprio commercio estero o del prestigio internazionale (tipo Francia, Italia 0 Gran Bretagna). Dietro a queste resistenze si nascondono disegni di grandeur frustrata (Francia), la voglia di ri-bilateralizzazione degli aiuti (Gran Bretagna), la volontà di chiudere con la cooperazione non esclusivamente commerciale (Italia) o di rilanciare la cooperazione per motivi di prestigio interno (Spagna).

AIUTI UMANITARI E POLITICA DI COOPERAZIONE
Particolare enfasi viene posta sui cosiddetti “aiuti umanitari”. Dal 1993 l’Unione Europea si e data uno strumento innovativo per la loro gestione. Si tratta di Echo (European Community Humariitarian Office) che, nel 1994, ha impegnato 764 milioni di Ecu (1 Ecu = 1900 Lire circa) in 63 Paesi. In particolare per il 42,4% nei Paesi Acp (Africa, Caraibi e Pacifico) legati alla Ue dalla Quarta Convenzione di Lomè; per il 35,3% nella ex-Jugoslavia, per il 12.3% nell’ex-URSS e, per il resto, nell’America Latina (2,8%) e in Africa del Nord (0,5%). L’S5% dell’Aiuto umanitario di Bruxelles è stato distribuito direttamente da Organizzazioni non governative (Ong) per un 42%; dalle agenzie delle Nazioni Unite, tipo l`Alto Commissariato per i Rifugiati Unhcr (33%); mentre il resto e stato gestito da organismi internazionali. Nota dolente rimane la mancanza di coordinamento, che aumenta la dispersione degli aiuti e ne diminuisce l’efficacia.

I RISCHI DI DIPENDENZA
il rapporto di Echo rilancia il dibattito sulla reale 0 presunta efficacia degli aiuti umani- tari. E` certamente vero che se da una parte e necessario intervenire con rapidità laddove la cosiddetta “catastrofe umanitaria” lo impone, dall’altra gli aiuti umanitari creano alla lunga dipendenza per le popolazioni che li ricevono. Urgenza di questi interventi si scontra troppo spesso con lungaggini burocratiche che servono più ai “donatori” che alle “popolazioni beneficiarie”.
Inoltre l’accento posto sulla dimensione umanitaria e di “emergenza” dell’intervento verso il Sud del mondo. va a scapito della programmazione di coerenti politiche di cooperazione. L’aiuto umanitario oggi è molto “di moda”: l`opinione pubblica internazionale, scossa dagli avvenimenti (Ruanda, Burundi, Sudan, Somalia, ecc.) chiede di intervenire con urgenza. Ma non si può pensare che gli interventi umanitari sostituiscono la politica 0 che risolvano i problemi che la cooperazione intemazionale non riesce ad affrontare. Ci si dimentica che solo uno “sviluppo sociale ed umano'” a medio e lungo periodo può garantire l’autosufficienza delle popolazioni.
In un mondo dominato dai mezzi di comunicazione di massa anche le tragedie diventano spettacolo. Se da una parte ciò contribuisce positivamente a risvegliare la coscienza pubblica sulla necessità ed urgenza della solidarietà, ciò rischia di diffondere tra la maggioranza delle persone l’idea che basta inviare riso, pasta e sapone perché i problemi del Sud del mondo siano risolti. Certo questi aiuti sono importanti, ma è ancor più importante che i Paesi del Sud del mondo siano in grado di controllare davvero la produzione e la distribuzione della ricchezza.
L’esercizio sincero di solidarietà internazionale, con cui far fronte ad una crisi immediata, E: da sostituire nel più breve tempo possibile con politiche di sostegno economico e sociale che puntino ad uno sviluppo autonomo, eco e socio-compatibile delle società del Sud. Ciò comporta una profonda ristrutturazione della cooperazione, ma soprattutto una democratizzazione delle regole mondiali dell’economia e della politica che, alle stato attuale, non fanno che alimentare l’esclusione sociale (dalla produzione e dal consumo) dei 4/5 dell’umanità.

L’ASSOCIAZIONISMO LOCALE
In questo quadro un primo passo fondamentale da compiere è il maggior coinvolgimento dell’associazionismo locale nei progetti di cooperazione oltre che nella gestione degli aiuti umanitari. Oggi la situazione è tutt’altro che rosea: mentre le 150 Ong europee che lavorano con Echo gestiscono il 42% dell’aiuto umanitario europeo (pari a 254 milioni di Ecu), le Ong locali sono presenti solo per seicentomila Ecu (anno 1994) spesi esclusivamente nei Territori Occupati della Palestina soprattutto a Gaza e a Gerico, a sostegno dell’Autorità Nazionale Palestinese di Yasser Arafat. I dati degli ultimi anni evidenziano, tra l’altro, una netta caduta, se si pensa che nel 1993 il totale dei fondi gestiti localmente ammontava a 4,7 milioni di Ecu soprattutto per l’intervento della Mezzaluna Rossa a favore delle popolazioni curde dell’lraq dopo la guerra del Golfo.
Ma e la dimensione locale delle Ong che andrebbe valorizzata: proprio perché conoscono meglio il territorio. la cultura c la società locale, le dinamiche politiche ed economiche della regione il loro protagonismo potrebbe aumentare l’efficacia dell’aiuto umanitario, rafforzando il know-how. una competenza tecnica che rimanga oltre le attrezzature.
Ma ciò non avviene perché siamo di fronte ad una grande speculazione gestita dai “mercanti della fame”: le catastrofi umanitarie “si vendono bene”. La gente si appassiona ai tragici avvenimenti di questo 0 quel Paese grazie al processo di “spettacolarizzazione”; i soldi per l’emergenza non mancano. Ma e la stessa Emma Bonino, Commissario Ue, a denunciare che “oltre il 20% degli aiuti si perde per strada tra autorizzazioni amministrative e dirottamenti vari”.

IL CASO ITALIANO
Anche nel caso italiano la gestione da parte del Ministero degli Esteri degli aiuti di emergenza si e caratterizzata per la totale incapacità gestionale, il pressappochismo. il clientelismo, la mancanza di coordinamento con gli altri “donatori” internazionali e addirittura con gli altri interventi della stessa cooperazione ufficiale italiana. In più di un caso gli scandali hanno provocato l’intervento della magistratura, quando noir sono stati messi a tacere rapidamente: dagli aiuti avariati (Ferruzzi) respinti al mittente (Perù), al latte in polvere spedito in zone ad alta siccità (Somalia, Maghreb). Per non parlare dei lucrosi guadagni sulle forniture con i prezzi gonfiati (caso Albania) o del vero e proprio scandalo della gestione Aima di quote della produzione nazionale “accantonate” per gli “aiuti”.
Un altro dei fenomeni molto discussi è l`impatto economico degli aiuti di emergenza sul mercato locale. Spesso infatti si assiste ad una vera e propria distorsione dei prezzi di mercato a causa degli ingenti quantitativi alimentari, che hanno causato, in diversi casi, l’abbandono di coltivazioni che non risultavano più convenienti: è il caso delle patate inviate ai paesi che non sono produttori.
L’ultima drammatica “ciliegina sulla torta” è la denuncia di questi giorni relativa alla gestione degli aiuti italiani per la ex -Jugoslavia dirottati da funzionari compiacenti verso il mercato nero o gestiti in maniera selettiva esclusivamente a favore della Chiesa cattolica e delle truppe croate.
Ed anche in Italia oggi assistiamo ad un altro preoccupante fenomeno: una certa conversione delle stesse Ong, anche sindacali, agli aiuti d’emergenza a discapito dei programmi di cooperazione. Processo comprensibile ma rischioso perché mette in discussione l’essenza stessa della cooperazione internazionale, che deve puntare al protagonismo dei popoli, alla presa di possesso delle leve della propria liberazione.
L’attuale livello della cooperazione altrimenti, non “ripensata”, non “rifondata” rispetto ai colossali processi di neocolonizzazione in corso, rischia di diventare l’altra faccia della medaglia o un complemento delle politiche imperialiste. E’ nostra precisa convinzione che non si lavorerà seriamente ad una “nuova cooperazione” senza una inchiesta precisa che investa le forme, i modi, i mezzi, i meccanismi dello sviluppo, Oggi sono ridottissimi gli spazi economici e sociali per gestire assistenzialismi o per (nobili) umanitarismi; ed i futuri meccanismi di sviluppo, dentro l`attuale configurazione e tendenza, saranno sempre più “maltusiani” ed escludenti. Può l’associazionismo eludere ancora a lungo tale problema non solo strutturale e politico, ma anche di identità, di ragion d’essere della cooperazione stessa?