Il fronte infinito

Il night club, teatro della strage, durante i primi soccorsi

 

Di Marco consolo – Liberazione 9 febbraio 2003

Riesplode la Colombia, uno degli altri fronti della guerra globale, infinita ed indefinita, di questa globalizzazione. Il muro di silenzio è rotto dai riflettori che si accendono solo su fatti eclatanti come il terribile attentato di ieri. Una strage che condanniamo fermamente, la cui dinamica ricorda le bombe del passato. Quello della strategia della tensione colombiana che utilizzava la manovalanza dei cartelli della cocaina. Viceversa, i riflettori sono spenti sul conflitto sociale ed armato, sulle fumigazioni indiscriminate, sui massacri del terrorismo di Stato che ammazza sindacalisti ad un ritmo secondo solo alla Nigeria. Il Presidente paramilitare Uribe cerca di riciclare i impresentabili figliocci paramilitari, chiama ad un referendum truffa che stravolge la sostanza delle leggi sul lavoro ed il precario assetto istituzionale. Il falco Uribe chiede a gran voce l’intervento dei marines in Colombia contro il terrorismo internazionale, come definisce la guerriglia ed i movimenti sociali. Mentre i tassi di disoccupazione crescono insieme alla miseria, e la corruzione dilaga nel governo, il “piccolo Bush” è impegnato in una campagna acquisti di informatori a suon di svalutati pesos. Ai soldi ci pensa il Fondo Monetario Internazionale, che ha approvato l’ennesim0 maxi-prestito-debito a cambio di più lacrime e sangue. Ieri, puntuale, la bomba contro la discoteca, che rimarrà impunita come avviene nel 95% dei casi da parte di una giustizia che ha appena scarcerato il narcotraffìcante Orejuela.

Di certo, Washington non sta alla finestra. La lettura distorta del conflitto (opposti estremismi in lotta per il controllo della droga) si accoppia al silenzio sul narcocapitalismo e su una a guerra a bassa intensità, anch’essa infinita ed indefinita, in versione colombiana che sperimenta tecnologie sofisticatissime di controllo. E, come in una foto sbiadita del passato i berretti verdi sono oggi ufficialmente in Colombia, a difesa dei profitti dell’oleodotto della Occidental Petroleum, alla frontiera col Venezuela, nella regione di Arauca. Una regione conflittiva di cui abbiamo conosciuto battaglieri rappresentanti indigeni e contadini, oggi stretti dalla morsa del terrorismo di stato e dei marines Il bottino dell’oro nero e delle risorse minerarie, dell’acqua, della bio-diversità amazzonica, val bene i quasi tre miliardi di dollari investiti ad oggi per controllare l’area. Mentre il complesso militare-energetico-chimico, ridisegna la mappa della presenza statunitense in America latina, la crisi economica americana segna il passo della guerra anche nel resto del continente. Ma il Dipartimento di Stato in America Latina è in affanno. Nello scorso aprile un golpe fallito in Venezuela. Poi le vittorie di Lula in Brasile, di Gutierrez in Ecuador ed il “buco nell’acqua” della serrata contro il governo costituzionale di Chavez.

Ed è cosi che la martoriata Colombia, ancora una volta, sembra essere al centro dell’inferno, un laboratorio di un sanguinoso controllo sociale da estendere ai vicini. Oltre alla battaglia cenno l’Area di Libero Commercio delle Americhe (Alca), la primavera di una possibile stagione riformatrice nel continente di Bolivar ha il conflitto colombiano aperto alle tre frontiere. Nel caso dell’Ecuador ha significato la crescente militarizzazione del Paese ed il rafforzamento della fantascientifica base navale e militare statunitense di Manta, di cui le organizzazioni contadine e sociali chiedono conto al neo-presidente. Così come, con il pretesto della “lotta alla droga e l’estendersi delle fumigazioni indiscriminate sul lato ecuadoregno, le migliaia di rifugiati nelle zone di frontiera dove operano i paramilitari (modello colombiano) contro i contadini per appropriarsi delle loro torre e a difesa dei grandi progetti di agroesportazione della Banca Mondiale.

Sulla frontiera venezuelana, il processo di trasformazione bolivariano affronta la stessa destabilizzazione. Nello stato di Zulia, i paramilitari colombiani fanno il lavoro sporco per conto dei latifondisti e delle multinazionali. I contadini venezuelani che reclamano le terre, in base alla Legge sulla Terra approvata dal governo, scompaiono nei pozzi o vengono presentati dai media come guerriglieri colombiani uccisi negli scontri. La polizia, alle dipendenze del governatore antichavista, chiude gli occhi anche sui recenti assassinii di attivisti dei diritti umani che lavoravano con i rifugiati colombiani.

Di certo, Washington non ha mai gradito la contrarietà di Chavez al Plan Colombia, e l’appoggio ad una soluzione politica del conflitto colombiano. Ma se l’ideologia bolivariana vola oltre le frontiere, volano anche gli aerei spia “antidroga” Usa che da un paio di mesi sono stati riautorizzati a sorvolare il Venezuela.