Nestor Kirchner o della contraddizione argentina

di Marco Consolo

Scrivo questa nota mentre sullo schermo televisivo scorrono le immagini della camera ardente per la scomparsa dell’ex-Presidente argentino, Nestor Kirchner. Una fila ininterrotta di  migliaia di persone,  moltissimi giovani, in attesa da  più di 10 ore per rendergli  omaggio. Scorrono le immagini del dolore sincero del popolo, degli umili che hanno riscattato la loro dignità,  insieme al carnevale dell’ipocrisia, delle facce da sepolcri imbiancati, di chi ha cospirato e cospira contro la trasformazione sociale, ma che non può esimersi dal farsi vedere.

Mentre a New York i titoli del debito pubblico argentino sono volati, alla borsa di Buenos Aires le azioni del “Gruppo Clarin”, il gruppo mediatico alla testa dell’opposizione ai governi di Nestor Kirchner e Cristina Fernandez, sono schizzate in alto. Il “mercato” scommette sull’ingovernabilità del Paese e sulla rivincita di una destra messa all’angolo negli ultimi anni.

Personalmente non sono mai stato né “peronista”, né “kirchnerista”.

Ma non c’è dubbio che con Kirchner, se ne va un controverso,  polemico, ma indiscusso protagonista della vita politica argentina, latinoamericana e mondiale.  Kirchner ricopriva attualmente la carica di Segretario Generale di UNASUR, l’organismo dei Paesi latinoamericani intervenuto tra l’altro contro il golpe in Honduras, nella crisi tra Colombia e Venezuela e contro il  recente tentativo di golpe in Ecuador.

La sua vita politica si può dividere in due parti. La prima è fatta di una formazione tradizionale, di una militanza studentesca nella Juventud peronista, durante gli anni ’70, di opposizione alla dittatura militare appoggiata dalla destra peronista.  Come si sa, il peronismo (o i peronismi) sono un fenomeno di grande complessità, che ha fatto versare fiumi di inchiostro, capace di far convivere al suo interno la “triple AAA”, (gli squadroni della morte della dittatura), così come le formazioni guerrigliere contro i militari.  Qualcuno ha detto “acqua chiara insieme ad olio usato”.  Con la fine della dittatura, Kirchner viene eletto come rappresentante peronista in cariche istituzionali, prima Intendente di Rio Gallegos, poi governatore della provincia di Santa Cruz.

La seconda parte è quella dell’attualità, a partire dal suo arrivo alla Presidenza del Paese il 25 maggio 2003. Una vittoria  quasi per azzardo, contro l’ex-Presidente Carlos Menem, l’innominabile, che si era ritirato prima del ballottaggio lasciandolo con un consenso elettorale solo del 20% . Un copione presidenziale attualizzato giorno dopo giorno,  ma che marca momenti importanti nella vita del Paese sud-americano,  quasi senza bussola predefinita a parte il suo richiamo al “progressismo”, ed il  proclamarsi erede degli ideali degli anni ‘70 (aggiungendo però “non dei suoi errori”).

E molte volte questa formazione “doppia” , e profondamente contraddittoria, è stata oggetto di critiche dure, per i suoi  passi avanti e le  retromarce, a seconda dei rapporti di forza interni, cercando sentieri non ancora tracciati.

Senza dubbio,  lo stile dei peronisti si basa sulla centralità del potere. Non tanto sul potere istituzionale (storicamente debole in Argentina), né sui voti o sulla popolarità (anche se il peronismo è stato populista), ma sul potere nella sua forma più brutale: quella capacità di determinare e definire cosa succede o meno nella politica e nella società. E da buon peronista, Kirchner concepiva la politica come una concentrazione di potere e di risorse, senza nulla concedere alla possibilità di cambiare quelle pratiche che lo avevano consolidato come dirigente. L’Argentina, come Kirchner, vive da sempre l’oscillazione (e la contraddizione)  tra capitale e provincie, tra pluralismo e concentrazione di potere. Da Presidente, Kirchner ha scelto non soltanto la leadership forte, (forse indispensabile nel 2003), ma anche la concentrazione nelle sue mani delle decisioni.

Senza dubbio, però, la sua presidenza (e quella della moglie Cristina Fernandez) hanno ridato orgoglio ed autostima alla patria argentina e rappresentato un salto in avanti nella democrazia. Una democrazia piegata prima dalla dittatura, poi dai governi neo-liberali che avevano consegnato il Paese all’imperialismo statunitense ed alle multinazionali USA, ma anche europee ed italiane a cominciare dalle banche. Un Paese in ginocchio ha trovato la forza di rialzarsi recuperando la dignità ed il senso di sé.

La crisi del 2001 era ancora viva nella memoria, con il famigerato “corralito” delle banche che avevano sequestrato i risparmi dei correntisti insieme a quel grido “que se vayan todos !!!” che echeggiava nelle manifestazioni di piazza.  E non c’è dubbio che, dal 2003, la politica argentina è cambiata profondamente.

Innanzitutto quella  dei diritti umani. In un Paese con le cicatrici aperte, non è stata poca cosa. Kirchner ha ricevuto critiche di aver fatto più dichiarazioni che sostanza, ma di certo si è guadagnato il rispetto di milioni di persone. Indimenticabili sono le immagini della sua visita alla famigerata scuola militare dell’ESMA (centro di tortura della dittatura), in cui impone al Comandante in Capo dell’esercito di rimuovere dalle pareti i quadri con l’immagine dei militari della dittatura. Quei generali massoni, che appartenevano alla loggia segreta della P2, finanziati ed appoggiati da Licio Gelli nelle loro imprese assassine.

Il suo governo ha derogato le leggi (Punto Final, Obbedienza Dovuta) che garantivano l’impunità a chi aveva violato i diritti umani, che impedivano di conoscere la verità e punire i responsabili del genocidio della dittatura militare.  Kirchner ha appoggiato con il suo peso politico ed istituzionale l’apertura dei processi contro i “terroristi di Stato”, proteggendo gli organismi dei Diritti Umani (in primis Madres e Abuelas de Plaza de mayo), quasi fino a cooptarli ed a convertirli in un’ articolazione del suo governo.

Ha cambiato la composizione della Corte Suprema di Giustizia, anche se la Corte non ha poi cambiato la giustizia in Argentina.

Ha iniziato a recuperare il controllo pubblico sulle poste, sull’acqua, sulla linea aerea nazionale, imprese privatizzate e regalate a prezzi stracciati alle multinazionali negli anni della “sbornia neo-liberista” di Menem.

Ha cambiato profondamente la politica estera, orientandola in senso “latino-americanista” e di  integrazione continentale,  mettendo fine alle pagliacciate di Menem dei “rapporti carnali” con gli USA, bloccando il tentativo statunitense di costruire l’Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA), rivendicando una nazione indipendente e sovrana.

Ha trasformato la politica di Difesa, democratizzandola, ed iniziando a subordinare le Forze Armate al potere politico, forse per la prima volta nella storia del Paese.

Si è scontrato con i padroni della terra, quei latifondisti che non volevano pagare il giusto per le loro esportazioni.

Ha ri-statalizzato il sistema di previdenza sociale, il business infame di quei “fondi pensione” che si sono arricchiti sulla pelle degli argentini.

E proprio qualche giorno fa, la Presidente Fernandez, ha annunciato la legge che regola l’attività dei mezzi di comunicazione, limitando l’oligopolio ed i latifondi mediatici privati, primi responsabili dell’avvelenamento delle coscienze. Una legge che segna il punto di arrivo di un lungo percorso partecipativo, apertamente osteggiata dai “padroni della parola”, a partire dal Gruppo Clarin.

Dopo 70 anni, ha riformato la legge di proprietà intellettuale proteggendo in particolare gli attori nel loro diritto morale di immagine e nel diritto ad essere remunerati per l’uso della stessa, ragione per la quale figure importanti del mondo della cultura, oggi sfilano davanti al suo feretro, anche se non sono mai state peroniste.

Inoltre l’Argentina ha da poco approvato la legge sul matrimonio delle coppie dello stesso sesso dando un forte impulso alla politica anti-discriminatoria.

Questi alcuni dei fatti positivi dei governi Kirchner e Fernandez. Governi sicuramente non privi di ombre, con molti lati oscuri, con innumerevoli errori, una corruzione interna quasi endemica nel Paese, funzionari impresentabili, una politica economica ondivaga che non ha messo in discussione molti dei poteri economici nei settori chiave (ad esempio quello delle miniere). Tra le ombre, lo scontro politico annoso con l’Uruguay di Tabarè Vàzquez relativo ad una fabbrica di cellulosa alla frontiera dei due paesi, che ha bloccato a lungo le importanti comunicazioni terrestri nella zona tra i due Paesi. Un conflitto parzialmente risolto di recente grazie ai due nuovi rispettivi presidenti.

Sul versante economico il governo Kirchner rivendica di aver rinegoziato il debito estero, sfidato il Fondo Monetario Internazionale, e messo in discussione la cosiddetta  autonomia del “Banco Central” a favore di una politica di sviluppo nazionale.

Viceversa i settori critici della sinistra sottolineano il suo continuismo con la politica economica del governo di Eduardo Duhalde (gennaio 2002-maggio 2003), evidenziato dalla conferma del precedente Ministro dell’ Economia, Roberto Lavagna (dopo la svalutazione del ministro Remes Lenicov). Il compito di Lavagna è stato quello di uscire dal default dichiarato alla fine del 2001 con l’avallo esplicito del governo Kirchner che aveva dichiarato che il suo non era un governo del “non pago”. Il negoziato sul debito in situazione di “cesación de pagos” è stato realizzato nel maggio 2005, con successo per quanto riguarda la sua riduzione e regolarizzazione dell’80% del debito in default.

Con l’arrivo del nuovo ministro, Felisa Miceli, il governo procede al pagamento anticipato al Fondo Monetario Internazionale (FMI) di un debito di ben 9.500 milioni di dollari, ma da quel momento non si è più permessa l’ingerenza contabile  del FMI nei conti dell’ Argentina. Nel settembre del 2010, con il nuovo governo di Cristina Fernández si riapre il negoziato del 20% del debito restante.  Le critiche appuntano al fatto che i governi Kirchner e Fernandez sono stati eccellenti pagatori e se da un lato hanno permesso di fare uscire l’Argentina dal default, ciò è stato possibile utilizzando risorse pubbliche destinate a spese sociali. In altre parole si diminuisce il debito estero a cambio dell’incremento di quello interno, grazie ai tagli alla spesa sociale.

Se l’Argentina è la terra delle contraddizioni, il peronismo è stato storicamente il fenomeno che ne ha riassunte ed espresse molte.

Sul versante politico, Kirchner, lungi dal voler fondare un nuovo partito, aveva deciso di dare la battaglia all’interno del Partito Justicialista, quella struttura incrostata nella macchina dello Stato nella maniera più deleteria, in alcuni casi totalmente mafiosa. Ma che allo stesso tempo ha garantito a settori sociali tradizionalmente ignorati o marginati l’accesso al cibo, alla salute, all’organizzazione sindacale, all’educazione ed alla partecipazione politica. Come è noto, una parte del peronismo si è formata ed affermata nello scontro con i poteri forti tradizionali, con l’oligarchia e la borghesia nazionale, con la strategia imperialista degli Stati Uniti, con l’anima golpista dei militari e con l’influenza ideologica conservatrice e reazionaria della Chiesa cattolica. Nato nel peronismo,  Kirchner non aveva fiducia nella dissidenza e non si sentiva sicuro delle dichiarazioni di lealtà che ai suoi occhi, coprivano successivi tradimenti.  La sua qualità politica principale non era certo la prudenza. Certamente c’è da riconoscergli una capacità politica fatta di ricordi di militanza giovanile, di impazienza contenuta e di pazienza esplicitata verso personaggi della vecchia politica argentina,  di linguaggi populisti che a volte rasentavano la predica, di un orizzonte latinoamericano e riformatore, di un linguaggio popolare che lo rendeva comprensibile ai più, e che utilizzava lo scherzo e la satira contro i poteri forti del Paese.

Con la sua morte, scompare forse l’unico dirigente in grado di tenere insieme la complessa e tormentata realtà dei peronismi, i cui scontri interni nel passato hanno prodotto profondi scontri e crisi istituzionali. Evitare che all’interno del PJ si scateni una lotta feroce per la successione, (come già sembra avvenire in queste ore), è forse la sfida più difficile che ha davanti a sé la Presidente Cristina Fernandez,  Dovrà mantenere il controllo di settori centrifughi del justicialismo che hanno perso rappresentatività, ma che possono pesare sui risultati delle presidenziali del  2011. L’ultimo anno del suo mandato sarà un anno decisivo per il futuro del Paese.

Non c’è dubbio che la sua scomparsa lascia un vuoto politico nel governo della Casa Rosada. Non solo perché molti davano per certa la sua candidatura alle prossime elezioni presidenziali, ma anche perché oltre ad essere il compagno della sua vita,  Nestor Kirchner era senza alcun dubbio, l’assessore principale dell’attuale Presidente.

Ma nonostante questo enorme vuoto, Cristina Fernandez è una dirigente politica ed una statista in grado di tenere la barra della politica, dello Stato e del governo argentino. C’è chi ha cercato di tracciare un parallelismo tra la Presidente Cristina Fernandez e Isabel Martínez de Perón alla morte di suo marito, il generale Juan Domingo Peròn, nel 1974. Nulla di più lontano dalla realtà. A cominciare dal fatto che Isabel (o Isabelita come la chiamava la destra peronista in ricordo della prima moglie Evita Peron) non aveva alle spalle nessuna esperienza politica, né i lunghi anni di militanza, né quelli di governo. In un quadro internazionale dominato dalla “guerra fredda”, l’Argentina era in un tutt’altra situazione, con una profonda convulsione sociale, in mano a militari fascisti, che nei fatti dominavano la vita del Paese ed ai quali Isabelita consegnò il Paese avallando e favorendo il golpe del 1976.

Nel 2010 la realtà è totalmente diversa, sebbene quegli stessi poteri forti, mai domati, oggi rialzano la testa, ed hanno imparato ad utilizzare un linguaggio  di “sinistra”.  Rialzano la testa i “pistoleros”, le squadracce delle trame oscure che proprio la settimana passata avevano assassinato a Buenos Aires il giovane Mariano Ferreyra,  militante della sinistra. Sono le squadracce di sempre, strumento di destabilizzazione, localizzate nelle organizzazioni politiche tradizionali ed in quelle sindacali come la Confederaciòn General del Trabajo, la  CGT peronista.

Da oggi si apre un’altra fase per l’Argentina (e per il continente). Per fare fronte alla destra che in queste ore si frega le mani, c’è bisogno di nuove e concrete risposte ai bisogni dei più deboli e del Paese intero, di nuovi contenuti per dare senso all’incipiente trasformazione sociale, di una ricomposizione nella sinistra che in Argentina è storicamente frammentata in mille rivoli,  di un rinnovato sforzo di unità, tra le forze sociali e quelle politiche, lasciando da parte il settarismo ed il minoritarismo auto-referenziale.  C’è bisogno di creatività, di nuove idee, di una depurazione delle forze che sostengono il governo e di un nuovo slancio di quelle dell’opposizione di sinistra. C’è bisogno di difendere con le unghie le seppur timide riforme intraprese. Oggi il Paese ha di fronte circostanze eccezionali ed il prossimo anno sarà di uno scontro senza precedenti.  Non ci sono dubbi. Per rispondere a queste sfide, la Presidente Fernandez dovrà rafforzare il suo governo, allargare la sua base politica, sociale e popolare attraverso politiche economiche e sociali più incisive e concrete.

Oggi, la scomparsa di Nestor Kirchner lascia la sensazione di un cammino inconcluso,  di conquiste da difendere dalla controffensiva di una destra aggressiva che vuole riconquistare i privilegi persi o intaccati in tutto il continente. Dopo il golpe in Honduras, la risuscitata IV flotta statunitense, i fuochi mai sopiti della guerra in Colombia, la vittoria elettorale di Piñera in Cile, di Santos in Colombia, l’avanzata della destra in Venezuela, il tentativo di golpe in Ecuador, la scomparsa di Nestor Kirchner favorisce il vento di destra che soffia nel continente.

Santiago del Cile 28-10-2010