«Senza futuro chi si nega agli Usa»

Intervista a Gianni Minà

di Vittorio Bonanni, Liberazione 13-4-2002

Uno dei dimostranti uccisi giovedì in Venezuela durante il colpo di stato

militare contro Chavez

 

Gianni Minà, direttore di Latinoamerica, è un grande conoscitore delle vicende che da decenni tormentano il continente della Conquista ed è riuscito a dare in questi ultimi trenta o quaranta anni un grande contributo per la comprensione di tutte le tragedie che hanno sconquassato i paesi latino-americani.

Liberazione lo ha intervistato per sapere che  cosa pensa del colpo di Stato che ieri ha destituito in Venezuela un presidente legittimamente eletto come Chavez.

«Chavez era nel mirino delle multinazionali del petrolio da tempo – dice Minà – e, ovviamente, anche in quello degli Stati Uniti. Questo perché aveva, con molta personalità, rilanciato il ruolo dell’Opec, e addirittura organizzato una cordata per la difesa del prezzo del petrolio e soprattutto per la sua destabilizzazione».

 

Una politica inaccettabile di questi tempi…

 

Lui aveva sancito che l’estrazione e la prima lavorazione del petrolio poteva essere realizzata solo da società in cui lo stato avesse avuto almeno il 51% del capitale, alzando la tassazione sui guadagni delle altre fasi. E’ chiaro che gli industriali del petrolio, che si sono visti tagliare le unghie per quanto riguarda la prima lavorazione del petrolio e aumentare le tasse sulle fasi successive, fossero fra i primi che trescavano per buttarlo giù, come è stato dimostrato dalla FedeCamaras, la confindustria venezuelana. Inoltre nell’epoca della guerra in Afghanistan, fatta appunto per assicurarsi il transito delle ricchezze energetiche delle cinque repubbliche islamiche ex sovietiche, e del conflitto in Palestina, che può produrre come contraccolpo una nuova politica del petrolio delle nazioni arabe, è chiaro ha la diffidenza nei confronti dell’ex colonnello ha subito una accelerazione.

 

Che cosa pensi del personaggio Chavez ?

 

Certamente era un tipo contraddittorio e ultimamente aveva dato una svolta  autoritaria al suo governo. Solo in novembre aveva promulgato 49 decreti che, grazie ad un provvedimento approvato in precedenza in Parlamento, gli davano la possibilità autonoma di decidere leggi senza dibattito alla Camera. Questo è vero. Ma è anche vero che lui ha ereditato un Venezuela spolpato da due presunti presidenti democratici, il democristiano Caldera, e il mitico socialdemocratico, Carlos Andres Perez, la cui presidenza era stata così corrotta che aveva letteralmente atterrato uno dei paesi che, come l’Argentina, negli anni ’50 era la speranza per molti emigranti. Non si può essere il quarto produttore di petrolio e poi avere una povertà che coinvolge l’80% dei 23 milioni di abitanti del paese, con un tasso di  disoccupazione del 15%. Senza dimenticare che una nazione ricca di tutto importa il 75% delle derrate alimentari.

Evidentemente era stato venduto il paese. Con tutta la sua scompostezza Chavez aveva comunque fatto degli interventi sociali importanti.

 

Per esempio ?

 

Per cominciare la cosiddetta “ley de tierra”, che stabiliva che tutti i latifondi con più di 5000 ettari che non erano lavorati venivano confiscati ai padroni. Ancora una volta una riforma agraria, come nel 1954 per Arbenz in Guatemala, è una delle cause di un colpo di stato, insieme alla sua politica del petrolio. Anche l’amicizia che lui aveva stabilito con Cuba, che aveva aiutato moltissimo con il petrolio, sicuramente non gli ha giovato. E’ stato insomma un colpo di stato prevedibile e preparato. Non dobbiamo dimenticare che gli Stati Uniti temevano che, con una eventuale vittoria di Lula in Brasile e con il permanere di Chavez in Venezuela, ci sarebbe stata tutta una parte dell’America latina che avrebbe portato avanti una politica diversa da quella desiderata dalla Casa Bianca.

 

Secondo te Chavez avrebbe potuto evitare il colpo di stato, magari con una politica più cauta?

 

Il suo atteggiamento da ex militare in realtà non lo ha mai fatto amare anche da intellettuali progressisti latino-americani. Carlos Fuentes lo ha molto criticato in un articolo su El Pais, lo ha quasi offeso. Però come sempre si fa l’errore di giudicare più la forma che la sostanza. E nella sostanza una assestata al paese Chavez dal 1998 ad oggi l’aveva data e la stava dando. Il Venezuela era uno dei paesi più venduti e più corrotti del continente. Se tu pensi che l’1% della popolazione è proprietaria del 60% della terra coltivabile, capisci che siamo di fronte ad un paese con una economia medioevale. Certamente Chavez poteva essere più cauto. Invece spesso si è mosso come un elefante in un negozio di cristalli.

 

Chavez aveva un consenso popolare?

 

Nei primi tre anni la gente lo ha amato. Un consenso che, seppur diminuito, aveva ancora oggi.

E a proposito di consenso dobbiamo considerare che i giornali venezuelani che lo hanno attaccato frontalmente, sono tutti in mano a quei settori dell’economia che lui combatteva. E qui bisogna fare una considerazione rivolta a quei signori come Panebianco o Galli della Loggia che quando scrivono di qualcuno protagonista, per esempio, di una situazione insostenibile e dunque criticabile ricordano che però è stato “democraticamente eletto”. Ebbene il tenente colonnello Hugo Chavez era stato democraticamente eletto e non aveva messo la censura sui giornali. Non era stato il classico “gorilla” latino-americano che diminuisce gli spazi di democrazia. Forse i 49 decreti promulgati il 13 novembre lo hanno un po’ fregato perché ha fatto capire al potere economico che avrebbe risposto con la forza alla loro forza. Ma nello scenario attuale uno che si nega alla politica energetica degli Stati Uniti, anche se fosse stato più elegante di Chavez, aveva comunque il destino segnato. Salvador Allende era una persona per bene ed è stato spazzato via egualmente.