Trump e la guerra finanziaria contro Caracas

di Marco Consolo

 

Nella “guerra a spettro completo” (economica, finanziaria, militare, diplomatica, mediatica e cibernetica) a cui è sottoposto il Venezuela bolivariano, non c’è dubbio che il versante finanziario ha un aspetto rilevante.

E’ così che, dopo aver dichiarato di non scartare l’opzione militare, Donald Trump è passato alle vie di fatto e mostra i muscoli finanziari con nuove sanzioni economiche contro Caracas. Mentre The Wall Street Journal  ha annunciato che Washington non comprerà più buoni del Tesoro venezuelani, le sanzioni della Casabianca mirano al cuore dell’industria petrolifera. Sono illegali,  in spregio totale del diritto internazionale,  ed hanno diverse implicazioni:

  • Le limitazioni al flusso finanziario (in particolare di divisa e di capitali freschi) possono preludere ad uno scenario di “cessazione di pagamento” del debito estero venezuelano, un default che avrebbe un serio contraccolpo sull’economia, con evidenti ripercussioni sociali negative.
  • il blocco di qualsiasi iniziativa di rinegoziazione o ristrutturazione parziale/totale del debito estero, dato che i possessori di buoni si concentrano in 3-4 fondi statunitensi, per circa il 70% del totale.
  • Le sanzioni rendono inoltre più difficile alla banca centrale realizzare operazioni di ingegneria finanziaria, per convertire in liquidità le riserve di oro, o i “diritti speciali di prelievo” (DSP) per pagare le importazioni e per il pagamento a scadenza del debito estero (che Caracas ha sempre onorato).
  • Il governo statunitense è molto attento a non colpire il mercato interno di combustibile tramite licenze generali che emetterà il Dipartimento del Tesoro affinchè la CITGO (impresa statale venezuelana) possa realizzare transazioni commerciali (import export di greggio e derivati), ma senza poter rimpatriare i dividendi che legalmente corrispondono alla casa-madre, l’impresa statale PDVSA (Petróleos de Venezuela, S.A.). Le cifre oscillano tra I 300 e i 400 milioni di dollari per quest’anno ed il prossimo.

Le nuove sanzioni hanno l’obiettivo di privare di liquidità il Paese e di non permettere l’importazione di beni di base come medicinali ed alimenti. Allo stesso tempo, incrementano la pressione verso il governo bolivariano, e puntano ad aumentare il malessere della popolazione, per poi riattivare la violenza di piazza e continuare a chiedere l’intervento militare straniero.

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Foto AFP

Quando qualche anno fa il governo Maduro iniziò a denunciare la guerra economica nei confronti del Paese, l’opposizione interna e la destra internazionale fecero di tutto per far cadere l’intera responsabilità sul governo per gli  “errori del modello” di inclusione sociale  iniziato da Chavez nel 1999. Ma al di là degli errori commessi dal governo, dopo le nuove sanzioni rimangono pochi dubbi sulle principali responsabilità della crisi economica.

Inoltre, la Casabianca spera che diversi Paesi latino-americani rompano le relazioni diplomatiche con Caracas e non nasconde la volontà di “affogare il Venezuela”. Per rinfrescare la memoria dei lettori, all’inizio del governo di  Allende in Cile, Kissinger e Nixon decisero di “fare urlare l’economia cilena”, promessa mantenuta con i risultati che sappiamo.

Tra gli effetti immediati delle sanzioni, c’è stato l’annuncio dell’agenzia di rating internazionale Fitch che ha appena abbassato la qualifica dei bond venezuelani a “CC”[1]. Ciò in vista di una “possibile moratoria per minori opzioni di finanziamento del Paese a causa delle nuove sanzioni statunitensi che peggioreranno la già debole liquidità esterna del Venezuela”. In altre parole, gli eventuali crediti internazionali costeranno di più allo Stato venezuelano.

Secondo Fitch le necessità di finanziamento rimarrà alta nel 2018, in un contesto di deficit dei conti correnti  e degli ammortizzatori. Un recupero economico sarà limitato date le prospettive di dure condizioni di finanziamento/liquidità di valuta e declino della produzione petrolifera.

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Sarà da vedere come Mosca e Pechino si comporteranno. Per il momento, Maduro incassa la loro solidarietà politica contro la minaccia di Trump (e dei “suoi” generali), di usare l’opzione militare. Una minaccia sfrontata che ha costretto diversi governi della stessa destra latino-americana a pronunciarsi contro.

Di certo, in tutti questi mesi, diversi esponenti dell’opposizione venezuelana hanno chiesto a gran voce a congressisti nordamericani, ad organismi internazionali ed alle multinazionali di applicare un “bloqueo” finanziario al Venezuela.  Richiesta irresponsabile, il cui impatto non distinguerà certo tra “chavisti” ed oppositori al governo. Ed alcuni si sono spinti fino a chiedere un intervento straniero.

Prima delle ultime, altre sanzioni erano state applicate contro funzionari del governo e dello Stato venezuelano, a partire dallo stesso Presidente Maduro. Ma la “chicca” è stato il Decreto di Obama del lontano 2015, in cui si dichiarava il Venezuela una “minaccia inusuale e straordinaria alla sicurezza degli Stati Uniti” (2). Un decreto riconfermato da Obama e poi da Trump. Se la cosa non fosse seria, ci sarebbe da ridere.

Mentre il capo della CIA, Mike Pompeo, ha ammesso pubblicamente le pressioni per coinvolgere il Messico e la Colombia nell’escalation aggressiva, da parte sua, il vice-Presidente statunitense Mike Pence ha minacciato di usare tutta la loro forza economica e diplomatica per “riscattare la democrazia” in Venezuela.

E in queste ore il governo di Caracas prepara le contromisure, annunciate senza dettagli.

Un panorama non certo roseo, che allontana la prospettiva di un dialogo necessario tra governo ed opposizione, auspicato ancora in queste ore dal Papa Francesco.

 

[1] https://www.bloomberg.com/news/articles/2017-08-30/venezuela-cut-deeper-into-junk-by-fitch-on-probable-default

[2] https://www.telesurtv.net/news/2-anos-del-decreto-de-Obama-contra-Venezuela–20170309-0026.html