Un governo in debito

 

Sarà forse il Giubileo, o il clima quasi primaverile, ma tutti sembrano
diventati più buoni verso i “paesi poveri”. Nel “frullatore mediatico” ci
voleva Sanremo ed un famoso cantante, perché un problema drammatico e complesso, come quello del debito estero dei paesi poveri, fosse posto
all¹attenzione di massa. Iniziativa apprezzabile, certo, ma che lascia
aperti molti interrogativi sui suoi veri obiettivi. Certo, dopo la guerra
contro la ex-Jugoslavia, il governo D’Alema ha bisogno di rifarsi l’
immagine. Si prepara il viaggio di Veltroni in Africa con un codazzo di
giornalisti, si concerta l’iniziativa “non governativa”, e l’ultimo atto del
“D’Alema 1” è un disegno di legge sul debito sotto l’albero di Natale. E
adesso, dopo il rilancio canoro, con la mano sul cuore (non certo sul
portafogli) tutti si affannano a dire che “il provvedimento è insufficiente,
da migliorare, se ne può discutere”, etc. e D’Alema “non lascia, ma
raddoppia”: annuncia che invece di 3.000 saranno 6.000 i miliardi di debito
estero cancellati. E’ bene ricordare che i diversi governi italiani si sono
sempre distinti, insieme a Germania e Giappone, per posizioni
particolarmente retrive: da Ciampi (ex-presidente dell’Interim Committee del Fondo Monetario Internazionale), al governatore Fazio ed al ministro del Tesoro Amato con i suoi “ragionieri”. Nella realtà, il governo italiano ha
sempre appoggiato le politiche del Fmi e della Banca Mondiale attraverso la sua iniziativa Hipc (Paesi poveri altamente indebitati). Un¹iniziativa
fortemente restrittiva, subordinata all’attuazione dei famigerati “Piani di
Aggiustamento strutturale” (Pas), che hanno aggravato povertà e fame in
mezzo mondo. Una combinazione devastante di politiche liberiste:
privatizzazioni, tagli alla spesa pubblica, liberalizzazioni delle importazioni, che hanno impedito qualsiasi “sviluppo” dei paesi cui sono stati imposti (circa 70).
Vi è quindi una contraddizione stridente tra le dichiarazioni “buoniste” del
governo e gli atti parlamentari a cui ci siamo fermamente opposti. Si
predica bene e si razzola male: con un disegno di legge “senza oneri
aggiuntivi a carico del bilancio dello stato ed una tantum” legato alle
condizionalità dei Pas.
Le reazioni
Il Polo si scatena. Editorialisti del calibro di Sergio Romano attaccano la
proposta del governo. La colpa sarebbe della corruzione delle classi
dirigenti dei paesi poveri (certo non di poco conto). In fondo l’idea
neo-coloniale è che non sanno governarsi da soli. Meglio metterli ancor di
più sotto tutela. Si invocano criteri rigidi, mentre si tace sulle
responsabilità dei creditori. Ma chi ha alimentato lo strangolamento
usuraio? A partire dalla prima crisi del debito del 1982, Banca Mondiale e
Fmi hanno imposto l’applicazione dei Pas, come condizione precisa per
mantenere il credito. Chi ha venduto e vende armi a questi stessi paesi? Chi ha elargito a piene mani in combutta con quelle corrotte classi dirigenti?
Chi ha prestato soldi al dittatore indonesiano Suharto, a Eltsin anche per
continuare a fare la guerra in Cecenia? Chi continua a farlo con Ecevit in
Turchia come nel caso della prossima fornitura di 145 elicotteri Augusta
destinati alla repressione interna, che probabilmente sarà assicurata dalla
Sace italiana e sponsorizzata da Fassino?
Iniziative internazionali
L’appello della campagna Jubilee 2000 si basa su una serie di considerazioni di ordine economico, morale e giuridico. Dal punto di vista economico, il debito attuale dei paesi poveri (circa 2.500 miliardi di dollari) non sarà mai ripagabile, date le condizioni di sempre maggiore povertà. Inoltre, la maggior parte è fatta da interessi sugli interessi ed in molti casi il
capitale è stato già ampiamente pagato. Dal punto di vista morale, gran
parte di quel debito viene definito “odioso”, cioè contratto per acquisto di
armi, intascato da dittatori, etc. Dal punto di vista giuridico, la
composizione attuale capitale/interessi del debito non rispecchia le
condizioni iniziali del “contratto”, ma cambiamenti successivi imposti dai
creditori in base al mutato valore delle valute di denominazione dei debiti
(in particolare il dollaro). E’ ovvio che se non cambiano le modalità di
concessione dei prestiti e le regole del commercio internazionale, la
cancellazione (o più probabilmente la semplice riduzione) appare solo una
ripulitura di facciata. Per questo ciò che è avvenuto a Seattle, in sede
Omc, è strettamente connesso alla questione del debito estero, visto che i
crediti commerciali rappresentano in media circa il 24% del debito estero.
Fatti non parole
Oltre alla proposta del governo sul debito, alla Camera si discute l’
ennesimo finanziamento alla Banca Mondiale e la riforma della Cooperazione Internazionale. Un¹occasione per verificare se alle chiacchiere corrispondono i fatti. Perché vi sia un cambiamento vero nei paesi “debitori”, il debito va cancellato. La sola riduzione rischia di mantenere lo strozzinaggio delle banche centrali dei paesi creditori. Aumentare le risorse destinate alla cooperazione internazionale non basta. Bisogna assumere la cancellazione come punto qualificante per la costruzione di un modello di sviluppo che coinvolga direttamente le popolazioni dei Paesi debitori e del nostro. Si tratta di soldi pubblici ed è quindi importante la trasparenza, la partecipazione ed il controllo democratico. E’ necessario riformulare proposte e strategie a partire dalle esigenze delle popolazioni per costruire un fronte unico, riunificando, come è avvenuto a Seattle, le richieste dei “naufraghi dello sviluppo”: il no alla liberalizzazione selvaggia di commercio ed investimenti, la ferma opposizione a tecnologie che distruggono ambiente e salute, la regolamentazione dei movimenti speculativi di capitale, una cooperazione paritaria ed equa da rifondare su base partecipativa e di controllo democratico.