Una commissione d’inchiesta subito

Di Marco Consolo e Sandro Duccini – Liberazione 26 febbraio 1993

Roma. Mentre la magistratura indaga su una politica di intervento nel sud del mondo fatta di tangenti ed interessi illeciti, la cooperazione allo sviluppo sta attraversando un blocco quasi totale della attività, imputabile, tra l’altro, alla volontà e all’incompetenza dei responsabili del dicastero, più preoccupati di fate affari che di cooperare con il Sud del mondo. E’ per questo che Rifondazione comunista ha presentato una proposta di legge per l’istituzione di una Commissione d’inchiesta parlamentare che faccia luce sulle attività del settore Scopo di questa Commissione è la verifica della politica della Cooperazione internazionale allo sviluppo attuata dai governi italiani dalla promulgazione della legge n. 38 del febbraio 1979.

Oltre a quella di Rifondazione, nella presente legislatura, alla Commissione esteri della Camera sono state presentate altre sette proposte da parte della Rete, dei Verdi, del Pds, del Pli, della Lega e del Msi.

Cinque delle proposte estendono l’inchiesta (oltre al periodo di attuazione della legge 49/87, attualmente in vigore) anche alle precedenti leggi 38/79 (la cosiddetta “Pedini”) e 73/85 (Fondi aiuti italiani-Fai, con a capo il socialista Forte), coprendo quasi quattordici anni di gestione Dc e Psi. Emblematico il caso del Fai: a distanza di otto anni dalla sua istituzione e di sei dalla sua abrogazione, non ci risulta sia stato ancora presentato alcun rendiconto delle spese effettuate per decine di miliardi, mentre all’interno del ministero degli Esteri esiste ancora un ufficio incaricato di risolvere le sue pendenze. Molte delle proposte di legge richiedono che la Commissione con gli stessi poteri e limitazioni dell’autorità giudiziaria, in consonanza con le  procedure di richiesta scelte (Articolo 82 della Costituzione e articoli 140-141-142 del Regolamento parlamentare).

Nella seduta del 3 febbraio scorso la III Commissione parlamentare (Affari esteri e comunitari), esaminate le proposte, ha sottolineato la necessità di dare, da un lato, risposte convincenti e concrete all’opinione pubblica preoccupata dei fenomeni di corruzione e cattiva gestione che hanno interessato anche questo settore sulla politica di cooperazione, salvaguardando nel contempo la sopravvivenza di questo istituto. Nei mesi scorsi lo Stesso ministro degli Esteri, Colombo, preoccupato per il clamore suscitato dai continui scandali, ha dovuto prendere l’iniziativa di istituire una “Commissione speciale” ministeriale (quella dei cosiddetti “saggi”, i cui costi gravano sul Fondo di speciale cooperazione). I “saggi” hanno presentato qualche giorno fa un documento dove si ammette la mancanza di organicità delle politiche di cooperazione fin qui attuate, la necessità di trasparenza e, soprattutto, di controlli sia amministrativi che politici sugli interventi. Infatti, sul versante politico, ad oggi il parlamento è di fatto all’oscuro di molte delle decisioni prese in sede internazionale dall’esecutivo, anche grazie alle “procedure semplificate” di sottoscrizione da parte governativa degli accordi di cooperazione (di palese incostituzionalità) e grazie al ricorso sempre più frequente alla “segretazione degli atti” relativi principalmente, ma non solo, ad accordi militari, nel quadro della filosofia del “nuovo modello di difesa” del ministro Andò.

E, al di là della facciata, la parolina magica “cooperazione” i serve oggi a coprire una politica commerciale dell’industria bellica ed una sempre più marcata presenza militare e neo-coloniale italiana in veste “umanitaria” nei Paesi ricchi di materia prime.