Uruguay: Fronte di lotta e di governo

Pubblicato su “left” (N° 45)

Una vittoria a metà per la sinistra del Frente Amplio in Uruguay.

Il 25 ottobre, al primo turno delle elezioni politiche e presidenziali, la coalizione che ha governato il Paese negli ultimi cinque anni ha ottenuto il 48 per cento dei voti, distaccando ampiamente la destra del Partido Nacional di Luis Alberto Lacalle (28 percento) e del Partido Colorado (16 percento, candidato Pedro Bordaberry). Ma in base alla legge elettorale appena introdotta sarà necessario il ballottaggio, fissato per il 29 novembre, per proclamare il nuovo presidente. Una delusione, quindi, per il Frente amplio (FA), che aveva candidato l’ex guerrigliero tupamaro Jose Mujica, popolarmente conosciuto come “el Pepe”, alla guida del Paese e l’ex ministro dell’Economia Danilo Astori alla vice-presidenza. Pepe Mujica, figura leggendaria per la guerriglia uruguayana, ha passato ben 14 anni in prigione. Il dato chiave, per il momento, è che il FA ha conquistato la maggioranza assoluta sia al Senato che alla Camera. Ma la presidenza è ancora a rischio, dato che al ballottaggio la destra si presenterà unita, nonostante la tradizionale e storica contrapposizione tra il Partido colorado (centro liberale), e los blancos del Partido nacional (formazione populista o “acchiappatutto”).

In più, sarà decisivo per l’esito elettorale il calo degli elettori emigrati, che nella stragrande maggioranza votano per la sinistra. Soprattutto gli Uruguayani che vivono nella confinante Argentina, che al primo turno sono arrivati in 13mila per esercitare il loro diritto di voto, ma

che difficilmente riusciranno a pagarsi un nuovo viaggio.

Fin qui i numeri. Quanto alla storia, c’è da ricordare che il Partido Colorado (PC) ha governato ininterrottamente il Paese fino al 2004, anno della prima vittoria elettorale del Frente Amplio e del medico Tabarè Vasquez, oggi presidente che gode di un consenso maggiore del 60 per cento. La vera sorpresa è stato il recupero del Partido Colorado, crollato nel 2004 al 10 per cento e che molti davano per scomparso dalla scena politica uruguayana.

Per di più, il risultato raggiunto a Ottobre si deve a un candidato, Pedro Bordaberry, che è il figlio del dittatore che appoggiò il golpe civil-militare del 1973.

Nel 2008, con il ritorno della democrazia, Bordaberry padre è stato processato e condannato dalla giustizia uruguayana ed è attualmente in carcere.

Il Frente Amplio ha vinto in ben 11 dipartimenti su 19, guadagnandone quattro e perdendone uno. Le province conquistate sono di grande importanza, sia dal punto di vista economico, che simbolico, trattandosi di zone storicamente in mano alla destra. La capitale Montevideo, dove si concentra quasi la metà della popolazione, resta in mano

al FA (pur registrando un calo dei consensi), così come Canelones, il secondo dipartimento più abitato del Paese.

Di certo, questi sono giorni di mobilitazione straordinaria per entrambi gli schieramenti, chiamati a uno sforzo ulteriore in vista del ballottaggio del 29 novembre.

 

Ma non di sole presidenziali si parla in questi giorni in Uruguay.

Contemporaneamente al primo turno, si è votato anche per due referendum

importanti, entrambi bocciati dagli elettori. Il primo proponeva l’abolizione della legge che garantiva l’impunità ai responsabili dei crimini commessi durante la dittatura, ma la partecipazione si è fermata al 47,36 per cento, senza raggiungere il quorum necessario per

l’approvazione. È la seconda volta che gli Uruguayani bocciano questa proposta referendaria, fortemente voluta dagli organismi di difesa dei diritti umani, dalla influente centrale sindacale unitaria, il Pit-Cnt, e dal movimento studentesco. Dopo quella del 1989, è forse la sconfitta più dolorosa, per un Paese in cui il ricordo dei crimini della dittatura è

ancora vivo e le ferite sono ancora aperte. La sera delle elezioni erano in molti a piangere di sconforto e di rabbia.

 

Il secondo referendum, invece, introduceva la possibilità di voto all’estero a partire dalle prossime elezioni. Ma anche in questo caso il consenso si e fermato appena al 36,93 per cento, con grande amarezza delle comunità residenti all’estero, forzate a emigrare prima dalla dittatura (1973-1985) e in seguito per la situazione economica. Una bocciatura

non di poco conto, considerando che il voto degli espatriati va tradizionalmente alla sinistra e potrebbe essere decisivo per le elezioni del 2013. Il Frente Amplio, infatti, si sta mobilitando per garantire ai connazionali il rientro in patria in occasione del voto.

 

La vittoria, seppur parziale, della sinistra nasce dai risultati concreti raggiunti in questi anni

da Tabarè Vasquez, che è riuscito a ottenere un miglioramento nelle condizioni di vita della popolazione. Per questo il FA gioca la carta della stabilità e della continuità. In questi cinque anni di governo frenteamplista, la situazione economica del Paese è decisamente migliorata. Secondo l’Istituto nazionale di statistica, nel periodo 2004-2009, i salari sono cresciuti del 22,9 per cento, la disoccupazione è passata dal 13 al 7,7, l’inflazione dal 9 al

7. Per le fasce più povere della popolazione, il governo ha approntato un Piano d’emergenza (chiuso nel 2007) che ha appoggiato 100mila nuclei familiari (circa 370mila persone) e la quota di indigenti è scesa dal 32,5 al 20,5 per cento.

Il sistema impositivo su base progressiva è oggi più egualitario che nel passato.

Anche se resta molto da fare, i servizi sanitari sono decisamente migliorati, soprattutto nel campo delle cure prenatali e dei deficit visivi: più di 10mila persone con scarse risorse sono state operate alla vista grazie alla cosiddetta “operazione miracolo”, un progetto realizzato con la collaborazione di Cuba e Venezuela.

Ancora più eclatante il successo del Plan Ceibal, uno dei fiori all’occhiello del governo, che ha distribuito quasi 400mila computer coprendo la totalità della popolazione scolastica delle elementari.

Riforme che la sinistra vorrebbe continuare ad attuare, ballottaggio permettendo. Di certo, una vittoria al secondo turno del candidato della destra porterebbe a una coabitazione che renderebbe ingovernabile il Paese e probabile il ricorso a nuove elezioni. Un’instabilità

che, nonostante le modeste dimensioni dell’Uruguay, farebbe male a tutto il Sudamerica. Innanzitutto perché nel continente è in atto la controffensiva imperialista: dal golpe in Honduras, alle nuove basi militari statunitensi in Colombia e alla riapparizione della IV

flotta statunitense nei mari latinoamericani.

In secondo luogo, per i destini dell’integrazione regionale, vista la partecipazione di Montevideo al Mercosur (insieme a Brasile, Argentina, Paraguay, e presto il Venezuela). Infine, per il prestigio che l’esperienza unitaria del Frente Amplio gode in tutti gli

ambienti progressisti latinoamericani. Fin dalla sua nascita nel 1971, infatti, il FA ha riunito in una stessa coalizione le diverse anime della sinistra, senza la pretesa di formare un partito unico. Ancora oggi convivono tra loro esperienze diverse, che mantengono la propria identità, ma si sono date una struttura organizzativa unitaria. La scommessa è stata

quella di dar vita a una coalizione che convogliasse le energie dei movimenti dal basso. Da allora la sinistra, sulla base di un programma comune, è riuscita a mantenere un’unità sostanziale tra forze eterogenee, sopravvivendo alla repressione della dittatura e agli

anni del neoliberalismo spietato. E si è presentata unita ad appuntamenti importanti come quello del referendum che ha permesso di mantenere in mani pubbliche l’Ente di gestione dell acqua (Ose) e l’Ente petrolifero (Ancap). Una lezione importante per il Sudamerica, ma anche per l’Europa.