Venezuela: l’arte di vincere si impara dalle sconfitte

di Marco Consolo –

È una dura sconfitta quella subita dal processo bolivariano in Venezuela nelle elezioni parlamentari di domenica 6 dicembre. Con circa il 18% di differenza, l’opposizione conquista la maggioranza del parlamento che ha rinnovato i suoi 167 deputati. Un parlamento che, grazie alla recente legge elettorale, sarà composto al 40% da donne. Con circa il 25% di astensione, i risultati assegnano ben 112 seggi all’opposizione e solo 55 alle forze socialiste, nella quarta legislatura dall’avvento dello scomparso Hugo Chávez.
Una sconfitta con conseguenze a lungo termine e che, grazie alla maggioranza qualificata dei 2/3, permette all’opposizione di prendere provvedimenti quasi illimitati. Potrà infatti convocare una nuova Assemblea costituente, emendare la Costituzione, rimuovere e designare i rettori del Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) e i magistrati del Tribunale Supremo di Giustizia (TSJ), mettere in discussione i trattati internazionali, autorizzare basi militari statunitensi nel Paese, dichiarare l’inabilità del Presidente della Repubblica e molto altro.

L’opposizione celebra nelle strade di Caracas – Foto Carlos Becerra (Bloomberg)

È l’elezione numero 20 nei 17 anni del processo bolivariano, iniziato proprio un 6 dicembre del 1998, con la prima vittoria di Hugo Chávez, che mise in moto il processo della Rivoluzione bolivariana. Fino a ieri, l’unica sconfitta delle forze socialiste era stata quella sulla riforma costituzionale del 2007, quando l’opposizione alla riforma ottenne una “vittoria pirrica” con il 50,7%.

Nonostante gli strepiti della destra, le elezioni si sono svolte in maniera esemplare, come tutte le precedenti. Ancora una volta, la “dittatura chavista” ha dato esempio di trasparenza ed onestà. Un esempio per molti Paesi del mondo, a partire dagli stessi Stati Uniti.
Ed anche chi scrive ha avuto modo di verificarlo con i propri occhi in 6 occasioni in cui ha partecipato come “accompagnante internazionale” alle scadenze elettorali, invitato dal Consiglio Nazionale Elettorale (CNE). Non ci sono stati incidenti, a parte l’episodio increscioso di tre ex-presidenti latino-americani della destra oltranzista, che due ore prima della chiusura dei seggi, annunciavano la vittoria dell’opposizione.

“Siamo qui con la nostra morale e con la nostra etica, per riconoscere i risultati avversi, per accettarli e dire che ha vinto la Costituzione e la democrazia”, ha detto a caldo il Presidente Nicolás Maduro che ha da subito ammesso la sconfitta. “Abbiamo sempre saputo di nuotare contro-corrente, di dover superare le difficoltà e non ci siamo mai nascosti”.
Di certo, da oggi si apre una coabitazione inedita e conflittuale tra un governo che vuole approfondire il cambiamento e un’opposizione che punta alla restaurazione conservatrice.
C’è da sottolineare che il cambio della maggioranza parlamentare, non implica automaticamente la caduta del governo bolivariano. Infatti, per scalzare il Presidente Maduro (in carica fino al 2019), grazie alla Costituzione voluta da Chávez, l’opposizione può cercare di raccogliere le firme necessarie per indire un referendum revocatorio, a partire dalla metà del mandato presidenziale. Ma deve vincerlo. Il che non è affatto detto, considerando che, nonostante tutto, più del 40% degli elettori ha confermato il suo appoggio al “socialismo bolivariano”.

L’offensiva imperiale

Nelle parole di Maduro, “ha vinto la contro-rivoluzione e la guerra economica”, che ha messo in ginocchio il Paese. “Ha vinto una strategia per minare la fiducia collettiva in un progetto di Paese, ha vinto temporaneamente lo stato di necessità creato da una politica di capitalismo selvaggio, di nascondere i prodotti, di aumentarne i prezzi”. Nel suo discorso dal palazzo presidenziale di Miraflores, Maduro ha ricordato le vicende passate del Brasile di João Goulart, del Guatemala di Jacobo Arbenz e del Cile di Salvador Allende, che più si assomigliano alla realtà del Venezuela di oggi. Maduro ha parlato di una sconfitta “por ahora”, riecheggiando le parole del Comandante Chávez quando, fallita l’insurrezione civico-militare del 4 febbraio 1992, si preparava al carcere.

In questi 17 anni siamo stati testimoni della brutale contro-offensiva imperialista nei confronti del processo bolivariano che non si è mai fermata, ma che al contrario è aumentata di intensità. L’enorme spiegamento di forze della reazione, interna ed internazionale, impegnata in un’offensiva a tutto campo, non ha risparmiato nessun mezzo per sconfiggere il processo e seminare la sfiducia della popolazione nella capacità del governo di risolvere i problemi: un tentativo di golpe fallito grazie alla mobilitazione popolare, attentati e sabotaggi, violenze di strada e criminalità, omicidi selettivi di dirigenti popolari, infiltrazione dei paramilitari colombiani sia nelle zone di frontiera che nelle città, contrabbando e mercato nero, accaparramento dei beni di prima necessità con la conseguente penuria provocata, assedio mediatico internazionale, caduta del prezzo internazionale del petrolio su cui si basa il bilancio venezuelano, attacchi del sistema finanziario internazionale, pressioni diplomatiche, ingerenza sfacciata.

Dulcis in fundo la dichiarazione del marzo scorso del governo statunitense del “democratico” Obama sul Venezuela come una “inusuale e straordinaria minaccia per la sicurezza nazionale e la politica estera degli USA”. Una vera e propria dichiarazione di guerra che si aggiungeva ai finanziamenti milionari “made in USA”, profusi generosamente all’opposizione.
A questo c’è da aggiungere gli errori nella gestione economica del governo, nella politica di comunicazione, nella lenta diversificazione produttiva, nella designazione di alcuni dirigenti, l’insicurezza per la scarsa efficacia della lotta alla criminalità organizzata, ed il problema della corruzione anche tra le proprie fila, mai affrontato fino in fondo. Un fattore importante nella perdita di consenso e nel “voto castigo”.

C’è poi un altro fattore, poco considerato. La popolazione era “stanca della guerra” e delle condizioni di vita conseguenti. A chi scrive, le elezioni di ieri ricordano il voto del 1990 contro i sandinisti, dopo anni di attacchi della “contras”, di aggressioni e di embargo statunitense al Nicaragua. Nel voto c’è anche la speranza mal riposta che questo “logorio” abbia fine.

Gli alleati dell’impero

Il bue dice cornuto all’asino. Ed è così che in questi anni le mummie fasciste, e i sepolcri imbiancati di tutto il continente si sono stracciati le vesti contro la “dittatura chavista” e a “difesa della democrazia ferita”. Sono gli stessi protagonisti o complici dei sanguinosi colpi di Stato degli anni passati. Tra gli altri, i deputati cileni del partito di Pinochet (UDI), insieme a molti altri della Democrazia Cristiana cilena, che hanno chiesto a gran voce il “rispetto della volontà popolare”.
In buona compagnia dell’ex-presidente narco-trafficante colombiano Álvaro Uribe (secondo la DEA statunitense), il boliviano Jorge Quiroga, ex-vicepresidente del dittatore Hugo Banzer, protagonista del “Plan Condor”, l’operazione che ha assassinato e torturato i militanti della sinistra di tutto il continente, sotto la direzione della CIA.

La novità è che alle file reazionarie (e in alcuni casi direttamente golpiste), si sono aggiunti settori della “social-democrazia”, in una campagna internazionale degna di miglior causa. La lista è lunga: socialisti cileni, argentini e spagnoli, il brasiliano Cardoso, ampli settori dei socialisti europei tra cui il PD italiano, da sempre alleato di Acciòn Democratica, membro dell’Internazionale Socialista.

L’ultima incorporazione a questa alleanza, in ordine di tempo e “di apparizione”, è stata la vergognosa presa di posizione dell’attuale Segretario dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA), l’uruguayano Luis Almagro, ex-ministro degli esteri del governo del Frente Amplio. Stizzito dal mancato invito alla (OEA) come osservatore elettorale, il cosiddetto frente-amplista Almagro, è passato armi e bagagli con la destra venezuelana, ed aveva addirittura chiesto di sospendere le elezioni per “mancanza di garanzie” per l’opposizione.

La posta in gioco in Venezuela

L’interesse per ciò che succede in Venezuela è dimostrato dai circa 12.000 giornalisti presenti per la scadenza elettorale, con ben 420 testate straniere. Un interesse internazionale che non c’è stato per le elezioni in Francia, dove per la prima volta dalla seconda guerra mondiale, ha vinto l’estrema destra ipotecando il futuro della stessa Europa.
Il futuro del Venezuela ha a che vedere con l’America Latina, ma non solo. In questi anni il popolo venezuelano ha saputo resistere ed avanzare nella costruzione di una patria sovrana, una società più giusta ed egualitaria, basata su una vera democrazia “partecipativa e protagonica”, verso il socialismo del XXI° secolo. Guidato dallo scomparso Hugo Chàvez, il Venezuela bolivariano è stato un esempio internazionale, inaugurando proprio il 6 dicembre di 17 anni fa, un’inedita epoca di trasformazioni in America Latina e nei Caraibi.
Qual’è la posta in gioco in Venezuela ? Innanzitutto un progetto nazionale che si richiama apertamente al socialismo, una bestemmia per i sacerdoti del “libero mercato” capitalista.
In secondo luogo, un processo di integrazione regionale autonoma dagli Stati Uniti nel loro “cortile di casa”, iniziato con Chávez nel continente più ricco, ma ancora più diseguale del pianeta.
In terzo luogo, i rapporti della regione con il mondo. Oggi il continente ha un peso internazionale proprio grazie al fatto che, per la prima volta, ha dato vita a nuove instanze regionali come UNASUR, la CELAC, l’ALBA. Sin dall’inizio è stato chiaro per entrambi gli schieramenti in campo che, più che di un’elezione parlamentare, si trattava quindi di di modificare l’architettura politica dell’intera regione e dei rapporti internazionali, sull’onda dei risultati in Argentina con la vittoria della destra di Macri.

Sarà vero che, come sostiene la destra (ed anche settori della sinistra), nel continente siamo alla fine di un ciclo del “modello progressista” ?

Il labirinto dell’opposizione ?

Nonostante l’appoggio dell’impero, la Mesa de Unidad Democrática (MUD) non avrà vita facile. È una forza eterogenea, composta da più di 18 organizzazioni molto diverse tra loro, il cui collante fino ad ora è stato la battaglia contro Chávez prima e il “chavismo” di Maduro poi.
Oggi la responsabilità di una forte maggioranza parlamentare (e quindi legislativa) la obbliga a proposte concrete per risolvere problemi che affliggono la popolazione, non facili per una forza che fino ad oggi si è limitata alla denuncia sguaiata e ad invocare l’intervento di forze straniere. Per la MUD c’è il rischio concreto di rimanere intrappolata nel proprio labirinto.

Travestito da agnello, nelle prime dichiarazioni il portavoce della MUD ha fatto appello “al dialogo e alla pace”. Ha detto di non voler eliminare le conquiste sociali, ma il programma elettorale rappresenta una marcia indietro sostanziale nei diritti conquistati in questi anni.
Al di là dei travestimenti ad hoc, l’agenda della restaurazione neo-liberale è chiara. Innanzitutto è esplicita la volontà di eliminare il controllo statale nella prestazione dei servizi pubblici, attualmente sussidiati, che dovrebbero essere sostituiti con l’associazione strategica pubblico-privato sotto forma di concessioni. In altre parole la privatizzazione dei servizi pubblici.

Sulla casa (punto chiave del processo bolivariano che ha costruito e consegnato quasi un milione di nuove abitazioni) la MUD propone un piano abitativo incompleto che apre spazio all’indebitamento con le banche per terminare la costruzione delle case.
Sul versante delle pensioni riprende in maniera opportunista una proposta governativa già realizzata di collegarle al salario minimo e di includere i settori che non sono riusciti a versare i contributi minimi sufficienti (autisti, contadini, casalinghe, pescatori)

Per quanto riguarda i rapporti di lavoro, l’intenzione è quella di eliminare la riduzione dell’orario di lavoro, e ridurre le ferie oggi contemplate per legge. Si parla di rivedere gli investimenti sociali dell’attuale governo “che favoriscono l’inflazione”. C’è da sottolineare che, nonostante la caduta del prezzo del petrolio nei mercati internazionali, il governo bolivariano ha destinato il 60 % del PIL alle politiche pubbliche nel settore della salute, dell’educazione, dell’alimentazione, della stabilità dell’occupazione.

Per finire, la MUD propone la promulgazione di una “Legge di amnistia e riconciliazione” per liberare i delinquenti condannati per il loro coinvolgimento in diversi crimini gravi. Un caso per tutti quello di Leopoldo López, dirigente dell’opposizione, condannato a 13 anni per le sue responsabilità nelle recenti violente proteste con fini golpisti che hanno provocato la morte di 43 persone.

Le forze socialiste

Nelle file del Gran Polo Patriotico, l’alleanza politico-elettorale delle forze socialiste, si è appena aperta la riflessione sulla dura sconfitta. Non c’è dubbio che il “chavismo” dovrà riflettere a fondo in maniera auto-critica, e soprattutto correggere gli errori fin qui commessi. Una riflessione che non riguarda solo il Venezuela, e che la sinistra nel mondo dovrà seguire con attenzione ed il massimo rispetto.
Nelle file bolivariane, oltre alla rabbia e alla tristezza, è chiara la volontà di continuare la battaglia per la costruzione di una società del “socialismo del XXI° secolo”.
Concretamente dal 1998 si tratta di una società in cui la stragrande maggioranza della popolazione ha avuto accesso a una dieta riconosciuta dalla stessa FAO come uno sforzo concreto del governo bolivariano nel campo della sicurezza alimentare. Se prima del 1998 gli alfabetizzati erano 5000, oggi la media annuale è di 137 mila persone. Dal 1998 la quantità di docenti è aumentata del 468%. Dagli asili all’università l’educazione è gratuita ed oggi studiano 10 milioni di Venezuelani. La Unesco ha riconosciuto che il Paese è al terzo posto nella regione in quanto a lettori. Ma anche in questo caso non è bastato a vincere.
Non rimarranno con le braccia incrociate, nè staranno a guardare impotenti, le circa 3000 “comunas socialistas”, embrioni di contro-potere territoriale costruiti in questi anni su impulso del Comandante Chávez. Non staranno a guardare le donne, i lavoratori, nè gli “invisibili” della “quarta repubblica” che hanno ritrovato la loro dignità grazie al processo di profonda trasformazione in senso socialista. Il braccio di ferro della lotta di classe da oggi vive una nuova fase storica.

Come sosteneva il libertador Simón Bolívar, “l’arte di vincere si impara dalle sconfitte”.

6 Risposte a “Venezuela: l’arte di vincere si impara dalle sconfitte”

  1. Grazie Marco. per il commento come sempre puntuale e chiaro. Ho molta difficoltà ad aggiungere una qualche riflessione su quanto accaduto, anche se i segnali erano minacciosi, vuoi perché devo ancora digerire l’Argentina, vuoi perché col Venezuela ho condiviso un un peridodo della mia vita lavorativa a cavallo degli anni 70/80. Erano i tempi della spartizione del potere tra AD e COPEI, gli anni di Herrera, Caldera e, ahimè, di Carlos Andres Perez, quello che realizzò la bancarotta di 8 banche di interesse nazionale e, quindi, “emigrò” negli USA, diventando uno degli uomini più ricchi del continente, nord e sud compresi.
    Ricordo perfettamenete lo sfacelo sociale, l’impressione di atterrare a Maiquetia di notte sorvolando gli agglomerati di ranchitos, sembravano lumini di una sorta di presepe, erano migliaia di “case” costruite con pezzi di plastica, di cartone, di latta.. Nulla da invidiare alle favelas brasialiane. I disperati della notte nei loro cartoni, i bambini di strada, prosituzione, alcolismo, insomma il solito quadro.
    Naturalmente bastava salire ad Altamira: altro mondo, ville, enormi station wagon , Cadillac, ecc. Peccato che i privilegiati vivessero assediati nelle loro ville, armati fino ai denti e che fosse normale guidare la propria auto con un revolver nel cruscotto.
    Poi è successo quello che sappiamo, Chavez e il grande progetto bolivariano, ma anche una America Latina diversa, nuova. Una realtà del subcontinente che dava troppo fastidio all’imperialismo statuinitense e ai monopoli economico finanziari nazionali ed internazionali.
    Non voglio aggiunger altro. Hai già detto tutto tu.
    Ovviamente resta la grande amarezza per quanto accaduto nel giro di pochi giorni, la ancor più grande preoccupazione per il futuro non solo di Argentina e Venezuela, ma di tutta l’America Latina e, penso, anche per le ripercussioni sugli equilibri internazionali non esclusivamente dell’aerea.
    Dobbiamo, sia pure dalle nostre percarie e malandate realtà, essere ancorpiù solidali e consapevoli che il peso politico di queste situazioni ci riguarda molto più di quanto normalmente si pensi.

  2. ciao Marco.
    dopo anni, ti ritrovo. C’è tanta somiglianza credo sopratutto con il mio Iran. Una esperienza purtroppo mancante nell’ attenzione della sinistra, anche in rifo. In Iran prima crearono il contrasto tra l’esecutivo (qui con un mandato di 4 anni), il legislativo, e il giudiziario, poi hanno atterrato Ahmadinejad. Il copione è uguale.

    1. Ciao Farrokh
      come sai mi occupo prevalentemente di America Latina e non è certo semplice avere uno sguardo approfondito su tutto il mondo. Mi limito a cercare di dare alcune chiavi di interpretazione della realtà complessa e variegata di questo continente. Grazie comunque per la tua interessante segnalazione su una zona ed un Paese strategicamente importantissimo come l’Iran, che lo stesso Hugo Chàvez aveva seguito da molto vicino. E’ uno stimolo a saperne di più, anche per i lettori di questo blog.
      Un saluto
      Marco

  3. Ottimo articolo. Merce rara di questi tempi.
    Molto bello anche il primo commento ed utile integrazione alle cose che hai scritto. Confermo tutto quanto ha scritto il sig. Franco, io pure visitai il Venezuela in quegli anni, ed ogni 10 metri c’era qualcuno che ti chiedeva l’elemosina, che voleva venderti droga o che si voleva prostituire.
    Vedere oggi la destra venezuelana che impugna il tema della sicurezza come uno dei suoi cavalli di battaglia è una bestemmia.
    Grazie Marco per tenerci aggiornati.

  4. Estoy confunfida de la vista sobre la economísta en America Latina Y iba a preguntar sí Marco me puede recomender un libro sobre la Economia y empresas transnationales Por la situación de hoy y entenderlo Por la historia de algunos Paises despues de la dictatura y El bien Estar de los militares hasta y como puede ser que sigiuen mandandoa la Economia?

    1. Cara Britta
      a proposito de libros utiles, el consejo que te puedo dar es leer “América Latina en la geopolitica del imperialismo” de Atilio A. Boron.
      Estoy seguro que te resultarà interesante.
      Un abrazo

      Marco

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