Venezuela: Quel golpista di George Bush

Non era necessario che il New York Times lo ribadisse ma, secondo
quanto riportato dall’autorevole testata statunitense, funzionari di Bush si
erano incontrati a più riprese con i golpisti i mesi precedenti il fallito
colpo di stato. Insomma il tentativo di rovesciare Chavez era già nella
testa degli americani da tempo. In realtà fin dal giorno in cui il
tenente-colonnello dei paracadutisti Hugo Chavez vinse le elezioni il 6
dicembre 1998 con il 56,2% dei voti. Secondo il Sole 24 ore del 13 aprile
che cita fonti anonime, da due anni si riuniva la “Coalizione di Emergenza
Nazionale”, un direttorio segreto di 18 persone che pianificò la caduta di
Chavez. I “bussinesmen” si riunirono in Venezuela, ad Aruba, Panama,
Costarica e Miami insieme a “consulenti privati” statunitensi. Tra le possibili azioni c’era l’omicidio di Chavez. Si arrivò così allo “sciopero
generale” di 24 ore del 6 aprile, indetto dal sindacato del vecchio regime
(CTV) con l’appoggio di Fedecamaras, la Confindustria locale e della
“società civile”. In base alle sue prerogative, il presidente rimosse sette
membri del consiglio di amministrazione di PdVSA (Petroleos de Venezuela) la più importante impresa venezuelana ed annunciò aumenti salariali del 20% dal prossimo 1° maggio.

9 aprile: con il sostegno della quasi totalità dei mezzi di comunicazione (in mano alla destra) iniziò lo sciopero contro “el loco”, “il pazzo”, come viene definito il presidente. Il governo ottenne una catena televisiva, che però venne boicottata.

10 aprile: la CTV dichiarava lo “sciopero a tempo indeterminato” insieme a Fedecamaras. Il ministro della difesa Jose Rangel, a nome di Chavez, chiamava al dialogo tra le parti sociali.

11 aprile: prova di forza dell’opposizione (150/200.000 persone) alla sede di PdVSA, “in solidarietà” con i sette managers licenziati. La CTV e Fedecamaras guidarono la manifestazione verso il palazzo presidenziale di Miraflores, violando gli accordi presi in precedenza. Chavez accusò di
“irresponsabilità” gli organizzatori e proibì alle emittenti di trasmettere.
Con un tam-tam i sostenitori del governo convocarono una contromanifestazione. Alle 14,30 iniziarono gravi incidenti nei dintorni di
Miraflores. Franchi tiratori cominciarono a sparare dai palazzi vicini contro le due manifestazioni, nel tentativo (riuscito) di esacerbare gli animi. Si rispose al fuoco, con un saldo di almeno 14 morti ed un centinaio di feriti, per lo più tra i sostenitori del presidente, ma anche dell’opposizione. Le agenzie stampa internazionali accreditarono la versione della destra  secondo cui Chavez ha dato ordine di sparare sulla folla. Si saprà in seguito che diversi francotiratori erano della Polizia Metropolitana, agli ordini del sindaco antichavista di Caracas. Il Partito Comunista denunciò la presenza di infiltrati e di francotiratori di “Bandera Roja”, un’organizzazione antichavista. Alle 19 alti comandi della Guardia Nazionale hanno disconosciuto Chavez e chiedono la rinuncia dei comandi militari. Alle 21,37 alcuni generali dell’esercito “respingono le prevaricazioni di Chavez contro il popolo”, chiudevano la Tv statale, riaprendo le emittenti private. Altri hanno fatto appello ai militari fedeli a Chavez a non utilizzare le armi.

12 aprile: In piena notte le Tv private hanno trasmesso la versione della “rinuncia” di Chavez secondo il comandante dell’esercito Efrain Vasquez, e della “richiesta del presidente di andare a Cuba”. Come si saprà in  seguito entrambe le informazioni erano prive di fondamento. Chavez viene arrestato, portato nella caserma di Fuerte Tiuna e poi nell’isola di “la Orchidia”. Si annunciò che sarebbe stato processato per i morti del giovedì.
L’opposizione è in piazza insieme ai militari golpisti che “si mettono a
disposizione” dei ribelli. Il presidente di Fedecamaras, Pedro Carmona, si
auto-proclamava presidente di un “governo di transizione civico-militare”,
sciolse il parlamento, il Tribunale supremo di giustizia, sospendendo le forniture petrolifere a Cuba e annunciando l’abolizione della Costituzione
del 1999. Iniziava la repressione dei dirigenti popolari. Molti governi
latinoamericani del “Gruppo di Rio” riuniti in Costa Rica si pronunciavano
contro il golpe. Un portavoce del Dipartimento di Stato Usa invece lo
appoggiava, mentre il rappresentante spagnolo della Unione europea si
schierava a favore del “governo di transizione”. Il governo italiano tace.

13 aprile: i pobladores di Caracas e di altre città, scendevano in piazza a migliaia contro il golpe. Miraflores è in mano alla resistenza popolare. La brigata 42 dei paracadutisti di stanza a Maracay si schierava a favore di Chavez. Le Forze Armate tentennano, mentre la repressione golpista lasciava decine di morti sul terreno, centinaia di arresti e torture.
Carmona fa marcia indietro sullo scioglimento del parlamento. Il presidente
del parlamento, William Lara ed il Procuratore generale della repubblica non riconoscono i golpisti. Il vicepresidente legittimo, Diosdado Cabello assume la presidenza e Carmona rinunciava. Alle 2,50 del 14 aprile Chavez atterrava in elicottero a Miraflores riassumendo l’incarico presidenziale. La consigliera per la sicurezza nazionale statunitense, Condoleezza Rice, dichiarava di sperare che Chavez abbia imparato la lezione e che “modifichi la rotta”. Il Pc venezuelano chiedeva “legalità sì, impunità no”. Chavez sostituiva immediatamente diversi generali mentre cinque sono agli arresti. Il primo round per il momento si è concluso.