Venezuela: un’altra vittoria bolivariana

di Marco Consolo –

Domenica scorsa in Venezuela, più di 19 milioni di cittadini sono stati chiamati al voto in elezioni municipali per scegliere 337 sindaci e 2455 consiglieri.

Con una partecipazione di quasi il 60 %, secondo l’ultimo bollettino emesso dal Consiglio Nazionale Elettorale – CNE  (97,52 % della trasmissione dati) si conferma la vittoria dei candidati del processo bolivariano riuniti nel “Gran Polo Patriottico” (GPP) e la netta sconfitta dell’opposizione.

Al momento in cui scriviamo il GPP ed al suo interno il principale partito, il  Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV),  vince in 234 comuni, con un totale di 5.111.336 voti contabilizzati, (il 49,24 %). Di questi, almeno 13 sono capoluoghi (o capitali) dei 24 Stati che formano il Paese.

La variegata opposizione di destra, riunita nella Mesa de la Unidad (MUD), si ferma a 53 municipi con 4.435.097 elettori,  (42,7%).

Vi è quindi una differenza relativa del 6,52 %  a favore del proceso bolivariano,   sufficiente per uscire da una zona di immediato rischio politico.

Gli altri partiti minori, ottengono 833.731 voti, equivalenti all’ 8,03%. Tra questi il Partito Comunista con  l’1,6%. Quasi tutte le formazioni minori hanno appoggiato i candidati bolivariani.

Mancano ancora i dati di alcuni comuni, ma il dato político è inequivocabile. Ancora una volta, il processo bolivariano esce vittorioso dalle urne.  Fino a ieri del totale dei 337 comuni, 265 erano mano al PSUV ed alle forze che sostengono il processo di cambiamento iniziato dal Presidente Chávez  e scomparso nel Marzo di quest’anno.

Dopo la scomparsa del Presidente Chávez , e prima di queste elezioni comunali, nello scorso aprile si erano tenute le elezioni presidenziali con la vittoria di misura del Presidente Nicolás Maduro.

E negli ultimi 14 anni, il processo bolivariano si è sottoposto a 19 processi elettorali, di cui finora ne ha perso solamente 1. Fin qui i numeri della strana “dittatura” venezuelana, che celebra più elezioni che qualsiasi altro Paese del continente latino-americano e di molti altri Paesi del mondo intero.

IL FLOP DELL’OPPOSIZIONE

La destra voleva trasformare queste elezioni in un plebiscito contro il processo bolivariano e per fare cadere il governo del Presidente Nicolás Maduro. Forti della  risicata vittoria di Maduro nelle presidenziali di Aprile (che non ha mai voluto riconoscere), erano convinti di potere dare la spallata finale. Ci avevano provato scatenando i pistoleros in piazza e assassinando 11 persone la volta scorsa, aizzati dal candidato Henrique Capriles, già squadrista in prima fila nell’assalto all’ambasciata cubana nel tentativo di golpe del 2002. Da mesi il messaggio era chiaro: se Maduro aveva quasi perso in Aprile, adesso era la volta buona per sloggiarlo dal Palazzo di Miraflores. Con l’aiuto onnipresente e onnipotente degli Stati Uniti, l’opposizione ha adottato uno schema “alla cilena del 1973” con la “combinazione di tutte le forme di lotta”: guerra economica e finanziaria, accaparramento  e scarsezza indotta di beni, sabotaggi nella rete elettrica, insicurezza con l’uso della criminalità organizzata ed una implacabile campagna mediatica interna. Si ripeteva fino all’ossessione che il chavismo senza Chávez  era finito e che non aveva nessuna possibilità di sopravvivere. Dopo  Chávez  (un indio poi…), neanche Maduro era all’altezza, in fondo si trattava  “solo” di un autista di metro, un ex-sindacalista non certo in grado di governare, etc. Una matrice di opinione amplificata e moltiplicata da tutti i megafoni dei media internazionale (CNN, RAI, La Repubblica, Il Corriere della Sera, El Pais, etc).  Un livore di classe che traspare incessantemente dalle pagine patinate dei rotocalchi mondiali, insieme agli attacchi a quello che viene definito “l’autoritarismo del governo”.

ALCUNE CONSIDERAZIONI PER IL FUTURO

Un’analisi più attenta del voto permette alcune considerazioni.

Dopo avere condotto una campagna feroce contro il CNE, la destra questa volta non ha potuto far altro che riconoscere i risultati e quindi, il suo ruolo di arbitro imparziale. Il sistema elettorale elettronico, perfezionato negli anni, è stato riconosciuto da tutte le parti come un sistema a prova di fraude. Ed anche in questa occasione migliaia di osservatori nazionali hanno partecipato a tutte le fasi del processo elettorale. 

L’opposizione mantiene il bastione dei quartieri più benestanti della “Gran Caracas” (Baruta, Chacao, l’interclassista Sucre), El Hatillo, e tiene l’importante città petrolifera di Maracaibo. Ma in entrambi i casi è seguita a ruota dai candidati socialisti. Conquista Valencia, Barquisimeto, Barinas (città natale di Chávez ), San Cristobal, città  in mano a sindaci “chavisti”. Vince in 8 capoluoghi (in uno grazie alle divisioni interne dei bolivariani). Sarebbe quindi un grave errore sottovalutare l’opposizione, che guadagna spazi di potere importanti in vari Stati del Paese.

A questo ci sono da aggiungere gli errori dello stesso governo, che non sono mancati. Tra questi, un certo trionfalismo.  

Ma il saldo generale negativo per l’opposizione e la sconfitta dei sostenitori oltranzisti della tesi del “plebiscito per sfrattare Maduro da Miraflores”  farà sentiré i suoi effetti nel campo oppositore e tra i suoi dirigenti.  Gli stessi che , con questo  risultato, perdono forza e prestigio, data l’incapacità di superare il voto bolivariano nonostante l’avanzata e la conquista di diverse capital del Paese.

In generale l’opposizione vince in città e perde nelle campagne. Viceversa il processo bolivariano consolida le posizioni nelle zone rurali. Ma sono ancora in disputa gli Stati alla frontiera con la Colombia, con una forte immigrazione colombiana ed una influenza dei paramilitari.  La legge elettorale, che permette il voto agli stranieri che risiedono da più di 10 anni nel Paese, ha pesato nell’esito del voto a favore dell’opposizione, almeno in diverse città delle zone di frontiera.

Sul terreno elettorale persistono quindi zone geografiche di instabilità e di svantaggio da non sottovalutare.

Manca ancora una analisi ed una valutazione approfondita dell’astensionismo. Questa volta la partecipazione nelle elezioni municipali (58,9 %) ha superato quella delle regionali del 16 Dicembre 2012 (53,8 %), ma l’astensione continua ad essere alta, data la posta in gioco e gli obiettivi politici. Il dato dell’astensione,  marca comunque distanza dalla politica e dalla “democrazia partecipativa”. A prima vista, come spesso accade, anche qui sono i quartieri popolari che stanno a casa, nonostante un parziale recupero,  mentre gli abitanti dei quartieri benestanti e di classe media vanno a votare contro il governo.

Più in generale, il processo bolivariano ha centrato due obiettivi strategici: da una parte ha ottenuto un tempo politico supplementare cruciale, senza perdere grandi spazi di governo; dall’altra ha potuto mettere un freno alla strategia oppositora di farlo cadere in breve tempo, uscendo da un’area di rischio politico immediato. Non c’è dubbio che fosse importante superare  una potenziale crisi politica a tempi stretti, a partire dai magri risultati elettorali dello scorso aprile e dalla “guerra economica”, in uno scenario di crisi economica mondiale. Un obiettivo parzialmente raggiunto.

Il “golpe de timòn” invocato da Chávez  ha visto una prima concresione nelle misure sul terreno economico e sociale prese dal governo a partire da Ottobre (con l’ottenimento di nuovi poteri grazie alla “Ley Habilitante”) che hanno rimesso in sintonia il governo con il sentire popolare e l’eredità di Chávez . In termini gramsciani, si è parzialmente rinnovata la “connessione sentimentale” tra la rivoluzione ed il suo popolo. I colpi contro la speculazione sfacciata, l’arresto di alcuni funzionari e quadri intermedi corrotti, e soprattutto l’approvazione del Plan de la Patria, ideato dallo scomparso Presidente, sono passi in avanti che permettono di approfondire le trasformazioni in atto. Non è un caso che l’opposizione vi si sia opposta con tanto fervore.  Di certo, per essere credibile, l’operato anti-corruzione deve andare fino in fondo e non guardare in faccia a nessuno, neanche tra le file del governo.

La prima sfida strategica è quella di saper articolare questa “svolta a sinistra” con criteri politici ed una maggiore coscienza ideologica, non solo da parte del PSUV, ma da parte di tutte le forze alleate nel Gran Polo Patriottico (GPP) che hanno contribuito al recupero del consenso ed alla vittoria bolivariana.  Il GPP ha davanti a sè un compito a tutto tondo: superare le tensioni e le differenze interne, mantenendo l’unità e trasformandosi nell’ossatura per l’implementazione del Plan de la Patria, vero e proprio testamento politico di Chávez e bussola del cambiamento della società in senso socialista.

Non c’è dubbio che l’argine principale ai piani di destabilizzazione della destra è stata l’unità chavista, bolivariana, popolare. Una unità che ha frenato coloro i quali disprezzano e sottovalutano il protagonismo popolare organizzato, come soggetto della trasformazione. L’equilibrio di potere continuerà ad essere favorevole al processo rivoluzionario, solo se si consolida questa connessione tra il popolo organizzato, il prestigio della maggioranza dei dirigenti del processo e l’eredità rivoluzionaria di  Chávez. I partiti e le organizzazioni sociali del campo bolivariano hanno un ruolo cruciale in questa battaglia ed una grande responsabilità. Senza sottovalutare quella del Presidente Maduro,  sottovalutato in Venezuela dall’opposizione e da alcuni settori bolivariani (e all’estero anche da molta “sinistra light”) che non capiscono le sue capacità. Nè ancor meno l’idiosincrasia del popolo venezuelano. 

Dulcis in fundo c’è un nervo ancora scoperto ed una debolezza che si trascina da tempo. Quella della comunicazione di massa dell’insieme delle forze bolivariane. Una mancanza che lo scomparso Chávez riempiva con la sua capacità di entrare in connessione diretta con il suo popolo. Oggi non basta ripetere i discorsi del Presidente Maduro e dei vari Ministri. Non basta fare propaganda. Nè, peggio ancora, scimmiottare il linguaggio ed il messaggio dell’avversario. C’è bisogno del massimo di fantasia e creatività per costruire e ricostruire un’ auto-immagine, per “vedersi con i propri occhi” e non con quelli dell’avversario. Per parlare al cuore ed alle coscienze di milioni di persone avvelenate quotidianamente dai codici e dai messaggi dell’avversario, aperti, simbolici e subliminali. Come diceva Simón Rodríguez,  il maestro del libertador Simón Bolívar, “o inventiamo, o erriamo”.  E’ questo il terreno della “guerra asimmetrica”, la decisiva “guerra di quarta generazione”.

C’è bisogno di una analisi più profonda dei rapporti di forza reali, delle dinamiche di flusso e riflusso del campo rivoluzionario. Sarebbe utile riuscire a farlo con il “cuore caldo e la testa fredda”, con umiltà intellettuale e senza trionfalismi, tenendo conto della necessità di consolidare il poder popular, delle prossime sfide delle prossime elezioni parlamentari e soprattutto della delicata fase economico-sociale del prossimo anno.