Washington preferisce la guerra

Gli Usa contro la trattativa

di Marco Consolo – Liberazione 8-7-2001

 

I soldati prigionieri dei guerriglieri delle Farc mentre vengono liberati e consegnati alla Croce Rossa

 

La scorsa settimana la guerriglia delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (Farc-Ep) ha liberato 365 prigionieri di guerra membri dell’esercito e della polizia catturati nei combattimenti degli ultimi 4 anni, consegnandoli alla Croce Rossa Internazionale come “gesto unilaterale ed umanitario di pace”. Alle cerimonie hanno presenziato gli ambasciatori dei “paesi facilitatori del processo di pace” tra cui l’Italia, e diversi invitati stranieri. Un gesto importante a cui il governo ha cercato in tutti i modi di mettere la sordina.

Con una strana coincidenza, negli stessi giorni, veniva rapito un dirigente della federazione calcio colombiana, proprio in concomitanza con la decisione di realizzare o meno la Coppa America in Colombia. Il sequestro è stato immediatamente attribuito alle Farc, ma il comandante guerrigliero Raul Reyes, in una dichiarazione esclusiva a Liberazione, lo ha smentito parlando di “possibilità di autosequestro”.

 

Nella stessa settimana altri episodi hanno contrassegnato il difficile processo di pace colombiano.

 

Le Farc hanno attaccato la base militare di Coriguaje, nella zona del Putumayo, nel cuore del Plan Colombia: truppe d’elite dell’esercito, addestrate dagli Stati Uniti, hanno subito una pesante perdita di 44 morti. Qualche giorno dopo un commando guerrigliero ha attaccato il carcere de “La Picota”, alla periferia di Bogotà, liberando più di 100 detenuti, tra cui molti militanti sia delle Farc che dell’Eln (l’altro gruppo guerrigliero).

 

Presto nelle città

 

Parlando ai soldati che sarebbero stati liberati da lì a poco, il comandante  guerrigliero, Jorge Briceno, ha sostenuto che «qui nella selva rimarranno solo i topi e gli uccelli. Noi ci rivedremo in città». La promessa di allargare la guerra ai centri urbani fa parte di un cambio di strategia delle Farc.

 

Dall’approvazione da parte del Congresso Usa del famigerato Plan Colombia (1300 milioni di dollari, di cui l’80% in aiuti militari) le azioni degli squadroni della morte sono aumentate vertiginosamente, soprattutto in quelle zone da “ripulire” dalla presenza contadina per far posto ai macro-progetti sponsorizzati dalla Banca Mondiale. Dall’inizio dell’anno vi sono stati tre massacri al giorno e l’uccisione di 51 sindacalisti che ha provocato in giugno la condanna dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil).

 

La zona smilitarizzata scade il 1 ottobre e la sua proroga è incerta. Difficile il dialogo in queste condizioni: mentre l’amministrazione Bush non ha ancora deciso quale candidato presidenziale appoggiare nelle prossime elezioni del maggio 2002, il presidente Pastrana vive oggi un forte isolamento anche all’interno del suo governo, mentre le pressioni dei militari sono fortissime.

 

Al Plan Colombia si è aggiunta poi la cosiddetta “Iniziativa Andina”, un ulteriore stanziamento a stelle e strisce di 850 milioni di dollari destinati ai paesi limitrofi, come ammortizzatore degli effetti del Plan, a cominciare dalle migliaia di rifugiati prodotti dalle fumigazioni aeree con diserbanti, realizzate con il pretesto della lotta al narcotraffico. Infatti, le fumigazioni indiscriminate a base di glifosato (un diserbante prodotto dalla multinazionale chimica Monsanto e che pare sia utilizzato anche per sperimentare Organismi Geneticamente Modificati) lungi dall’attaccare solo le piantagioni di coca, lasciano terra bruciata.

 

Il braccio armato dell’Alca

 

La presenza del movimento guerrigliero (Farc ed Eln) e di un vasto conflitto sociale, rappresentano una seria ipoteca al controllo imperiale ed un granello di sabbia nell’ingranaggio dell’Alca (Area di Libero Commercio delle Americhe), la cui agenda ricalca le direttive dell’Organizzazione mondiale del Commercio.

 

Secondo le intenzioni statunitensi, i negoziati per la realizzazione di una zona di libero scambio dall’Alaska alla Terra del fuoco, con un potenziale di più di 800 milioni di consumatori, dovrebbero terminare prima della data fissata nel 2005, nonostante l’opposizione di diversi governi latino-americani. Oltre al riposizionamento geostrategico degli Stati Uniti nel “cortile di casa”, in gioco sono le risorse energetiche, le enormi ricchezze idriche, la ricchissima bio-diversità dell’amazzonia colombiana, che fanno gola alle multinazionali.