Francesco Moranino, la Resistenza alla sbarra

Francesco Moranino, il comandante «Gemisto». Un processo alla Resistenzadi Marco Consolo

Lo scrittore Massimo Recchioni continua a dipanare il filo rosso della memoria degli anni recenti della storia italiana. Il suo ultimo lavoro (Francesco Moranino, il comandante «Gemisto». Un processo alla Resistenza) è dedicato a ridare dignità ad una figura limpida della nostra Resistenza antifascista.
Come si sa, nelle pseudo-ricostruzioni «storiche» revisioniste molto in voga, le figure e le vicende dei partigiani sono sempre «controverse» e mai limpide. Non c’è dubbio che il linguaggio faccia parte del tentativo di equiparazione di forze (torturatori e torturati per semplificare) che invece, sul campo, avevano dimostrato di avere ruoli e responsabilità completamente diversi.
Un posto particolare nell’attacco alla Resistenza, iniziato a colpi di sentenze già alla fine degli anni Quaranta, lo ebbe il processo a Francesco Moranino. Comandante partigiano, comunista, Moranino fu il primo deputato della storia della Repubblica contro il quale venne richiesta, e ottenuta, autorizzazione a procedere ed all’arresto. Si trattava di fatti di guerra, come l’autore dimostra in modo esaustivo. E allora come mai la Camera concesse quell’autorizzazione e spinse il protagonista di questa storia verso una condanna sicura?
La tesi, basata su prove e documenti d’epoca ritrovati negli Archivi di Stato, è quella che il periodo in cui si svolse il processo Moranino non poteva condurre a sentenza diversa.
Facciamo un passo indietro. Erano i tempi della «guerra fredda», il Fronte Popolare era stato prima cacciato dal governo da De Gasperi su pressione statunitense, poi sconfitto alle elezioni di un anno dopo con un immane spiegamento di tutte le forze reazionarie dell’epoca, Vaticano in testa. Fu da allora, dal 1948, che venne scatenata la potente offensiva soprattutto giudiziaria, nei confronti dei partigiani, in particolare di quelli comunisti. Tornarono all’attacco tutti i gerarchi del regime fascista e i capi repubblichini liberi, ivi compresi Grandi, De Vecchi, Borghese a capo della famigerata X Mas (coinvolto nel 1970 in un tentativo di golpe). Per non parlare di Graziani (a cui qualcuno vorrebbe dedicare un sacrario nel frusinate), responsabile degli stermini chimici in Africa, la cui estradizione fu chiesta e mai concessa dall’Italia che, del resto, non estradò mai nessuno. La magistratura era cambiata ben poco rispetto a quella che aveva operato nel ventennio fascista; lo stesso dicasi per le prefetture, le forze dell’ordine, l’apparato dello Stato in generale.
Francesco Moranino venne mandato a processo, dopo un appassionante dibattito alla Camera dei Deputati nel gennaio del 1955 – di cui l’autore riporta alcuni interessantissimi e appassionanti stralci, a cominciare dall’intervento di Pajetta – con i voti del Movimento Sociale Italiano (MSI). Una vicenda che è la metafora della già stravolta storia del nostro Paese: un capo partigiano condannato nel 1941 per attività sovversiva contro lo Stato a 12 anni di carcere dal “Tribunale speciale” di Mussolini. Poi mandato a processo con i voti del MSI, partito che da subito si dichiarò erede del fascismo. D’altra parte anche il giudice Gaetano Azzariti, Presidente del ”Tribunale della razza” dal 1938, fu addirittura promosso nel 1957 a Presidente della Corte Costituzionale.
In questo quadro il processo contro Moranino aveva una sentenza già scritta. Anche in quel processo, come il libro ci racconta, successe di tutto: testimoni a difesa minacciati di denuncia per falsa testimonianza, ed altri come Pertini e Longo completamente ignorati. Francesco Moranino fu condannato all’ergastolo per omicidio plurimo perché, insieme a tutto il suo Comando di zona, aveva deciso la fucilazione di sospette spie (con il consenso di tutti i partiti rappresentati nel Comando e degli alleati). Il libro racconta i fatti all’origine del rinvio a giudizio, e spiega con dovizia di particolari come il comando partigiano non potesse non dubitare fortemente dell’identità e del ruolo di costoro, tanti e tali erano gli indizi a loro carico. E racconta l’enorme problema delle spie: a partire dal ventennio, quando fecero arrestare centinaia di oppositori, fino al dopoguerra, in cui erano presenti nei partiti di sinistra a diversi livelli. Ancor più durante la guerra partigiana, quando proprio l’infiltrazione di spie era uno dei maggiori pericoli.
Come Recchioni riporta a partire dalle commoventi pagine del diario originale di «Gemisto», lo stesso Moranino nel maggio del ’44 era stato vittima di un’imboscata organizzata da spie, con diversi partigiani uccisi e lui stesso ferito gravemente.
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(Francesco Moranino con Che Guevara nel 1962)

Per tornare al processo, il libro racconta come esso stravolse i fatti imputati a Moranino, che poteva essere condannato solo riducendoli a reato comune organizzato da una singola persona. Una vicenda che si concluse in modo assai amaro.
Ma, se un conto è la verità giudiziaria, in casi come questo cosa ben diversa è la verità storica. Anche Sacco e Vanzetti furono condannati alla sedia elettrica e giustiziati nel 1927, ma già indagini e processo dimostrarono in modo lampante la politicità di quel verdetto e l’innocenza dei due emigrati italiani. I due anarchici furono del tutto scagionati solo a distanza di cinquant’anni dalla loro morte.
Ci sarà per Francesco Moranino un simile iter? Sarebbe auspicabile, ma è difficile, in un periodo in cui il revisionismo sembra aver raggiunto il suo apice per arrivare a una memoria «condivisa», prescindendo da chi fu dalla parte del torto e da chi, invece, da quella della ragione. Il libro di Recchioni ribadisce con forza, cifre e rigorosa documentazione che non ci fu né fascismo buono, né meno buono. Che non si voltò pagina dopo la Liberazione e che i fascisti tornarono, spesso neanche sotto mentite spoglie. E che i comunisti furono oggetto della persecuzione nel dopoguerra, unici «scomodi» in un Paese dell’emisfero occidentale capitalista.
Da questo punto di vista, la storia di Moranino è davvero emblematica, come la storica Alessandra Kersevan racconta in una delle prefazioni (l’altra è di Lidia Menapace). Il processo puntava a colpire la Resistenza nel suo complesso ed il Partito Comunista Italiano nei suoi vertici e la sua base, in particolare dal punto di vista psicologico. Un’operazione riuscita, che, insieme a tanti altri processi, gettò i militanti comunisti nello sconforto e nella paura.
Il libro racconta un dramma politico ed umano (toccanti sono le testimonianze della famiglia Moranino) e ricostruisce altri aspetti di quell’importante figura: condannato dai fascisti quando aveva appena vent’anni, comandante partigiano a 23, nell’Assemblea Costituente a 26, sottosegretario a 27, deputato, poi esule, Segretario Generale della Federazione Mondiale della Gioventù Democratica, infine senatore. In questi tempi di “anti-politica”, Moranino è stato un partigiano e dirigente comunista di cui le forze migliori di questo Paese dovrebbero andare fiere.

Francesco Moranino, il comandante «Gemisto». Un processo alla Resistenza
di Massimo Recchioni. Edizioni Derive Approdi, Roma, 2013, euro 17

Marco Consolo

in data:06/05/2013