Argentina: dura sconfitta a destra

di Jorge Ceriani e Marco Consolo –

 

Una massiccia partecipazione popolare alla consultazione di domenica scorsa ha bocciato in modo contundente il governo Macri. Anche se si trattava di “elezioni primarie”, ovvero di una consultazione prevista per dirimere candidature alternative all’interno delle liste, il popolo argentino ha depositato nelle urne la rabbia e la protesta accumulata durante il governo degli imprenditori e degli oligarchi rampanti. La massa peronista e di sinistra si è mossa compatta a sostegno della formula di Alberto Fernandez e Cristina Fernandez de Kirchner. Visto che tutti i partiti avevano già deciso le rispettive formule elettorali, queste elezioni si sono trasformate in una specie di sondaggio capillare, un anticipo del quadro che  dovrebbe uscire dalla contesa elettorale ufficiale di Ottobre (e da un ipotetico ballottaggio). Il governo Macri risulta sconfitto pesantemente e con un distacco difficilmente colmabile. La accoppiata peronista (Alberto Fernandez, Cristina Fernandez de Kirchner) riunita nel “Frente de Todos”, sfiora il 49 % e Macri resta al palo con il 32%, perdendo inoltre l’importante provincia di Buenos Aires, dove risulterebbe eletto Axel Kicilloff, ex ministro del governo di Cristina e leader della sinistra peronista.

Si è trattato di una prova di forza tra due modelli di Paese: quello del continuismo neoliberista o il “ritorno” a un governo progressista.

Va detto che il “Fronte di tutti” ha vinto contro tutti i trucchi che il sistema utilizza in queste occasioni: giornalisti “indipendenti” e “opinion makers” al servizio dei latifondi mediatici, manipolazioni e distorsioni nel modo di presentare informazioni, notizie false (fake news) sulle reti digitali sociali, sondaggi ad hoc (senza mai autocritica sui loro grossolani “errori”), l’offensiva giudiziaria contro dirigenti del precedente governo e dei movimenti sociali, etc.

Alla vittoria hanno concorso significativamente settori del movimento operaio, di ceto medio impoverito,  la piccola borghesia ridotta alla fame, con i giovani e le donne in prima fila. Nei cordoni industriali di Buenos Aires (Matanza, Avellaneda, Lanus), di Santa Fe (Rosario, Villa Constituciòn, San Nicolas) si ottengono percentuali tra 70-80%. Praticamente quasi in tutto il paese (meno che a Cordoba) il “Fronte di tutti” ha staccato di molto Cambiemos (Macri-Picchetto) e le altre forze della destra.

Il governo Macri ha pagato caro il bilancio disastroso delle politiche applicate dal dicembre del 2015. Circa 5 milioni di poveri e tanti costretti a lasciare la propria casa senza possibilità di pagare fitto o mutui, servizi “dollarizzati”, migliaia di licenziamenti in un settore privato che boccheggia e in uno Stato latitante, l’abbandono a se stesse della piccola e media industria e delle aziende agricole.  Gli unici ad arricchirsi in mezzo al disastro sono stati la oligarchia esportatrice, le multinazionali e le banche che si sono spartiti il fiume di denaro del FMI (60 miliardi di dollari in “aiuti”).  Il governo ha garantito alti profitti a multinazionali e grandi proprietari terrieri, che hanno goduto di regimi fiscali “agevolati”, grazie al peggioramento delle condizioni di vita di milioni di argentini e alle riserve del Banco Centrale.

Sul versante politico, la coalizione vincitrice ha come colonna portante il peronismo e la sua variante kirchnerista, la corrente di Uniòn Ciudadana di Cristina Kirchner, a cui si sono sommate altre figure ed organizzazioni. Alcune più moderate e altri che hanno fatto parte del governo Macri o l’hanno sostenuto in parlamento, come Sergio Massa (Frente Renovador). Oltre al Partito Comunista, anche le principali centrali sindacali (GGT e le due CTA) hanno appoggiato la coalizione. In realtà non si è trattato di un riavvicinamento tra leaders, dall’alto, ma piuttosto di una coesione crescente a partire dalla mobilitazione popolare costante e dalla richiesta di unità che veniva dal basso, dai conflitti e dalle lotte. Il protagonismo sociale è aumentato malgrado lo stato di polizia e la repressione imposta da Macri. La forte coesione che il popolo argentino ha espresso domenica è il frutto di decine di battaglie sindacali, scioperi parziali e generali di lavoratori, del forte movimento dei diritti umani con le Madri e Nonne di Plaza de Mayo che hanno resistito duramente al tentativo di “fare sconti” ai responsabili dei crimini della passata dittatura civico-militare, del grande movimento delle donne “Ni una Menos” (Non una di meno), che hanno costruito un prestigio nazionale ed internazionale nella lotta di liberazione dal dominio e dal maltratto maschile e per  l’aborto legale e gratuito. Sono solo alcuni dei fattori che hanno determinato il voto domenica scorsa, insieme alla protesta e alla rabbia  di chi vuole libera Milagro Sala (prigioniera dall’inizio della legislatura Macri) e che ripudia crimini come quello di Santiago Maldonado.

Nel suo discorso dopo il risultato, Alberto Fernández ha difeso l’istruzione e la salute pubblica, ed ha criticato la perdita di diritti che comportano le contro-riforme macriste del lavoro e delle pensioni.  Nei prossimi giorni, dovrà spiegare al dettaglio la proposta di politica economica, il modello di produzione e sviluppo che soddisfi la domanda della stragrande maggioranza. Le  condizionalità insite nell’accordo con il FMI sono una questione essenziale, non solo per le scadenze dei pagamenti, ma anche per le riforme regressive e, appunto, le condizioni dell’aggiustamento strutturale. Questo implicherà forti dibattiti all’interno della coalizione, visto che (vale la pena ricordarlo) la nomina di Alberto Fernández a capo della formula ha significato un allargamento a destra delle alleanze elettorali.

La destra non lascerà facilmente il governo ed il potere

La prima reazione di Macri, e dell’estrema destra, è stata di sorpresa e di paralisi, poi furibonda. La sua conferenza stampa non ha fatto altro che confermare i peggiori sospetti sui prossimi mesi. La sua narrazione del  “mondo” (ripetuta ossessivamente) che sarebbe accorso a salvare il Paese, si è rivelata un bluff e ha messo l’Argentina sotto il controllo delle multinazionali, perdendo la sovranità e senza validi risultati macroeconomici: non c’è mai stata la pioggia di investimenti promessi, nè la “fine del tunnel”.
Oltre alle giustificazioni di rito (“mancano alcuni anni per ottenere i frutti di ciò che abbiamo seminato”, “abbiamo ereditato una situazione disastrosa”, etc.), il governo Macri recita una parte già concordata coi poteri finanziari internazionali e gli Stati Uniti. Dal “voto castigo” i poteri forti sono passati al “castigo del voto”: nelle ore seguenti al voto, si è registrata una svalutazione del 26 % del peso rispetto al dollaro, un tonfo della borsa, un’incertezza generalizzata, mentre la grande stampa diffonde l’idea che il prossimo governo Fernandez non restituirà il prestito al FMI.

Ed è così che, dopo il chiaro messaggio delle argentine e degli argentini, Macri cerca di accusare l’opposizione e coloro che non hanno accettano il “cambiamento” che ha proposto dal 2015. Secondo l’attuale governo, la colpa di questo lunedì nero nei mercati è del voto degli argentini e addirittura del futuro governo !  Non dei tre anni e mezzo di aggiustamento strutturale, svalutazione, inflazione, perdita di potere d’acquisto dei salari, chiusura delle PMI ed altro. Non del fatto che l’unica cosa che ha saputo fare il governo è stato rivolgersi al Fondo Monetario Internazionale. In Italia e in tempo reale, a difesa del “centrista moderato” Macri (sic), si allinea Federico Rampini su “Repubblica”: “peronismo=populismo”, “peronismo=Bolsonaro”, “il futuro presidente allarma i mercati”, dimostrando una confusione che rasenta l’incompetenza.

La destra argentina cerca di organizzare finte proteste di strada, “cacerolazos” del ceto medio benestante e invoca il rispetto dei sacri “mercati internazionali”. Visto che le aspirazioni del presidente uscente sono naufragate nello stagno delle urne, ci sarebbe un urgente bisogno di una carta di ricambio, di un “Guaidò” argentino, o di un altro da inventare prima delle elezioni di ottobre. Nel campo internazionale, FMI, governo statunitense,  Unione Europea e multinazionali sanno perfettamente che un possibile nuovo governo progressista sarà un problema per la riconquista del “cortile di casa” tracciato da Trump. Un progetto imperialista che ha la sua punta di diamante nell’aggressione permanente e le sanzioni al Venezuela, al Nicaragua, ed a Cuba, e il pieno sostegno ai governi reazionari come quello colombiano.

In Brasile, il governo Bolsonaro non solo non riesce a decollare, ma è oggetto di un ulteriore discredito con la pubblicazione delle comunicazioni tra il giudice che ha portato Lula in prigione (e per questo promosso a Ministro) e la pubblica accusa. Nei messaggi pubblicati, i due tramavano su come togliere di mezzo il leader del PT dalla campagna elettorale, dimostrando la mancanza di imparzialità del processo ed il suo chiaro obiettivo politico.

Nel continente, una vittoria della formula Fernandez-Fernandez riapre la prospettiva di integrazione latinoamericana, arricchita dall’aggiunta del Messico di Lopez Obrador, della Bolivia di Evo Morales, dell’Uruguay del Frente Amplio e a difesa del processo bolivariano in Venezuela. Non c’è dubbio che dal risultato argentino la sinistra latinoamericana (e non solo) trovano nuova linfa e stimoli per andare avanti. E’ possibile riprendere il cammino interrotto nel continente, rompere il tentativo di isolamento contro il processo venezuelano, sconfiggere Bolsonaro e  battere la destra ecuadoriana.

Di fronte a questa possibilità, Trump e i suoi non resteranno con le mani in mano e hanno già lanciato una campagna internazionale di guerra economica e giudiziaria contro il futuro governo in Argentina. L’avevano già fatto a inizio  campagna, quando un giudice statunitense aveva citato a giudizio il passato governo Kirchner adducendo irregolarità nell’esproprio e rinazionalizzazione dell’impresa petrolifera YPF, chiedendo ingenti risarcimenti a favore della spagnola Repsol, cosa che la dirigenza macrista ha presentato come  “la pesante eredità” o “i danni del passato”. E’ da qualche anno che la stampa internazionale rivela che l’economia argentina traballa e che il FMI è dovuto correre più volte in suo soccorso e ora che la situazione precipita nell’abisso di un rischioso default, le colpe vengono attribuite al… nuovo governo.

Davanti a questa campagna, le diverse componenti che animano la galassia del “Fronte di tutti”, in particolare i peronisti, fanno appello alla serenità, a mantenere il controllo e la vigilanza popolare per assicurare il probabile risultato positivo di ottobre e passare all’incasso. Alberto Fernandez rassicura i mercati dicendo che terrà fede ai compromessi internazionali ed apre a Roberto Lavagna, ex-Ministro di Economia di Eduardo Duhalde e dopo di Nestor Kirchner, nel periodo 2002-2005.

Il risultato di queste primarie appare contraddittorio: anche se non ha ancora attribuito il governo, la vittoria schiacciante del “Fronte di tutti” ha generato un entusiasmo popolare, una voglia di riscatto e di protagonismo contagioso che va oltre i piani tracciati dai suoi dirigenti. Il popolo argentino non è stato fermo tutto questo tempo, non si è arreso, nè si è fatto convincere dall’idea che la stagione del “progressismo latinoamericano” fosse ormai sconfitta. Con le mobilitazioni sociali di questi anni e la sua massiccia partecipazione alle primarie, la parte migliore della società argentina ha segnalato un cammino. E’ un passo avanti che motiva ed aiuta il resto della sinistra, i movimenti sociali, i nazionalisti progressisti e i cattolici rivoluzionari. Una notizia che rinfresca anche noi, in questa bollente estate italiana.