Colombia, speranze di pace a San Vicente del Caguàn

Viaggio nei territori controllati dai guerriglieri delle Farc

 di Marco Consolo – Liberazione 8-7-2001

S. Vicente del Caguàn – nostro servizio

La pioggia battente si alterna a sprazzi di sole che illuminano le montagne coperte di selva tropicale. Una nebbia fine avvolge i pascoli rubati ai boschi. Sulla strada fangosa e sconnessa che porta all’accampamento guerrigliero, i cartelli delle Farc

raccomandano di «non tagliare i boschi», di «non contaminare l’acqua», di  proteggere la natura».

Pochi giorni fa, per l’ennesima volta, la guerriglia ha fatto deragliare un treno che trasportava carbone, contro lo sfruttamento delle multinazionali dell’energia. Nella zona smilitarizzata ed in quelle sotto controllo, le Farc hanno imposto restrizioni alla pesca nei fiumi, permessa solo per  l’autoconsumo locale. E’ parte del “governo guerrigliero di fatto”, nelle loro zone di influenza.

 

Nella jeep le note di un “vallenato rivoluzionario” escono dalla radio che trasmette in Fm la “Voz de la resistencia”, una delle emittenti clandestine sparse per il paese.

 

«Ne raccontano di tutti i colori su questa zona» ci racconta Pedro, un ragazzo di madre brasiliana e padre colombiano nato qui a S. Vicente del Caguàn. «Vivo qui da sempre, ho un pezzo di terra e allevo bestiame». «Pensa che mia nonna che vive in Brasile era terrorizzata all’idea di venirci a trovare. Leggendo i giornali brasiliani pensava di venire all’inferno».

Ma anche quelli colombiani, in prima fila El Tiempo e El Espectador di proprietà dei principali gruppi economici del paese, non scherzano. Sin dall’inizio del processo di pace, nel gennaio 1999, hanno condotto una campagna sistematica contro il negoziato, cercando di screditare la guerriglia e presentando il presidente Pastrana come un utile idiota.

 

La Tv trasmette programmi sulla bontà dei cosiddetti “progetti sociali” del Plan Colombia: le forze armate ed i mercanti di guerra hanno tutto da guadagnare dal conflitto che va avanti da quasi 40 anni.

 

Appena fuori S. Vicente, le Farc hanno aperto un “Ufficio Lamentele e Reclami” che funziona come una sorta di giudice di pace.  Molti vengono dalle altre regioni del paese per cercare di risolvere controversie di tutti i tipi, dagli incidenti d’auto, ai furti di bestiami, dalle liti familiari ai reclami verso la stessa guerriglia. Si è dovuto adottare un orario d’ufficio per contenere il flusso di persone che si rivolgono alle “autorità” per dare soluzioni ai casi che la giustizia ufficiale non affronta.

 

«Prima del controllo delle Farc – ci racconta la signora Esperanza proprietaria di una “finca” di allevamento di bestiame, – qui c’erano almeno 5 morti a settimana. Mio marito è stato “desaparecido” dagli squadroni della morte paramilitari e lo Stato non ha mosso un dito per trovare i colpevoli. Mi sono rivolta alla polizia, all’esercito, al giudice. Non hanno neanche voluto aprire il caso perché dicono che è scappato con un’altra donna. I giornali e la Tv dicono che il “mono Jojoy” (uno dei comandanti guerriglieri) è un mostro. Ma è stato l’unico ad ascoltarmi, l’unico che si è preoccupato di sapere se poteva fare qualcosa per me. Prima anch’io avevo paura della guerriglia. Ci dicevano che ci avrebbero tolto il bestiame, le case, sequestrato i nostri figli per costringerli ad arruolarsi e combattere. Vedi, mio figlio è quello là a cavallo che porta il bestiame al pascolo. E qualche sera i guerriglieri vengono a giocare a biliardo con lui qui a casa».

 

Sono giorni di festa per le celebrazioni di S. Pietro e Paolo e la cattolica Colombia mischia sacro e profano. Insieme alle processioni religiose si eleggono le reginette di bellezza in moltissimi comuni. Anche a S. Vicente i giovani, “tirati a lucido”, ballano “salsa” fino al mattino.

Le guerrigliere (quasi il 40% delle Farc) si mettono il rossetto, si pettinano e si truccano prima di gettarsi nelle danze con il fucile a tracolla.

 

Il giorno dopo, andando via dalla zona smilitarizzata, passiamo 4 posti di blocco dell’esercito. Dopo un paesino che si chiama Venecia (Venezia), arriviamo a Florencia (Firenze) capitale del Dipartimento del Caquetà, per prendere l’aereo che ci riporta a Bogotà. L’aeroporto pullula di militari, di polizia in uniforme mimetica e armamento pesante.

Tra tutti spiccano tre piloti dell’aeronautica, con eleganti tute grigie, cellulare, occhiali da sole a specchio e pistole nuove di zecca che sembrano usciti da un telefilm nordamericano.

Ma sono colombiani e vanno alla base di “Tres esquinas”, con un aereo rimesso a nuovo grazie ai fondi del “Plan Colombia”. E’ una delle basi militari dove i consiglieri militari statunitensi addestrano alla guerra ed al sofisticatissimo controllo satellitare.

 

Multinazionali da una parte, marines dall’altra. Gli elicotteri “Black Hawks”, parte della generosa donazione statunitense del Plan Colombia, in realtà sono stati dati in leasing alle FFAA colombiane. Il cerchio militare attorno alla zona dove si svolge il dialogo tra governo e Farc si stringe sempre più e per nessuno è un mistero l’avversità degli alti comandi militari al processo di pace.

 

In paese le “rancheras” messicane suonano a tutto volume dai locali affollati da contadini scesi a cavallo in paese dalle montagne.

I mercati sono pieni di gente e le bottiglie di “aguardiente” passano di mano in mano.

Due ragazzi si baciano. Sembra davvero un giorno “normale”. Se non fosse per quel lanciagranate ed i mitra israeliani che imbraccia quel gruppo di soldati in piedi in fondo alla sala.

 

Al tavolo vicino, insieme a loro, un uomo legge “il Principe” di Machiavelli.