Cooperazione o affari?

di Sandro Duccini e Marco Consolo.

Dopo una lunga gestazione il governo ha finalmente partorito il disegno di legge sulla “Disciplina dell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo”. Monetarismo, promozione del commercio estero e presenza dei militari sono le caratteristiche che lo percorrono.

La vittoria della coalizione ulivista nel 1996, aveva riacceso la speranza  – degli operatori della Cooperazione internazionale, della solidarietà internazionalista e delle forze politiche più sensibili – di ridare respiro strategico a questo settore. Un settore avvilito da anni di pessima gestione, di scandali, nonché da una progressiva riduzione di disponibilità in termini finanziari (solo 537 miliardi nel 1997, pari allo 0,14% del PIL, quando l’obiettivo fissato dallo stesso OCSE è lo 0,7%) che hanno portato all’attuale paralisi. La proposta presentata in Gennaio dal governo decisamente va in senso contrario rispetto a tali speranze e alle richieste di associazioni e ONG, nonché di forze della sua stessa maggioranza.

Il solo fatto che, rispetto alla legge 49/87 attualmente in vigore, si parli di “aiuti” e non di Cooperazione, la dice lunga sulla fisolofia che sta dietro alla proposta governativa: assistenzialismo in luogo di reciprocità, mutualismo, solidarietà.

CESSIONI DI SOVRANITA’

Si parla di ONU, di UE e di OCSE, ma solo per stabilire che le strategie di “aiuti” del nostro paese saranno una diretta trasposizione di decisioni prese in ambiti internazionali, dove né la società, né il Parlamento hanno voce. Così nelle finalità ci si limita a dire che l’Italia “partecipa” e “contribuisce”, mai “promuove” e “sostiene”, sottolineando in questo modo che in futuro non esisterà una politica bilaterale di cooperazione, autonoma e innovativa del nostro paese. Ciò spiega anche perché nella proposta non sia previsto alcun potere di indirizzo e controllo parlamentare: le nostre scelte saranno un puro adeguamento dei peggiori accordi internazionali, quelli perorati dal FMI e dalla Banca Mondiale, i famigerati Piani di Aggiustamento Strutturale (PAS). Non è un caso che tra le finalità della proposta si indichino, per i Paesi terzi, il supporto alle riforme istituzionali, l’integrazione economica nel mercato internazionale, oppure il controllo ed il governo dei flussi migratori.

La stessa presenza del Ministero Commercio Estero evidenzia una concezione della Cooperazione come ulteriore strumento per i processi di internazionalizzazione del capitale e per la promozione degli “interessi nazionali”.

Nell’art. 1 (Finalità) della legge 49/87 si legge che la “Cooperazione allo sviluppo è parte integrante della politica estera italiana”, con il proposito di contaminare le altre componenti della politica estera italiana; nel disegno governativo la frase citata non è più inserita tra le finalità, bensì nell’articolo 5 (Ministero degli Esteri). In altre parole la Cooperazione sarà uno degli strumenti a disposizione del ministro e dell’apparato amministrativo-burocratico per blandire, pressionare o premiare governi di paesi politicamente deboli in vista di piegarli alle proprie necessità contingenti o strategiche.

COOPERAZIONE CON L’ELMETTO

La proposta di legge governativa viaggia in direzione diametralmente opposta ad un progetto di promozione di pace, di solidarietà, di pacifica convivenza e di rispetto reciproco tra i popoli. Lo evidenzia chiaramente l’articolo 6: “nelle aree di crisi interessate da operazioni militari alle quali prendono parte unità delle Forze Armate italiane sotto l’egida di organismi internazionali, le azioni e gli interventi di cui alla presente legge vengono concordati tra il ministro degli Affari Esteri e il Ministro della Difesa e, ove necessario, tra le due Amministrazioni viene istituito un organismo di pronto intervento all’occorrenza composto anche da rappresentanti di altre Amministrazioni, che coordina sul campo l’impiego delle forze militari e delle organizzazioni civili presenti”.

In questo modo cade il tabù dell’assoluta estraneità della Cooperazione da qualsiasi operazione di carattere militare, anche in ambito internazionale, stabilita dalla legge 49/87.

Questa impostazione traduce in legge il modello sperimentato in Albania, dove, durante l’Operazione Alba, la nostra massima autorità in loco era rappresentata da un militare, il generale Angioni. Possiamo facilmente immaginare da che parte della bilancia penderà l’ago quando si tratterà di decidere se privilegiare gli obiettivi delle strategie militari o quelli della cooperazione o umanitari. Per gli smemorati ricordiamo anche che alcune ONG parteciparono alla gestione congiunta civile-militare, tanto da organizzare sul tema un convegno insieme alla Scuola di Guerra dell’Esercito italiano (vedi G&P, n.42).

Inoltre si parla di operazioni militari sotto l’egida di generici “organismi internazionali”. Mancando uno specifico riferimento alla sola ONU, si lascia immaginare che potrebbe trattarsi della NATO o di alleanze ad hoc.

TESORO E NEO-MONETARISMO

Altro aspetto che colpisce è la pervasività del Ministero del Tesoro, con compiti persino di indirizzo e programmazione, che ha voce in capitolo praticamente su ogni passaggio: cura le relazioni con le Banche ed i Fondi di sviluppo a carattere multilaterale (altro nome del FMI e della Banca Mondiale…) e ne stabilisce la quota e le modalità di partecipazione dell’Italia; cura le modalità di utilizzo dei fondi di “aiuto” per il sostegno al bilancio statale dei PVS (Paesi in Via di Sviluppo), nonché “le modalità di attuazione delle operazioni multilaterali e bilaterali di ristrutturazione, conversione e cancellazione del debito, anche in relazione alle attività della cooperazione italiana allo sviluppo”; definisce le condizioni agevolate di concessione di crediti d’aiuto; stabilisce i criteri e le modalità per il monitoraggio, la valutazione dei programmi e dei progetti finanziati; determina i criteri e le modalità di funzionamento dell’ipotetico sistema informatico di gestione delle attività di cooperazione allo sviluppo; partecipa alla definizione degli indirizzi generali; partecipa alla stesura della relazione annuale del Parlamento.

Come se non bastasse il Tesoro è super rappresentato in ogni organismo istituzionale previsto nel dispositivo di legge. Questa pervasività del Tesoro comporterà un’impronta monetarista e di compatibilità di bilancio (italiano) in ogni attività di Cooperazione. Le conseguenze sono facilmente immaginabili se pensiamo alla posizione del Tesoro sulle questioni sociali in Italia.

COOPERAZIONE DECENTRATA, ONG E ASSOCIAZIONISMO

Il disegno legislativo del governo affronta la questione degli enti territoriali e dei soggetti non governativi italiani di cooperazione individuandone essenzialmente tre: gli Enti Locali (EE..LL.), come soggetto della cooperazione decentrata; le Organizzazioni non governative (ONG); le Organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS).

Per questi tre soggetti non ci si sbilancia con molta letteratura. Per la cooperazione decentrata ci si limita a dire che gli EE.LL. “concorrono all’APS dell’Italia con lo stanziamento di quote del loro bilancio annuale e possono dotarsi di strumenti idonei ad attuare iniziative di APS, (…) preventivamente portate a conoscenza del Ministero degli Affari Esteri”. In questo caso si riconferma parzialmente la legislazione già esistente, che riconosce la possibilità per provincie e comuni di destinare alla cooperazione fino allo 0,8% dei primi tre capitoli di bilancio. Al contrario per quelle attività per cui gli EE.LL. richiedano un cofinanziamento al Ministero degli Affari Esteri, il controllo della Farnesina è totale. Nulla viene ripreso nella legge sulla valenza strategica e le potenzialità che alla cooperazione decentrata attribuisce il dibattito internazionale.

Sul fronte dell’associazionismo di solidarietà una mezza novità, seppur confusa. Viene riconfermata una “specificità” delle ONG e con essa l’idoneità, anche se non se ne parla espressamente. Ad esse vengono affiancate le ONLUS, ma su un piano di disparità. Infatti nel caso delle ONG lo Stato “stimola, favorisce e sostiene le attività in favore dei PVS”, nel caso delle ONLUS “può inoltre sostenere”. Fuori dalla porta rimane il resto dell’associazionismo di solidarietà internazionale. Che senso ha parlare di ONLUS e non, più semplicemente, di associazioni senza fini di lucro?

Infatti, in base alla nuova normativa, entrata in vigore nel gennaio scorso, l’essere ONLUS definisce solo uno status fiscale che un’associazione può scegliere di adottare per accedere a determinati benefici fiscali, ma la stessa normativa dà la possibilità alle associazioni di scegliere lo status fiscale di ONLUS solo nel caso che svolgano le attività elencate nell’art. 10, comma 1: tra queste attività non si fa nessun riferimento né alla Cooperazione, né alla solidarietà internazionale. Si può inoltre continuare ad essere un’associazione senza fini di lucro pur non essendo una ONLUS. La previsione del disegno di legge rappresenta quindi una discriminazione.

Ma, al di là delle incongruenze del testo, ciò che preoccupa è, da un lato la riproposizione di una divisione interna al movimento di solidarietà internazionale – tra ONG/ONLUS e associazionismo in generale e, dall’altro, il permanere di una subalternità oggettiva alle strategie governative a cui dovranno sottostare le ONG/ONLUS.

L’unica vera novità potrebbe essere l’istituzione dell’Agenzia per lo Sviluppo (APS), incaricata della gestione e del coordinamento delle attività. Ma in realtà, i pesanti condizionamenti dei Ministeri degli Affari Esteri e del Tesoro (sia rispetto alla gestione che alla programmazione), non garantiscono quella minima autonomia necessaria a non riprodurre l’intreccio politico-affaristico, le aberrazioni clientelari, l’ingerenza massonica del passato.

PER UNA LEGGE DIVERSA

Questo disegno di legge va completamente cambiato. Compito difficile perché rischia di essere la base di discussione per l’elaborazione del testo definitivo: per questo occorre la mobilitazione di quei soggetti interessati a che la politica (estera o interna che sia) non sia puro appannaggio dell’esecutivo o dei pochi professionisti addetti ai lavori.

In particolare occorre battersi contro la pervasività del Ministero del Tesoro e delle sue politiche monetariste, per la separazione netta della cooperazione dagli interessi politici-diplomatici, militari e commerciali; per la distinzione tra indirizzi, programmazione, gestione e controllo della cooperazione; per l’istituzione di un fondo unico ove far confluire le risorse attualmente sparse nelle diverse voci di bilancio; per l’istituzione di una Commissione parlamentare di controllo e indirizzo; per il superamento del meccanismo capestro dell’idoneità dell’ONG, con l’introduzione dei criteri di ammissibilità del programma; per un rafforzamento della Cooperazione Decentrata; per una partecipazione piena dei migranti, sia individualmente che come associazioni; per il riconoscimento del “Commercio Equo e Solidale”, come embrione di consumo critico che allude e prefigura diversi rapporti economici su scala planetaria.

Ancora una volta la battaglia è nelle nostre mani.

 

Pubblicato su Guerre & Pace (n° 48-49), Aprile/Maggio 1998