Cooperazione sotto inchiesta

Di Marco Consolo 17 febbraio 1995

A BEN TRE ANNI dalla presentazione della prima proposta legislativa al riguardo, è finalmente operativa la Commissione d’inchiesta parlamentare sulla cooperazione allo sviluppo. Ma strane ombre gravano sulla neonata e le aspettative su di essa rischiano di essere drasticamente frustrate. Abbiamo. Assistito dapprima all’atteggiamento diversivo e dilatorio dell’ex maggioranza che ha fatto perdere ben tre mesi dei 10 a disposizione. Poi le estenuanti trattative di maggioranza sulle poltrone dell’ufficio di presidenza, che hanno portato all’elezione dei senatore, Mensorio del Ccd, di Nola, docente universitario, democristiano per tutte le stagioni. Si allungano così le ombre sui lavori della commissione, tanto più che altre voci indicano che tra i suoi componenti vi sarebbero componenti di massoneria e P2.

Non sebra che l’ex maggioranza voglia far luce su “Farnesopoli e dintorni”. Si perde tempo prezioso. A tre mesi dall’inizio dei lavori non è stato ancora definito un programma di audizioni, di missioni all’estero, che non siano gite turistiche, la nomina dei collaboratori, la metodologia procedurale. Se da una parte il carattere “giudiziario” della commissione può mettere a fuoco, alcuni esempi di malacooperazione a 360 gradi (corruzione, malversazioni di fondi, etc.), crediamo però che lo sforzo vada concentrato, più che sulla “notitia criminis” sulla necessità di definire indirizzi politici per gli anni a seguire. Occorre entrare nel merito della tipologia di cooperazione a venire (separare cooperazione e commercio estero, cooperazione e difesa, smetterla, con le grandi opere, priorizzare progetti di sviluppo locale e non di emergenza, sostenibilità ambientale, etc).

Rifondazione fa in appello ai gruppi parlamentari progressisti per costruire, un percorso comune. Ma è altrettanto vitale attivare le strutture della solidarietà internazionale, delle Ong e dell’associazionismo per costruire insieme una possibile proposta di legge di riforma con un ampio processo partecipativo di tutti gli attori della cooperazione. Ciò significa dar voce anche ai «beneficiari locali» della cooperazione italiana nei diversi paesi, così come alle comunità di immigrati presenti in Italia.

Sul versante istituzionale occorre restituire al parlamento il i suo ruolo di indirizzo e controllo delle attività di cooperazione, ruolo ad oggi scippato dai decreti-legge governativi e dai colpi di mano dell’amministrazione del Maaee.

Una delle proposte potrebbe essere la creazione di una “Commissione permanente di vigilanza parlamentare sulla cooperazione”. Una volta definite le linee programmatiche, centrale sarà la definizione propositiva della struttura del ministero degli esteri. Rifondazione ha già espresso in passato proposte i chiare ed articolate.

Fatto salvo il principio della differenziazione del momento negoziale, da quello tecnico e diplomatico, resta aperto il dibattito sull’opportunità di trasferire all’esterno del Maaee la struttura di cooperazione, magari in una non meglio precisata «Fondazione» come ha proposto l’ex ministro Martino in un disegno di legge. Proponiamo che la prima «missione di verifica» della commissione d’inchiesta sia realizzata negli uffici della Farnesina perché ci si renda conto tra l’altro delle condizioni di lavoro, delle carenze di organico, della situazione igienico-sanitaria, e del clima di ricatto che si respira nella Dgcs, il “quartier generale” della cooperazione, condizioni più volte denunciate dagli stessi operatori.

Altresì occorre valorizzare esperienze positive della cooperazione, sia delle organizzazioni non governative che gli stessi interventi governativi, per non gettar via acqua sporca e bambino avallando un’immagine solo negativa che spiani la strada alla “privatizzazione” del settore.