Elezioni cilene: l’ombra del passato

La destra col sorriso ingessato di Sebastian Piñera vince in Cile con il 51,6%. Al palo di ben 4 punti il democristiano Eduardo Frei, candidato della Concertaciòn (48,4%) ed ex-presidente (1994-2000). A nulla sono serviti i voti del candidato della sinistra Jorge Arrate (6,3%), e l’appello timido ed all’ultimo minuto al voto per Frei da parte di Marco Enriquez-Ominami, il giovane candidato che aveva sparigliato il centrosinistra nel primo turno di dicembre con il suo 20%.
Imprenditore multimilionario sessantenne, con un fratello nominato direttore del Banco Central dal governo di centrosinistra, Piñera è un mix tra Sarkozy e Berlusconi (cui non ama essere comparato). Proprietario del canale televisivo Chilevisiòn, con partecipazioni azionarie tra le altre nelle linee aeree Lan, nella squadra di calcio del Colo-Colo, e nel settore della sanità, il neo-presidente incarna la nuova destra cilena, che cerca inutilmente di scrollarsi di dosso l’immagine del regime fascista di Pinochet, («Il Cile ha bisogno di unità»), che senza dimenticare il mercato riscopre lo Stato («Ci vuole uno Stato forte ed efficiente, con molti muscoli e poco grasso») e la sua vocazione “sociale” («Ci sono 600.000 cileni senza lavoro e non possono aspettare»).
Se qualcuno nel governo cileno si era illuso, la legge del pendolo ricorda che in politica non esistono immortali. Si chiude un ciclo con una vittoria storica della destra. Un finale triste per chi ricorda la decade dei ’90, con l’arcobaleno multicolore della Concertaciòn e quel ritornello «Chile la alegría ya viene…» che gioiosamente prefigurava la fine della dittatura. Se la destra cilena festeggia a champagne, quella continentale rafforza un altro caposaldo. Dopo Messico, Panama, il golpismo in Honduras e la Colombia di Uribe, gli Stati Uniti e la destra latinoamericana segnano un buon punto a loro favore.
Il Cile è un boccone ghiotto, economicamente solido con buone prospettive e con una stabile pace sociale che sarà fondamentale per il nuovo presidente. Il Paese sta uscendo faticosamente dalla recessione dovuta alla crisi internazionale. Ed il prezzo in aumento del rame, principale risorsa mineraria, permette di contare su un fondo di 12.000 milioni di dollari creato dal governo Bachelet. In questi venti anni il centrosinistra ha continuato la modernizzazione capitalista iniziata dai “Chicago boys” di Milton Friedman. Infatti, grazie alla dittatura pinochetista, il Cile è stato un laboratorio, precursore delle politiche poi applicate su scala mondiale.
Oggi la Concertaciòn perde la Moneda, il palazzo dove perse la vita il presidente socialista Salvador Allende. Ed un’altra presidentessa socialista perde la sua battaglia: Michelle Bachelet si ritira paradossalmente con il più alto indice di gradimento (82%) nella storia dei presidenti cileni. Una donna molto osteggiata e poco appoggiata dal potere politico della stessa Concertación.
Il Centrosinistra perde per la sua politica moderata; per non aver mantenuto le promesse di cambiamento causando disillusione nell’elettorato; per il logorio del rapporto tra i partiti della coalizione; per le molte lotte interne di potere, il clientelismo e le troppe sedie inamovibili nei 20 anni di governo; per non aver ascoltato le istanze di base che stanche di gridare le hanno voltato le spalle; per aver consegnato molte delle risorse naturali alle multinazionali straniere ed avere represso violentemente le lotte sociali e quelle del popolo mapuche che vi si opponevano.
Sul piano politico non sarà facile governare perché alla destra manca una solida maggioranza parlamentare. Nessuno dei due blocchi ha infatti raggiunto la maggioranza e ci sarà bisogno di negoziati continui con settori “indipendenti” dato l’alto quorum richiesto dalla costituzione ereditata da Pinochet per l’approvazione di molte proposte parlamentari. Al Senato la Concertaciòn mantiene 19 seggi contro i 17 della destra e 2 indipendenti, mentre alla Camera la prima conta su 54 deputati e la destra 58. L’ago della bilancia sarà rappresentato dai 3 seggi comunisti, da 3 ex democristiani che hanno lasciato la Concertaciòn e da 2 indipendenti.
L’architettura istituzionale e la struttura economica ereditata dalla dittatura non sono mai state toccate a fondo. Tuttora le forze armate godono del 10% degli introiti del rame. Il risultato è che oggi il Cile governato dalla destra è armato fino ai denti. Il suo nazionalismo esasperato in funzione antiperuviana e antiboliviana è un pericoloso ostacolo alla pace e ad una possibile integrazione continentale.