Intervento al seminario “Parliamo di pace”

TAMBRE D’ALPAGO (4-5/10/1997)

MARCO CONSOLO

 

Questa relazione vuole offrire alcuni spunti di riflessione ed alcune proposte operative per l’agire del partito sul territorio, oltre che nelle sedi istituzionali. Vorrei insistere sul territorio, dato che ci troviamo sempre più in una situazione che è stata definita felicemente come di “poteri senza luoghi e di luoghi senza poteri”.

DUE PUNTI A FUOCO

Partendo dal documento approvato dalla direzione del PRC sugli esteri che condivido, vorrei mettere a fuoco solo due punti che vengono spesso sottovalutati.

Il primo punto fermo è che la ricchezza, il potere si vanno concentrando. Cresce la quota di prodotto mondiale lordo dei più ricchi e diminuisce quella dei più poveri. I dati ONU sono noti, ma è bene insistere. Il 20% più ricco della popolazione mondiale possiede l’82, 7% del PNL mondiale (nel 1960 era il 70,2%).

Nello stesso tempo il 20% più povero possiede appena l’1,4 del PNL mondiale (nel 1960 il 2,3%). Quindi non solo il divario è gigantesco, ma è anche in aumento.

La centralizzazione si realizza particolarmente nei settori strategici delle biotecnologie. delle telecomunicazioni e del trasporto.

Il secondo elemento su cui richiamo l’attenzione è che ormai la produzione di un Paese, la sua ricchezza, non dipendono più dalle sue imprese, dalla sua tecnologia, dai suoi capitali, dalla sua forza lavoro, ma dipendono da imprese che fanno sempre più parte di reti mondiali finanziarie ed industriali che rispondono ad interessi strategici non più legati a quel Paese. Vi è insomma una dissociazione tra bisogni e merci, tra mercati e società. Non ò cosa da poco, dato che ciò genera processi di instabilità politica in Italia, come in Algeria o nei “Grandi Laghi” in Africa.

L’INGANNO DEL DEBITO E DEL COMMERCIO

Con un brutto termine il Gruppo di Lisbona definisce la contraddizione tra USA, UE e Giappone come “triadizzazione”.  La ” triadizzazione ” allude ad un fenomeno misurabile quantitativamente, per esempio sui dati di alleanze strategiche tra le imprese. Ebbene sulle 4200 alleanze strategiche concluse tra le varie imprese del mondo nel periodo 1980-1989, il 92% sono state concluse tra imprese del Giappone, dell’Europa occidentale e del Nord-America. La stessa evidenza è fornita dai dati sugli investimenti diretti all’estero (IDE): negli ultimi 10 anni quelle tre aree forti hanno investito sempre più tra di loro. Non solo.

Il fenomeno del debito continua ad essere uno dei più importanti modi di finanziamento dei Paesi ricchi. con le risorse di quelli poveri. L’esatto contrario di ciò che si ama credere e raccontare.

Alcune proposte concrete rispetto al debito possono essere quelle di:

a) rilanciare l’ipotesi di annullamento del debito,

b) della sua riconversione in programmi di riconversione ambientale (da subito in Indonesia e nel Sud- Est asiatico).

c) della sua trasformazione in “Fondi di ricostruzione Nazionale” da amministrare congiuntamente da parte dei governi, della società civile, dei creditori internazionali.

Ancora sul debito. Forse non tutti sanno che una parte del credito estero che vanta l’Italia verso i Paesi terzi e stato venduto attraverso la SACE a banche estere, in gran parte svizzere, ma non solo. In altre parole si privatizza la leva di controllo del debito estero di molti Paesi delle periferie, ed in definitiva dei destini di donne e uomini in carne ed ossa. Ebbene i 2.000 miliardi di crediti sono stati venduti a metà del loro prezzo, e questi soldi (ben 1000 miliardi) sono stati incamerati dal Ministero del Tesoro nel più perfetto silenzio stampa.

Anche per quanto riguarda il commercio estero dei Paesi dell’Unione Europea (Gruppo Lisbona) i Paesi della UE hanno registrato attivi commerciali principalmente con i Paesi più vicini, mentre i loro passivi commerciali si sono verificati con quelli più lontani. In altri termini vi è stato un trasferimento di risorse attraverso l’Unione Europea in favore dei partner commerciali più sviluppati (Giappone e USA) o di quei Paesi nei quali le imprese europee stanno sempre più investendo e delocalizzando le loro attività produttive (Cina, Brasile, Taiwan).

Su di un altro piano dobbiamo certamente esaminare più in dettaglio l’azione delle vecchie e nuove strutture regolatrici dell’economia mondiale (FMI, OMC, BM) per individuare come la nostra critica possa agre nelle contraddizioni reali, approfondirle, oltre la stessa denuncia, in modo da prospettare altri scenari.

Oggi la dominazione del nuovo governo mondiale, (l’imperialismo degli anni 2000) passa attraverso 5 monopoli: della tecnologia, del sistema finanziario internazionale, dell’accesso all’uso delle risorse naturali, agli armamenti di distruzione di massa, dei mass media. E` questa la sfida che abbiamo davanti: Coniugare davvero resistenza e progetto, perche è quello il vero collo di bottiglia che abbiamo di fronte. Rafforzare la capacità progettuale e il compito di una forza che vuol essere modernamente comunista ed È: ciò che ci viene richiesto dai nostri interlocutori internazionali.

La mondializzazione comporta tra gli altri la crisi del modello di sviluppo autocentrato nazionalmente quindi: crisi dello stato-nazione, attacco allo stato sociale, nuove esclusioni e povertà nei Centri e nelle Periferie. Gli inclusi delle fasce basse della piramide sociale sono costretti a lavoro precario. bassi salari, flessibilità, alti livelli di sfruttamento.

Nei Centri dell’impero la disoccupazione di massa risulta sempre più una condizione necessaria per poter destrutturare il quadro di garanzie del lavoro salariato conquistate grazie alle lotte: un enorme potere di ricatto che costringe donne e uomini ad un vincolo permanente di nuova dipendenza, Nelle periferie cresce la massa smisurata della miseria, degli esuberi totali, ormai inutili sia come produttori che come consumatori.

Il dato citato della stessa Banca Mondiale parla di un 1.300.000.00 persone verso cui non è prevista nessuna tipo di politica di sostegno. Ma nella loro drammaticità sono purtroppo dati vecchi, del 1995, dati che occorrerebbe aggiornare.

Altro elemento da considerare, importante, è il rischio di concorrenza tra lavoratori dei Centri e Periferie sia sul piano interno che internazionale. Ciò implica una caduta verticale dei diritti e conflitti sociali mascherati (rinascita dei nazionalismi e dei razzismi, integralismo religioso, sfaldamento stato- nazione), l’attuale fase dello sviluppo capitalistico, nella sua novità, cerca di imporre un unico modello socio-economico (neo-liberista) ed un omologazione culturale al modello nord-americano.

ll ruolo centrale dei mass-media, non bisogna nascondersi dietro un dito, è purtroppo sottovalutato dalla sinistra. E’ un terreno su cui siamo chiamati a fare proposte e dare risposte, non solo a lamentarci, per esempio lavorando sull’informazione locale (radio, stampa, etc.).

In questo scenario internazionale qual è la politica estera del nostro governo, ammesso che ve ne sia una ‘? Come risponde il governo italiano alla mondializzazione capitalista?

LA POLITICA ESTERA DEL GOVERNO PRODI

La formazione del governo dell’Ulivo ha fatto sperare a molti che fosse possibile dare al nostro Paese un’altra politica estera di difesa, di pace, di cooperazione. Il governo di centrosinistra si presentava come un governo attento ai valori della società civile, dell’associazionismo.

Ma dobbiamo registrare che, in quanto a politica estera, politica di difesa e di cooperazione allo sviluppo il governo Prodi si è caratterizzato per il più smaccato continuismo. In alcuni casi si è forse spinto più in là, ed in peggio, dei governi precedenti.

1) Si riconferma e rafforza l’adesione alla NATO, vero e proprio esercito a difesa delle fortezze blindate del benessere, si potenziano le basi militari sul territorio italiano (Sigonella ed Aviano) aumentando le servitù militari.

Certo la preoccupazione del governo è quella di accrescere il peso specifico della presenza italiana in sede NATO.

2) Nell’ambito del Mediterraneo, vergognosa è stata la posizione nei confronti del processo medio-orientale, con un’assoluta inacapacità di iniziativa, quando non con l’appoggio di sostanza all’iniziativa israeliana nel caso del trattato commerciale tra UE ed Israele.

Inqualificabile poi l’appoggio politico e le forniture criminali di armi date alla Turchia. vista come un luogo di sfondamenti di mercato verso i Paesi dell`Asia ex-sovietica, in particolare rispetto alle fonti energetiche, ma anche sul commercio di armi. La cosiddetta “contaminazione democratica” sostenuta da Fassino copre il genocidio del popolo curdo e dell’opposizione interna.

Sull’Albania, dopo l’avallo di Dini e Fassino alle elezioni truffa di Berisha del 1996, che hanno contribuito alla rivolta popolare e alla precipitazione della crisi. Anche la cosiddetta missione di pace (a cui ci siamo opposti con forza) nei fatti serviva a tutelare gli interessi ed i profitti dei padroncini italiani.

Nel contempo ci si faceva i muscoli per nuove avventure neo-coloniali

3) rispetto all’Iraq continua l’embargo criminale, il congelamento di fondi e beni iracheni, nonostante una mozione del Senato contraria al genocidio.

Insomma per pesare di più nei consessi internazionali, a cominciare dall’ ONU, passando per la NATO, l’Europa di Maastricht ed il G7, l’Italia aumenta la sua proiezione estrema neo-coloniale, attraverso il rafforzamento del Nuovo Modello di Difesa, con la creazione di un esercito professionale in grado di intervenire a difesa degli “interessi nazionali”. In linea con la tendenza europea, il NMD rappresenta un cardine della strumentazione aggressiva e di offesa verso la ricerca di nuovi mercati nelle periferie del pianeta e di allargamento della propria sfera di influenza. Se sono confermati i dati della finanziaria di quest’anno, lungi dal voler tagliare le spese (come forse il governo Jospin si appresta a fare) il ministro con l’elmetto Andreatta aumenta la quota di bilancio destinata ai nuovi sistemi d’arma o per il loro ammodernamento.

Il caso Somalia e le atrocità dei “nostri ragazzi” della Folgore sono utilizzate per la campagna a favore dell’esercito professionale. Ci si dice che se ci fosse stato un esercito di professionisti, ciò non sarebbe successo il dimenticando che sono le truppe d’elite che si sono macchiate di crimini atroci, con una logica tutta dentro al militarismo da potenza stracciona che l’Italia porta avanti.

Sulla questione dell’obiezione di coscienza il governo ha fatto il possibile perché non si arrivasse alla discussione parlamentare e alla sua approvazione, così come voluto dalla lobby con le stellette e dal picconatore Cossiga.

Sul servizio civile l’apparente apertura, speculare alla creazione dell’esercito professionale, copre la flessibilizzazione e precarizzazione dei rapporti di lavoro, il reclutamento di manodopera sottocosto in settori sensibili allo smantellamento dello stato sociale.

Nel contempo cresce la “militarizzazione” della pubblica amministrazione con le quote sempre maggiori di posti di lavoro riservati ai “volontari di ferma prolungata”.

Sull’immigrazione, dopo la strage di Otranto, l’atteggiamento del governo e risaputo: blocchi navali, espulsioni, stralcio del DIRITTO di voto. Si cavalca la destra per cercare consenso nei settori moderati, quando non apertamente reazionari.

Ancora: la nomina a Segretario Generale del Ministero degli Esteri di Vattani, compromesso fino al collo nella gestione democristiana ed andreottiana della Farnesina, è un’altra ciliegina sulla torta, Anche su questo passaggio i nostri parlamentari hanno dato un’aspra battaglia, purtroppo senza riuscire a spuntarla.

Meno conosciuta invece è la posizione del governo e la sua proposta di legge sulla cooperazione allo sviluppo.

In poche battute direi che è tutta interna al quadro neo-liberista, di sostegno all’azione del Fondo Monetario, di appoggio alle politiche di sfondamento commerciale dell’Italia, di sostanziale copertura delle cosiddette missioni “umanitarie di pace” realizzate dai militari.
Si riaffermano cioè le due commistioni principali della cooperazione “allo sviluppo” che abbiamo denunciato con forza: quella con la politica commerciale e quella con le politiche di difesa/offesa. Si ristabilisce il controllo ferreo della casta dei diplomatici sugli indirizzi, le priorità, le azioni nei Paesi terzi. La cooperazione torna ad essere come prima della riforma dell’87, uno “strumento” di politica estera, totalmente subalterno al dio-mercato, al dio della guerra ed ai santi del paradiso-Farnesina.

Anche in questo caso siamo distanti anni luce da una volontà di cambiamento reale e da un taglio netto con il passato. La cooperazione rischia di continuare ad essere un meccanismo di drenaggio dai poveri dei Paesi ricchi verso i ricchi dei Paesi poveri.

QUALI LOTTE , QUALI INIZIATIVE?

Fino a poco tempo fa, la sostanziale incapacità della sinistra a livello mondiale di contrastare questo processo ha determinato così la modalità concreta con cui gli strati popolari si difendono (o si illudono di difendersi) dai fenomeni della globalizzazione con la riscoperta di identità arcaiche e regressive. E’ stato detto più volte, ma voglio riaffermarlo. Anche l’estendersi dell’Islam nella forma specifica dell’integralismo, l’estendersi del razzismo e del localismo egoista tra i proletari dei paesi sviluppati ha quindi questa genesi moderna.

E’ proprio la modernizzazione capitalista attuata nella forma sopra descritta a generare una risposta  difensiva e reazionaria. In altri termini è la modernizzazione capitalistica ad indurre una risposta premoderna e reazionaria (in assenza di una ipotesi anticapitalistica di sinistra) di un suo sviluppo modernamente comunista.

Fino ad oggi le risposte sono state insufficienti,  ma da qualche anno mi sembra ci siano i sintomi di una ripresa dei movimenti sociali sia verso gli effetti delle politiche neo-liberiste (Chiapas, marcia per il lavoro di Amsterdam, Venezia, elezioni in Francia, ma anche in Gran Bretagna, la stessa manifestazione sindacale del 20 nonostante le sue contraddizioni) sia contro il modello di accumulazione flessibile (Corea del Sud, Renault di Vilvoord, Fiat di Cordova in Argentina, UPS).

Anche se queste lotte sono frammentate e deboli sono il sintomo della possibilità di saldare resistenza e progetto. Ma per superare la frammentazione e dare efficacia al progetto e necessario che:

* le lotte ed i soggetti che le esprimono siano ricomposti sia nel territorio ai diversi livelli (locale, nazionale, europeo, internazionale), sia come obiettivi per riterritorializzare il più possibile i momenti decisionali.

* Vanno saldate le lotte contro l’esclusione ed il disagio sociale qui e nelle periferie, cosi come quelle tra gli inclusi precari.

* occorre riunificare inoltre esclusi ed inclusi precarizzati dal modello di accumulazione flessibile.

E’ in questo quadro che diventa importante la cooperazione decentrata, che non può e non deve essere pensata come mera articolazione o terminale di quella governativa, né tantomeno come riproposizione a livello locale di quest’ultima. Al contrario SE IL CAPITALE SI MONDIALIZZA, NOI DOBBIAMO LAVORARE ALLA MONDIALIZZAZIONE DELL’ANTAGONISMO SOCIALE E DELL’ALTERNATIVA.

Dando rinnovato vigore alla battaglia per l’affermazione dei sociali. Non solo quindi i politici, di espressione, di rappresentanza, di rispetto delle minoranze, etc. Ma anche il diritto al lavoro, ad un salario degno, alla sanità, all’assistenza, alla casa, al’educazione, etc. e non ultimi alla comunicazione, ed alla libera circolazione delle persone.

Come dicevamo, oggi non è più credibile difendere i diritti dei lavoratori e degli esclusi sul piano puramente locale o nazionale. Il movimento operaio, ma anche nella società dal basso, occorre organizzarsi internazionalmente come è stato fatto in occasione di Amsterdam, della Renault, dell’UPS.

Saper prospettare alternative alle delocalizzazioni, rispettando la giusta aspirazione al lavoro, evitando che questi processi creino conflitti e concorrenza tra lavoratori.

LA CRISI DELLO STATO E DEL PATTO SOCIALE

Dalla stessa crisi dello stato sociale dobbiamo imparare che un nuovo patto sociale, in questo caso un patto tra gli esclusi dei Centri e delle Periferie del pianeta, deve essere riscritto a partire dalla concreta capacità di iniziativa, di controllo delle popolazioni stesse, a partire dai luoghi dove la coscienza si forma, da un dialogo tra i livelli di aggregazione locale. Abbandonare seccamente qualsiasi moralismo elemosinante o assistenzialista, o solidarista, per ricercare, a partire da una contestazione del modello di sviluppo capitalistico, una saldatura tra sfruttati delle periferie ed il proletariato e gli esclusi dei Centri.

Il nostro compito è quello di ricostruire un blocco sociale anticapitalistico, un nuovo blocco storico che, per forza di cose, deve avere una dimensione internazionale. Penso certo all’Europa, ma anche al resto del mondo. È questo che abbiamo iniziato a fare con gli zapatisti, questo è il terreno su cui confrontarci non su base ideologica, ma ricercando obiettivi comuni, unificanti.

Più di un secolo di storia ci insegna che lo sviluppo del capitalismo non produce quasi automaticamente il suo becchino. Per questo occorre rafforzare le articolazioni e costruire un soggetto rivoluzionario che vada al di là delle frontiere. Ma il soggetto rivoluzionario non verrà prodotto già bello e confezionato dallo sviluppo del capitale, né nei Centri dell’impero, né nelle sue Periferie. H soggetto rivoluzionario è la difficile costruzione di un raccordo processuale tra le lotte dentro il mercato, con le lotte contro l’estensione del mercato.

Un soggetto della trasformazione e dell’alternativa che sappia cioè sviluppare comunità, produrre autogestione sociale e trasformazione. Una sfida di tutto rispetto, e incrocia tre elementi differenti, ma contigui: il partito, il conflitto, il soggetto della trasformazione.

È in questo senso che va reimpostato il rapporto non solo tra centri e periferie, ma anche all’interno dei Paesi sviluppati. Anche qui è necessario sviluppare una lotta contro l’estensione del mercato, la mercificazione dell’ambiente, dei rapporti e della vita quotidiana (basti pensare all’invasione da parte del mercato dei settori prima coperti dallo stato sociale) con le lotte generate dal conflitto di classe.

Occorre sviluppare una cooperazione tra popoli, contro il pensiero unico del mercato, che sappia svincolarsi dall’abbraccio mortale degli interventi militari da un lato e dalla promozione del commercio estero dall’altro. La cooperazione internazionale, o allo sviluppo, non può essere il settore ad alta motivazione etica che apre la strada alla commercializzazione del made in Italy, il volto umano di un nuovo colonialismo. È una scelta che compiamo con decisione e non si tratta di un nodo di poco conto.

Si tratta di decidere se la cooperazione internazionale e un momento di contestazione dell’ordine esistente o diventa invece una copertura per l’estendersi del meccanismo di dominio.

Puntiamo ad una cooperazione decentrata, nel territorio, legata alle comunità ed agli enti locali, che si sviluppi in forma bilaterale, che faccia incontrare le persone in carne ed ossa, che generi conoscenze e presa di coscienza. Puntiamo ad un modello di cooperazione tra “comunità”, di solidarietà reciproca, di mutualità, direttamente controllabile da parte dei soggetti che la esercitano e che ne sono i beneficiari. E’ anche per questo che siamo contro la visione centralizzata e centralistica della cooperazione che ha il governo. Ma ciò implica un salto di qualità dell’associazionismo, per superare la frammentazione, la subalternità verso “un governo amico” ed il ricatto dell’ascesa delle destre. Anche l’associazionismo deve cimentarsi sul progetto, nel territorio ricostruendo tessitura sociale a partire dagli interessi concreti di donne e uomini in carne ed ossa.

E qui il nostro partito ha un ruolo enorme da giocare. Un partito che riesce a dialogare con l’esterno, a fare le proprie proposte e a recepire senza autoreferenzialità le proposte dall’esterno. Un partito che si trasformi davvero in intellettuale collettivo in grado di esercitare egemonia (in senso gramsciano).

Attenzione! Guai a trasformare l’associazionismo in cinghia di trasmissione, guai a ripetere errori del passato. Le/i nostre/i compagne/i nell’associazionismo hanno un ruolo enorme, così come i nostri eletti negli EE.LL. Costruire vertenze territoriali, costruire soggetto della trasformazione nella comunità.

A volo d’uccello voglio anche ricordare che, crisi permettendo, in Parlamento andrà in discussione la legge quadro sul’associazionismo, e quella sulle ONLUS e sul cosiddetto Terzo Settore , che non è altro da ciò di cui stiamo discutendo oggi. Su questi due grandi battaglie, il Dipartimento Stato sociale convoca un’assemblea su per la mattina del 25 Ott. c/o Direzione, prima della manifestazione nazionale a difesa dello stato sociale.

LE NOSTRE PROPOSTE

Credo che in termini generali la proposta dell’operare in modo integrato, con soggetti attivi nei Centri e nelle Periferie, qualcosa di più del cosiddetto partneriato proposto dal Consiglio d’Europa.

Un’ipotesi che maschera la volontà di non toccare i diritti di proprietà e la divisione internazionale del lavoro, non toccare le gerarchie dei consumi e i modelli di cosiddetto sviluppo, ma casomai estenderli.

Al contrario, tra i vari Paesi, occorre individuare insieme, in un area determinata (per esempio il Mediterraneo) la bussola comune di riferimento, progetti da sostenere unitariamente e i sistemi a rete da creare. Definendo priorità e ambiti, ma anche indagando su quali possano essere i soggetti, le istituzioni o le nuove istituzioni e quali i criteri di complementarietà degli investimenti necessari. Insomma credo che in via prioritaria gli sforzi debbano essere concentrati nella formulazione di progetti di co-sviluppo regionale facendo perno sui potenziali presenti di ricerca, risorse umane, e qualità territoriale.

E’ strategico sottrarre la difesa della biodiversità all’espropriazione messa in atto dalle imprese transnazionali. Sono le richieste dei Paesi poveri nel 1992 a Rio, contenute tra l’altro nell’intervento di Fidel Castro.

Riconvertire e reimpostare le economie nei settori dell’agricoltura e dell’indust1ia qui, come nelle Periferie del pianeta. Indicazioni di questo tipo corrispondono a quelle delineate nei rapporti sull’area mediterranea coordinati dall’Università di Roskilde. Sono due primari: lo sviluppo di un sistema produttivo modemo con capacità competitive sui mercati mondiali e, nel contempo, capace di soddisfare i bisogni essenziali del proprio mercato interno a livello di regione o area.

Sempre a livello generale occorre realizzare campagne per:

* la tassazione sulla circolazione di capitali (Tobin tax o altro da identificare) per reperire risorse da reinvestire in progetti di sviluppo mutuo e autocentrato o di sviluppo umano

* applicare la clausola sociale alle merci e servizi circolanti

* lottare per la riforma democratica degli organismi internazionali, cosi come dare effettivo potere al Parlamento europeo.

La solidarietà internazionalista e la cooperazione allo sviluppo devono quindi trasformarsi in un progetto autonomo di ricomposizione di classe e riunificazione degli interessi dei  processi di mondializzazione del capitale industriale e finanziario. E’ in questo senso che intendiamo la cooperazione internazionale come parte del nuovo internazionalismo, soggetto attivo contro la nuova bomba E (come economia).

Una solidarietà ed una cooperazione cosi concepita può rappresentare un primo momento di sperimentazione di ipotesi di difesa o costruzione dello stato sociale su scala globale, come fondo atto alla redistribuzione della ricchezza nella cui gestione non compaia più la suddivisione tra cosiddetti “donatori” e “beneficiari”.

Ma per far ciò dobbiamo assumere il cosiddetto Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) come terreno di scontro tra interessi contrapposti, (quelli rappresentati dalla società organizzata e quelli di chi ne gestisce le risorse e ne determina le politiche) come di chi vuole ridurla a puro sostegno dell’impresa made in Italy.

Nello specifico delle proposte:

* Occorre sviluppare in tutta la sua ampiezza la battaglia sulla legge nazionale di riforma della cooperazione allo sviluppo contrastando il disegno neo-liberista del governo Prodi.

* A livello regionale sviluppare la battaglia sulle leggi regionali come strumento di vera e propria iniziativa a partire dall’inchiesta di massa che ci permetta di entrare in relazione o di rafforzare i nostri legami con l’associazionismo di solidarietà a partire da un confronto serrato sui contenuti e dalla costruzione di iniziative comuni.

* trasformare le botteghe del COMES in luoghi di iniziativa sul Consumo critico, sulla Finanza etica aperte al territorio (vedi Trieste) di raccordo con le realtà altre, di difesa dello stato sociale, di formazione di coscienza, etc.

* Costruire una legge nazionale sul Commercio Equo e Solidale con la stessa metodologia partecipativa, attivando le risorse e le intelligenze dei settori interessati.

* Sostenere le campagne di boicottaggio delle imprese che calpestano diritti sindacali, dei minori, etc. (Nike, Nestlè, …).

* Costruire e rafforzare a livello locale le aggregazioni dell’associazionismo presente (Forum, Consulte per la cooperazione decentrata, osservatori”.) trasformandoli in soggetti reali in grado di agire sul territorio (Milano, TS, ME).

* costruire vertenze nei confronti degli EE.LL. sull’utilizzo degli spazi (vedi dismissioni demanio militare, utilizzo strutture pubbliche, risorse per la cooperazione in base alla 68/93 ma non solo (penso in parte al lavoro fatto in Liguria da Zunino).

* realizzare un coordinamento dei nostri eletti negli EE.LL sensibili ai temi della pace, solidarietà, cooperazione. Non solo aderire ai vari coordinamenti (EELL. per la pace, etc.)

* In sede europea lavorare per un confronto immediato nel GUE e con i singoli partiti sulla politica di cooperazione allo sviluppo della UE, sulla revisione dell’importante accordo di Lomè, sulla definizione di una politica comune della sinistra su questo terreno (Spagna).

Ma tutto questo non è possibile se non costruiamo o rafforziamo nelle federazioni del PRC vere Commissioni sui problemi internazionali, aperti ai contributi dell’associazionismo di solidarietà, delle comunità di immigrati, dove le tematiche della pace, della cooperazione internazionale, dell’immigrazione non solo abbiano lo spazio necessario, ma siano bussola di riferimento nella nostra politica estera.