La Bolivia tra conflitti e speranze

E’ appena terminato un anno difficile per la Bolivia, uno dei più difficili della sua storia, da quel 1825 in cui ne venne proclamata ufficialmente l’indipendenza. Il Paese andino, uno dei più poveri del subcontinente, ha vissuto nel 2008 aspri conflitti, determinati dalla resistenza ad una nuova costituzione da parte delle oligarchie che fino al 2005 avevano detenuto il potere politico ed economico e si è ritrovato sull’orlo di una guerra civile. Fortunatamente l’anno si è chiuso con un rafforzamento del governo del Presidente Morales e con una ripresa del cammino verso l’approvazione definitiva della nuova costituzione.

Della Bolivia si parla poco e spesso in modo superficiale sulla stampa italiana. Vediamo allora di riassumere, innanzitutto, i principali avvenimenti di questo anno terribile.

 Il 2008 si era aperto con la rottura del dialogo tra governo e opposizioni sul tema dell’autonomia dei dipartimenti “ribelli” – quelli della cosiddetta Media Luna – e sul conflitto tra Sucre e La Paz per la capitale. I veri problemi alla base del contendere in realtà erano e sono: da una parte la ripartizione dei proventi delle materie prime ( essenzialmente idrocarburi e gas ) tra governo centrale ed i dipartimenti più ricchi del Paese, intenzionati a mantenere e gestire sul proprio territorio la propria ricchezza, secondo una logica opposta a quella del governo Morales, tesa ad una sua redistribuzione, per favorire le zone meno sviluppate e per sostenere politiche sociali per gli strati più poveri della popolazione; dall’altra le forti divergenze tra la nuova costituzione e gli statuti autonomisti dei dipartimenti rispetto a questioni fondamentali quali la conformazione istituzionale del Paese; i diritti delle popolazioni indigene; la fine dei privilegi e la riforma agraria con la redistribuzione delle terre incolte.

Che su questo conflitto interno pesasse poi la forte ingerenza degli Stati Uniti, lo dimostrò un episodio, sempre nei primi mesi dell’anno, che vale la pena ricordare. Un giovane borsista statunitense rivelò che funzionari dell’Ambasciata USA in Bolivia gli avevano chiesto di informarlo su generalità e spostamenti di cittadini venezuelani e cubani presenti nel Paese, in pratica di agire da agente segreto. La denuncia fu confermata da altri studenti che avevano ricevuto la stessa proposta e l’Ambasciatore Goldberg fu costretto a scusarsi. Tra l’altro, ad alimentare il forte sentimento antiamericano della popolazione boliviana era intervenuta anche la concessione dell’asilo politico a Carlos Sanchez Berzain che, da Ministro della Difesa nel 2003, era stato uno dei principali responsabili del massacro di manifestanti durante la cosiddetta Guerra del Gas.

Il conflitto si era poi sviluppato attorno alla data per lo svolgimento dei referendum di approvazione della nuova costituzione e degli statuti delle autonomie regionali. In una drammatica seduta di fine febbraio, il Congresso aveva fissato la data del 4 maggio, sotto la pressione di una moltitudine di minatori, contadini, studenti universitari, che avevano circondato il Palazzo legislativo, in appoggio al Governo ed al Presidente Morales, temendo colpi di mano delle opposizioni per rinviare l’approvazione della costituzione.

Considerata però la situazione esplosiva determinatasi, di cui l’apertura dei seggi elettorali avrebbe potuto fungere da detonatore, la Corte Nazionale Elettorale, con una decisione condivisa da Evo Morales, decise il rinvio dei referendum, per problemi legali e per non porre a rischio la stabilità democratica del Paese.

Mentre da Morales arrivavano segnali distensivi, come la volontà di dialogo con i prefetti dei dipartimenti indipendentisti e la disponibilità a far partecipare agli incontri osservatori nazionali e stranieri, da parte di Ruben Costas, Prefetto di Santa Cruz e principale esponente dell’opposizione, solo dichiarazioni di non ritorno dalla strada dell’autonomia per il suo come per gli altri dipartimenti autonomisti di Beni, Tarija e Pando.

Tra giugno ed agosto, in un clima di forte tensione alimentato dalle forze separatiste tra cui si segnalava soprattutto il movimento razzista dell’ Union Juvenil di Santa Cruz, si sono svolte due consultazioni elettorali. La proposta autonomista è stata approvata nei dipartimenti antigovernativi, ma con forti percentuali di astensione che, sommate ai voti nulli, in bianco e a quelli contrari, hanno dimostrato la spaccatura a metà tra secessionisti e non, con forti punte di rigetto tra la popolazione rurale. In agosto, poi, i referendum cosiddetti revocatori, per la conferma o meno al potere del Presidente e dei prefetti dipartimentali. Evo Morales veniva confermato con più del 67% dei consensi, con una significativa crescita rispetto al 54% con cui era stato eletto nel 2005, ma anche i prefetti “ribelli” venivano riconfermati, tranne quello di Cochabamba, con percentuali crescenti di consensi nei rispettivi dipartimenti.

Tale esito, nonostante i tentativi di dialogo e conciliazione di Morales che, subito dopo il referendum, aveva invitato le opposizioni a lavorare insieme per la conciliazione e l’unità del Paese e per una Costituzione che tenesse conto delle istanze autonomiste, ha portato in settembre la Bolivia ad un passo dalla guerra civile.

Appoggiate in maniera ormai palese dall’Ambasciatore USA Goldberg – che a seguito di questo veniva dichiarato “persona non gradita” ed invitato a lasciare il Paese -, le forze dell’opposizione davano vita a scontri con polizia ed esercito, occupazioni e saccheggi di edifici pubblici, blocco di aeroporti e molti episodi di razzismo, culminati nell’imboscata ad un gruppo di contadini filo-governativi in cui persero la vita decine di loro. Anche grazie ad un video girato sul posto, è emersa la piena responsabilità del Prefetto di Pando, Leopoldo Fernandez – poi arrestato – che avrebbe pagato e fornito mezzi per il massacro a sicari, addestrati, secondo un’inquietante quanto attendibile notizia, da un mercenario di estrema destra italiano, in Bolivia da molti anni. La partecipazione attiva al massacro di El Porvenir della Prefettura di Pando è stata poi confermata da una Commissione internazionale d’inchiesta.

Di fronte ad una situazione di drammatica instabilità creata dalle forze della conservazione, la memoria non può che correre al settembre di 35 anni prima, al sanguinoso colpo di stato contro Salvador Allende in Cile. Ma la situazione in America latina è ora profondamente cambiata. Se Allende si era ritrovato solo di fronte ai poteri reazionari del suo Paese ed alla decisiva ingerenza statunitense, a Morales è arrivato immediatamente il forte e convinto sostegno dei Capi di Stato dell’UNASUR ( l’organizzazione sopranazionale che riunisce i paesi dell’America del Sud ), riuniti proprio a Santiago.

Con il fallimento del “colpo di stato civile” e la conseguente accettazione del dialogo con il governo da parte dei prefetti, si è ristabilito un clima di relativa normalità che ha finalmente portato alla convocazione del referendum per l’approvazione finale della nuova Costituzione, fissato per il 25 gennaio prossimo.

Al governo Bush non è rimasto, con un provvedimento dal sapore vagamente vendicativo, che escludere la Bolivia dal sistema ATPDEA, cioè dalle facilitazioni doganali per i propri prodotti, riconosciute ai paesi andini che combattono il narco-traffico.

 Pur in un anno così difficile e turbolento, il governo Morales è riuscito a portare avanti il processo di cambio radicale del Paese, ottenendo significativi risultati. La Bolivia non è quel paese allo sbando, governato da un presidente radicale e populista che spesso dipingono i media nazionali ed internazionali.

Per capire il senso dei cambiamenti e degli obiettivi raggiunti, occorre calarsi nell’ideologia e nella filosofia di vita abbracciata dai boliviani, il paradigma del “vivere bene”, non necessariamente meglio, in una società che si basi essenzialmente sulla solidarietà, sulla complementarietà e sull’armonia tra l’uomo e la natura. Questa visione costituisce il riferimento concettuale di tutti i cambi intrapresi: del modello economico, del modello di sviluppo e di quello di società.

Per questo la conquista di cui il Governo va più fiero è la dichiarazione della Bolivia come paese libero dall’analfabetismo, avvenuta lo scorso 20 dicembre e frutto di una grande mobilitazione sociale, del fortissimo impegno del Governo e della solidarietà e aiuto materiale – sia con mezzi finanziari che con risorse umane – di Cuba e Venezuela. Una vittoria dei settori più umili, per lo più indigeni e all’85% donne, che non avevano accesso a quello che dovrebbe essere considerato uno dei diritti umani fondamentali, l’alfabetizzazione.

Altro risultato di notevole importanza per un paese latinoamericano è stato raggiunto nel settore della lotta alla corruzione. Solo nel 2005 la Bolivia si trovava al 179° posto su 180 paesi in una speciale statistica internazionale sui paesi con più corruzione. Ora, nella classifica del 2007, con due anni del nuovo governo, è risalita al 74° posto, guadagnando moltissimo in trasparenza amministrativa, utilizzazione del danaro pubblico e fiducia da parte degli interlocutori internazionali.

 Nelle politiche sociali , a cui il governo Morales ha dedicato la maggiore attenzione, sono stati conseguiti gli obiettivi più significativi. Grazie alla nazionalizzazione – non espropriazione – del settore degli idrocarburi, le entrate per il bilancio statale sono passate da 300 milioni di dollari del 2005 a 2.500 milioni del 2007, potendosi così finanziare una serie di politiche sociali che hanno portato, oltre alla completa alfabetizzazione del Paese, ad una estensione della copertura sanitaria da 1,3 a 15,8 milioni di persone, ad un incremento delle strutture sanitarie da 434 a 966, alla realizzazione di 262.784 operazioni chirurgiche oftalmologiche, rispetto alle 1.713 del 2005, nell’ambito della “operaciòn milagro”, con il contributo del governo cubano. E’ stata poi istituita la “renta dignidad”, una pensione generalizzata per tutte le persone maggiori di 60 anni e, per i più giovani, è stata finanziata la campagna “bono juancito pinto” per la scolarizzazione di tutti i bambini boliviani, dalla prima elementare alla terza media.

Ma anche gli indicatori macroeconomici, tanto cari agli economisti ed ai dirigenti delle istituzioni finanziarie internazionali, mostrano un paese in crescita che raggiunge risultati storici. Per la prima volta, dopo 60 anni, la Bolivia ha ottenuto un avanzo fiscale negli ultimi tre anni; il tasso di crescita nel 2008 ha superato il 6%; le riserve valutarie sono aumentate, rispetto alla media degli ultimi 20 anni, dell’800%, superando i 7.000 milioni di dollari; il debito estero è stato ridotto della metà rispetto alla media degli ultimi anni; sono stati costruiti, in due anni, 257 km. di infrastrutture stradali, rispetto ai 113 km. costruiti negli ultimi 40 anni prima del 2005!

 

Rimangono ancora tanti problemi da affrontare, tra cui forse il più importante è quello della riforma agraria. Il latifondismo è ancora oggi uno dei mali endemici dell’economia e della società boliviana, come di quella di quasi tutti i paesi latinoamericani. Un manipolo di famiglie detiene la maggior parte delle terre coltivabili, con estensioni che arrivano anche ai 300 mila ettari, spesso acquisite illegalmente e quasi sempre lasciate incolte ed improduttive. Queste stesse famiglie si oppongono, fino a fomentare la guerra civile, alla nuova politica di Evo Morales, giovandosi del controllo quasi totale dei mezzi di comunicazione ed attuando campagne mediatiche denigratorie e false, come lo spot televisivo “vota no”, in onda nelle ultime settimane ed ora sospeso dalla Corte Nazionale Elettorale, in cui si sosteneva che la nuova costituzione legalizzerebbe la pratica del linciaggio.

Anche se la strada da percorrere è ancora lunga, il 25 gennaio, data del referendum popolare per l’approvazione della nuova Costituzione, sarà certamente una tappa fondamentale della storia contemporanea della Bolivia. Dopo l’affrancamento dalla madre patria, ottenuto con la dichiarazione d’indipendenza del 1825, il 2008 potrebbe essere l’anno della definitiva restituzione della propria dignità e dei propri diritti alle popolazioni indigene boliviane.

In ogni caso, la Bolivia di Evo Morales sta dimostrando che il “socialismo del XXI secolo” non è solo uno slogan.