La fabbrica del debito

Di Marco Consolo – Dipartimento esteri Rifondazione Comunista

Finito il circo mediatico di Sanremo, i problemi drammatici del debito estero rimangono aperti. ll destino di milioni di persone dei paesi poveri diventa un gioco per il frullatore mediatico, magari per ripulirsi la faccia dopo la guerra nei Balcani. Presentato a Natale, il Disegno di Legge del governo non affronta i nodi veri del problema ed annunzia “senza oneri aggiuntivi a carico dello State” la riduzione di 3000 miliardi di debito di paesi poveri con meno di 300 dollari di reddito procapite annuale. Una cifra che comprende sia crediti d’aiuto (quelli erogati nell’ambito della cooperazione allo sviluppo] da sempre fonte di polemiche per il forte legame con la fornitura di beni italiani, sia i crediti commerciali (derivanti da operazioni di esportazione delle imprese italiane), Ma il sospetto fondato è che si ripuliscano i bilanci di Mediocredito e Sace da operazioni quanto meno “dubbie”.

Un ufo chiamato Sace

Al di là degli esperti delle grandi imprese italiane, sono pochi a conoscere la Sace (Sezione Speciale per l’assicurazione Crediti all’esportazione). Nata nel 1977 con la Legge “Ossola”, per più di vent’anni è una costola dell’INA. Diventa Ente Pubblico nel 1999, in seguito alla riforma dell’intero comparto del Commercio con l’Estero varata nel 1998 con decreto del Ministro Fantozzi.

Una vera e propria assicurazione, il cui obiettivo istituzionale è garantire da tutti i rischi le imprese italiane che decidono di esportare merci o di eseguire grandi lavori nei paesi terzi.

Con la riforma del 1998, e la necessità di rendere più “flessibili” gli interventi, i rischi assicurabili sono stati “delegificati” e la loro definizione è stata demandata al CIPE, Il risultato è che oggi le grandi imprese possono assicurare praticamente tutti i rischi. Ed è così che, nel caso si verifichi uno dei “sinistri” coperti, l’imprenditore chiede il pagamento dell’indennizzo corrispondente al totale assicurato (fino al 95% della fornitura) da parte della Sace, che diventa così titolare del credito nei confronti del paese inadempienti Come per miracolo, quindi, i rischi di un’attività privata, diventano pubblici, ed i profitti rimangono privati.

Rischi pubblici per profitti privati

Dopo ZU anni di attività la Sace ha accumulato la bellezza di 52.670 miliardi di esposizione. Badate bene, si tratta solo di capitale, non certo degli interessi di cui nessuno conosce l’entità, Del totale dell’esposizione, ben 21.200 miliardi sono stati già indennizzati alle imprese, per il 99% legati a rischi “politici”: il 40% delle polizze sottoscritte. Ci si aspetterebbe, come per qualsiasi assicurazione privata, almeno l’all0ntanamento dei suoi dirigenti. Se da ingenui potreste obiettare che, come in una assicurazione che si rispetti, almeno i premi assicurativi possono bilanciare i rischi, sappiate che questi non superano il 3% delle operazioni garantite e, grazie alle ultime disposizioni, essi possono essere addirittura inclusi nella copertura richiesta.

La ciliegina della nuova normativa stabilisce inoltre che, al di sotto dei 5 miliardi, sarà il singolo dirigente a decidere per “snellire” tempi e procedure. E se l’obiezione classica è che il “made in Italy” (composto per la maggior parte dalle piccole e medie imprese) vada sostenuto nel mercato globale, la realtà è che il 60% degli assistiti sono grandi imprese, il 96% delle garanzie è stato a favore di imprese del Nord Italia, [solo lo 0,1% al Sud), l’86% alla sola Lombardia. Nessuna valutazione di impatto socio-occupazionale, sia in Italia che all’estero, dove una volta spostati gli impianti, le imprese pagano salari da fame, non rispettano i diritti sindacali. Sul versante ambientale non esistono linee guida da rispettare e la copertura assicurativa viene decisa in base a valutazioni di impatto redatte dalle stesse imprese. Un caso per tutti: la diga Ilisu, che sommergerà una grossa fetta del Kurdistan turco, a cui partecipa l’Italiana Impregilo. Un progetto di cui la Sace assicura l’8%, e da cui si è ritirata la stessa Banca Mondiale nel lontano 1984, in quanto viola politiche ambientali e sociali. Le uniche informazioni disponibili sono le dimensioni e le origini geografiche dei clienti Sace, mentre nomi e quantità sono coperti da segreto. Siamo però venuti a sapere che tra i clienti compaiono Impregilo, Fiat, Vianini, Salini, SEC, Astaldi, Artemisia, Augusta, Aermacchi, etc. A costoro la Sace ha dato finanziamenti abbondanti. Si valuta che per indennizzi per sinistri, abbia erogato dal 1977 una media di Z500 miliardi all’anno. Negli anni d’oro è stata una delle casseforti del CAF (Craxi-Andreotti-Forlani). Purtroppo, le poche inchieste della magistratura hanno solo sfiorato i veri nodi del problema. Una totale assenza di trasparenza, anche grazie al fatto che la nuova normativa non prevede alcun controllo parlamentare. Alle numerose interrogazioni parlamentari, la Sace ha sempre risposto in maniera vaga ed ambigua, vista “la necessità di tutelare la privacy delle imprese” beneficiarie. Peccato che, trattandosi di un Ente Pubblico (finanziato con i soldi dei contribuenti), la Sace sia sottoposta alla legge sulla trasparenza amministrativa [241/90), cosi come affermato dal Consiglio di Stato [delibera 1137/98] e dal Garante della Privacy (1997). Debito e crediti commerciali

La mancanza di trasparenza è ancora più grave se si tiene conto dei disastri di vario genere che lo “sviluppo” provoca nei paesi dove operano le imprese, sia dal punto di vista dei progetti (non sempre realizzati), che da quello del debito estero. A livello globale, infatti, le Agenzie di Credito all’Esportazione dei vari Paesi ricchi hanno nelle loro mani il 24% del debito estero totale dei paesi poveri, che in alcuni paesi (Lesotho, Algeria, etc) arriva fino al 50%. Tra il 1990 ed il 1995 i crediti commerciali sono aumentati dell’11% annuo. Quote di debito (1400 miliardi) sono state già vendute sul mercato secondario dall’allora ministro Ciampi (come denunciammo con forza insieme ai missionari] e sembra siano oggetto di una prossima operazione di “titolarizzazione” per altri 4000 miliardi. Il debito, si sa, fa cassa.

Commercio, non aiuto?

La tendenza è nota: il famoso slogan “trade not aid” (commercio, non aiuto), tradotto in italiano significa che diminuiscono i fondi della cooperazione a scapito degli lDE (Investimenti diretti esteri) e della promozione aggressiva delle esportazioni dei paesi ricchi.

E la ricca Italia fa la sua parte. Durante il governo D’Alema la cassa della Cooperazione internazionale è stata già ampiamente svuotata. Nello scorso luglio, si è sottratto 210 miliardi al magro bilancio della cooperazione spostandoli alla SIMEST Spa per la promozione di imprese miste all’estero.

Con lo stesso decreto estivo, il governo ha destinato gli ennesimi 150 miliardi alla Banca Mondiale per l’iniziativa HIPC (Paesi poveri Altamente Indebitati). Un’iniziativa per la riduzione (non certo cancellazione) del debito di alcuni paesi, fortemente restrittiva, subordinata all’attuazione dei famigerati Piani di Aggiustamento Strutturale (PAS) e contestata sia da molti dei paesi “beneficiati”, che da alti funzionari della stessa Banca Mondiale e che, dulcis in fundo, riappare dal cappello del recente Disegno di Legge governativo sul debito. Nel febbraio di questo anno, in aperta violazione della legge sulla cooperazione, il governo propone di sottrarre altri 120 miliardi dalla cooperazione per la copertura di missioni militari all’estero (Albania, Macedonia, etc.). Dopo una serrata battaglia parlamentare, le cifre si sono ridotte a 20 miliardi, ma la sostanza non cambia. Anche sul versante bellico non si scherza. Dopo la guerra contro la ex-Jugoslavia, il settore militare deve recuperare competitività anche attraverso la SACE.

Ed ecco che, visto che non è vietato per legge (come in altri paesi) la SACE assicura l’export di armi e servizi connessi. E se nel 1999 il plafond era di 600 miliardi (circa 1/3 dell’export totale degli strumenti di morte), per il 2000 ancora non e stato fissato un limite, all’interno di una dotazione totale che, per la Sace, quest’anno sarà di circa 20.000 miliardi. Dopo i grandi affari del “sistema Italia” con l`Indonesia di Suharto, ecco che l’Augusta e pronta a vendere 145 elicotteri alla Turchia, per la pacificazione definitiva del “problema kurdo” con l’appoggio entusiasta di Fassino che sostiene la necessità di “contan1inarla democraticamente” per portarla nell’UE.