Cile: la memoria proibita. Un crimine senza colpevoli ?

di Marco Consolo – da Santiago del Cile.

Liberazione 11 Settembre 2013-

L’11 Settembre 1973 in Cile un golpe fascista interrompeva violentemente l’esperienza dell’Unidad Popular (Up), un governo di sinistra, democraticamente eletto, e guidato dal socialista Salvador Allende dal 1970. II golpe fu organizzato, finanziato e sostenuto dall’amministrazione Usa, dal presidente Richard Nixon e dal suo Segretario di Stato Henry Kissinger. Nel bombardamento del palazzo presidenziale de La Moneda, moriva armi in pugno il “Compañero Presidente” Salvador Allende.
In quella striscia di terra “alla fine del mondo”, iniziarono così i 17 anni di una dittatura civico-militare fatta di massacri e di ferocissima repressione poliziesca. Pochi mesi prima, il 27 Giugno, il golpe in Uruguay era stata l’avvisaglia della decade dei golpe nel continente intero.
Nei 1000 giorni che durò l’esperienza della Unidad Popular, il progetto della via cilena al socialismo (che come sosteneva Allende “sapeva di vino rosso ed empanadas”) aveva punti chiari: innanzitutto la nazionalizzazione dei settori chiave dell’economia. In primo luogo del rame (sancita all’unanimità dal Parlamento cileno nel luglio del 1971), ma anche della siderurgia, cemento e cellulosa, delle banche e le compagnie d’assicurazione, della produzione e distribuzione dell’energia elettrica, dei trasporti. Fu creata un’area sociale della economia e si approfondì la Riforma Agraria, vi furono aumenti salariali dei lavoratori e si congelarono i prezzi di molti beni. Insieme ad una grande campagna di alfabetizzazione, si ampliò l’educazione pubblica e gratuita, abolendo la sovvenzione alle scuole private. La Casa Editrice Quimantù, che faceva capo al Ministero della Cultura, pubblicò 300 titoli con una tiratura di ben 11 milioni di libri. Fu introdotto il divorzio, stimolata la partecipazione delle donne e della popolazione in generale, aumentata la spesa per la protezione dell’infanzia, e lo Stato sociale.
Un programma avanzato, che metteva in pericolo profitti, privilegi ed interessi di classe consolidati che conspirarono ininterrottamente fino al golpe.

Fino alla sua morte, Salvador Allende, el compañero Presidente, si distinse per il suo impegno coerente a favore dei settori dimenticati e marginali della società. Il Presidente aveva realismo politico, una grande capacità di mobilitare, di educare, e soprattutto di unire le diverse ed eterogenee forze che componevano la UP e fu alla testa di un movimiento sociale che gli garantì il governo nel 1970. Il suo obiettivo dichiarato nel discorso di insediamento era la costruzione di un socialismo democratico e rivoluzionario con metodi pacifici. Un socialismo che permettesse ai cileni di ritrovare la dignità perduta. Di certo le forze dell’Unidad Popular fecero diversi errori. E lo stesso Allende fu a tratti ingenuo, in particolare sulla lealtà delle Forze Armate. Quegli errori furono utilizzati dalla destra per giustificare il colpo di Stato (come ossessivamente continuano a sostenere le forze della reazione). Il golpe fu e rimane un crimine contro il popolo cileno. Un crimine ancora senza tanti colpevoli dietro le sbarre. Lo stesso Pinochet morì sostanzialmente indisturbato nel suo letto.

Il golpe
I 1000 giorni del governo della UP furono anche giorni di convulsione sociale crescente, di attentati ed omicidi selettivi (anche nei confronti di esponenti militari “lealisti”), di scarsezza provocata dei beni di prima necessità, di destabilizzazione culminata nella famosa serrata dei “camionisti” e nello sciopero dell’aristocrazia operaia” della miniera di “El Teniente”. Era arrivato il momento di fare il golpe. Un golpe promosso dalle classi proprietarie dell’economia e dalla destra politica (chiesto a gran voce dalla maggioranza della Democrazia Cristiana cilena), dalle multinazionali statunitensi (in prima fila quelle minerarie come Anaconda e Kennecot, oltre alla famosa ITT), dal governo degli Stati Uniti e la Cia.
Alla testa del Golpe si installò una “Giunta militare”, formata da Augusto Pinochet, comandante in capo dell’Esercito (che si dichiarò fedele ad Allende fino al giorno prima), José Toribio Merino, Comandante della Marina, Gustavo Leigh, Generale dell’aviazione, e Cesar Mendoza, Direttore Generale dei Carabineros. Esercito, Marina, Aviazione e Carabineros si divisero i compiti ed il lavoro sporco con un patto di complicità e copertura reciproca, tuttora vigente.
In base alla famigerata “Dottrina della Sicurezza nazionale” statunitense, la Giunta dichiarò da subito la guerra alla popolazione e nelle prime ore del golpe emetteva il Decreto-Legge N°5 del 12/9/73: “Si dichara che lo Stato d’assedio decretato per turbolenze interne deve intendersi come “Stato o Tempo di Guerra” ( virgolettato in originale ndr.)”. Pinochet fu designato presidente della Giunta e da subito si iniziarono ad eliminare le organizzazioni sociali, politiche, sindacali, di settore. Si proibì qualsiasi tipo di elezioni, incluso quelle delle Società sportive.
II 24 Settembre, la Giunta mise fuorilegge il movimento sindacale classista, con un decreto ad hoc il cui primo articolo recita: “Si cancella (sic) la personalità giuridica della Central Unica de Trabajadores (CUT) per essersi trasformata in un organismo di carattere politico, con un’influenza di tendenze foranee ed estranee al sentire nazionale”. La Giunta militare mise fuorilegge una dozzina di partiti politici, che secondo i militari erano “marxisti”, con l’argomento che “la dottrina marxista dello Stato e della lotta di classe è incompatibile con l’unità nazionale”. “Si proibisce qualsiasi atto di propaganda, attraverso le parole, gli scritti o qualsiasi altro mezzo, della dottrina marxista o di altra che concordi con i suoi principi ed obiettivi”. Come sostenne il Generale Leigh, “bisognava estirpare il cancro marxista”. E con il Decreto Legge N°27 del 1973 la Giunta scioglie il Parlamento.

Insieme al bombardamento della Moneda, i militari ordinarono i rastrellamenti di massa nelle poblaciones, nelle fabbriche dei cordones industriales di Santiago e delle altre città. Come i nazisti, scatenarono la caccia all’uomo. La delazione regnava padrona. La spia poteva essere il tuo vicino che brindava per “la fine dell’incubo marxista”. La repressione colpì a tutto campo, con particolare ferocia nei confronti dei militanti sindacali, dei partiti della UP e del Movimento de Izquierda Revolucionaria (Mir) alla sua sinistra. Le poche sacche di resistenza armata furono rapidamente sopraffatte e caddero rapidamente molti dirigenti. Si compiva così la promessa di Nixon, che aveva ordinato a Richard Helms, direttore della Cia di “fare urlare l’economia cilena” fatta all’indomani della vittoria di Allende. II suo fido Kissinger (un altro premio Nobel per la pace da ritirare) fu l’uomo incaricato di organizzare il golpe con l’aiuto della Cia, con i finanziamenti delle grandi corporations nord-americane ed il braccio armato dei militari.
Quelle stesse multinazionali, di cui parlò Allende nel suo discorso all’Onu del 4 dicembre del 1972. Parlò da visionario dell’inizio della globalizzazione neo-liberista, attaccando “….il potere e l’azione nefasta delle multinazionali, i cui bilanci superano di gran lunga quelli di molti Paesi. Vi è una ingerenza negli Stati e nelle loro decisioni fondamentali, (politiche, economiche, e miltari) – da parte di organizzazioni globali che non dipendono da nessuno Stato e che non rispondono, né sono controllati da nessun parlamento, da nessuna istituzione rappresentativa degli interessi collettivi….”. Le conosceva bene, le aveva in casa, ed in silenzio gli stavano preparando il golpe.
Quel giorno in Cile iniziò la dittatura civico-militare durata 17 anni, riconosciuta sia dal Vaticano, che dalla Cina di Mao Tse-tung. La Cina fu uno dei primi Stati a riconoscere il governo di Pinochet, in cambio dell’appoggio continuato dei militari alla politica cinese del riconoscimento di “una sola Cina”.
Secondo il “Secondo Rapporto della Comisiòn Valech” consegnato nell’agosto del 2011, all’attuale Presidente Sebastian Pihera, le vittime dirette della dittatura sono 40.018, di cui più di 3000 morti e desaparecidos, senza considerare i “danni collaterali” e le tragiche sequele. Un prezzo pesante di sangue alla causa della liberazione del popolo cileno.
I militari organizzarono una società dove si bruciavano pubblicamente i libri, dove era proibito possederli ed ancor di più leggerli. La cultura faceva paura. In quei giorni, i giornalisti che lavoravano per la dittatura chiamavano i mass-media per comunicare a che ora e dove si sarebbero bruciati in piazza i libri, le opere d’arte e i manifesti politici. Gioivano i media favorevoli alla dittatura, artefici della campagna di opinione per preparare l’ambiente giusto per il golpe. Unici a poter circolare, i media del regime (con alla testa El Mercurio del golpista Agustin Edwards), si dedicarono con entusiasmo e senza vergogna a coprire e ripetere le menzogne e l’odio della dittatura. Bruciare i libri significava eliminare le parole e la capacità di raccontare quello che stava succedendo. Non avere più linguaggio per analizzare la realtà e poterla raccontare. Mantenere un Paese ignorante, sottomesso e soggiogato era ciò di cui aveva bisogno la dittatura che mise una gravosa tassa sui libri, ancora in vigore.
Così come è ancora in vigore la Costituzione fascista del 1980, promossa dal suo ideologo, Jaime Guzmàn, poi giustiziato dalla resistenza cilena dopo la fine della dittatura. Quella stessa Costituzione che sancisce il ruolo dello Stato come complementario al Mercato.
Sul versante della libertà d’informazione, negli ultimi 20 anni, lo scenario mediatico ereditato dalla dittatura non solo si è consolidato, ma si è addirittura approfondito. La concentrazione della proprietà dei mezzi di comunicazione è un dato di tutte le piattaforme: stampa, Tv, radio. Ed oggi il Cile raggiunge il più alto indice di concentrazione mediatica dell’America Latina.
Sul piano economico, grazie al golpe del 1973, il Cile è stato il primo e principale laboratorio avanzato per l’esperimento neo-liberista della “Scuola di Chicago”, poi esteso al mondo intero. I famigerati “Chicago boys” dello scomparso Milton Friedman (tra cui José Piñera, fratello dell’attuale Presidente) hanno sperimentato la “contro-rivoluzione capitalista” e le sue ricette, poi generalizzate grazie al cosiddetto “reaganismo” ed al “thatcherismo”. Dopo 40 anni, secondo l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse) il Cile è uno dei Paesi dove le diseguaglianze economiche e di opportunità hanno percentuali imbarazzanti. E secondo l’Ocse è il Paese con le più forti diseguaglianze del continente. E’ così che il 20% più ricco concentra il 51,03% del PIL, mentre il più povero rimane solo con il 5,38%. In base all’lndice di Sviluppo Umano (Isu) delle Nazioni Unite, il Paese si trova al 113° posto, tra gli ultimi 15 nel mondo. II cosiddetto “miracolo economico” cileno è infatti basato sui bassi salari, sulla mancanza di diritti sindacali (a cominciare dal diritto di sciopero fortemente limitato) e sull’indebitamento del 70% della popolazione.
Ma l’11 settembre iniziò anche la resistenza alla dittatura che non terminò mai, fino al 1990, con il passaggio dei poteri di Pinochet al discusso democristiano Patricio Alwin. Una transizione negoziata, “truccata” dal patto con i militari di non toccare nulla o molto poco.
Lo scorso 4 Settembre (del 2013 ndr), i giudici della Associazione Nazionale dei Magistrati hanno chiesto ufficialmente perdono per le loro azioni ed omissioni durante la dittatura. Nello stesso giorno migliaia di studenti universitari e dei licei hanno marciato per le strade di Santiago per un’educazione gratuita e di qualità. E’ questa la voce del nuovo Cile che si prepara alle prossime elezioni di Novembre.