LA “COOPERAZIONE ARMATA” SBARCA AD HAITI

Pubblicato su Liberazione (gennaio 2010)
L’escalation militarista degli Stati Uniti in America Latina è sotto gli occhi di tutti. Se erano rimasti dubbi sulla linea di Obama per il continente, con Haiti cade l’ultima foglia di fico. Con grande cinismo e speculando sulla tragedia del popolo haitiano, l’amministrazione del “democratico” Obama ha deciso di inviare sull’isola più di 10mila marines. Si mandano le truppe per determinare il futuro dell’isola e istallare un consistente avamposto m
ilitare nell’area. Hanno preso il controllo dell’aeroporto, dei punti strategici e controllano il flusso degli aiuti. Ad Haiti è saltata l’ultima ipocrisia di un
certo aiuto umanitario, e si dispiega la “cooperazione armata”, la stessa a cui si ispira anche il governo Berlusconi. Mitra in una mano e medicine (poche) nell’altra. E’ l’ultimo passo di una serie iniziata poco prima dell’era Obama, per riprendere militarmente il controllo del “cortile di casa”
sfuggito di mano nell’era Bush, verso una guerra il cui bottino sono le risorse energetiche, l’acqua e la bio-diversità.
Nel 2008 gli Stati Uniti resuscitano la IV flotta, creata nel 1943 per proteggere la navigazione contro i sottomarini nazisti. Inattiva dal 1950, oggi incrocia tra Venezuela e Brasile, vicino ai nuovi giacimenti petroliferi che il Brasile ha appena scoperto al largo delle sue coste. Gli alti gradi militari statunitensi del Comando Sud, spiegano che avrà la responsabilità di vigilare più di trenta Paesi.
La flotta è dotata di una decina di portaerei tipo Nimitz, dispone di 90 aerei da guerra e trasporta ogive atomiche capaci di distruggere quattro volte il pianeta.
A maggio, pochi giorni dopo la vittoria elettorale della destra a Panama, iniziano i negoziati per almeno quattro nuove basi nello strategico Paese del canale interoceanico. Uno schiaffo alla memoria del generale nazionalista Omar Torrijos, che nel 1977 firmò, con l’allora presidente statunitense Jimmy Carter, un trattato per la restituzione del canale ai panamensi a partire dal 2000. Dopo la firma, Torrijos scomparve in un misterioso incidente aereo, secondo molti organizzato dalla Cia.
Nel frattempo, l’Ecuador di Rafael Correa notifica a Washington la chiusura della base statunitense di Manta, in mano alle forze armate Usa e ai mercenari della “Dyn Corp”, uno dei tanti eserciti privati. Dopo dieci anni, Correa ne riprende il controllo, ristabilendo così la sovranità nazionale.
Il 29 giugno 2009, in Centro America il “soft power” di Obama passa alle maniere forti. Gli Stati Uniti coprono ed appoggiano nei fatti il golpe in Honduras, avvenuto dopo il suo ingresso nell’Alleanza Bolivariana per i popoli dell’America (Alba). L’Honduras confina con il Nicaragua sandinista,
anch’esso membro dell’Alba e con El Salvador dove governa l’ex guerriglia del Fmln. Durante gli anni ’80 nelle basi statunitensi in Honduras si addestravano i “contras” nella guerra contro la rivoluzione sandinista. Quelle stesse basi sono ancora saldamente in mani statunitensi. Da quella di Palmerola, durante il recente golpe, è stato espulso dal Paese il presidente legittimo Zelaya.
Poi il “colpo grosso”: proprio nell’anniversario del Bicentenario dell’indipendenza dalla corona spagnola, il Presidente Colombiano Uribe, il più fedele alleato nella regione, annuncia l’istallazione di ben sette nuove basi statunitensi in Colombia. Il pretesto ufficiale (la lotta al narcotraffico e al terrorismo) non convince neanche un bambino. Come dice Fidel Castro, si tratta di sette coltellate al cuore del continente. Dopo l’enorme appoggio bellico attraverso il famigerato “Plan Colombia” approvato dal “democratico” Clinton, le classi dirigenti colombiane si candidano alla destabilizzazione continentale. Da sempre in guerra contro il proprio popolo, iniziano a sperimentare comportamenti aggressivi verso i paesi vicini. Il più clamoroso avviene il primo marzo 2008: in un atto di
pirateria internazionale, l’aviazione colombiana bombarda il territorio ecuadoregno per colpire una colonna guerrigliera delle Farc ed uccidere il loro comandante Raul Reyes.
I paramilitari colombiani si trasformano nei “contras” del XXI secolo, nel braccio armato continentale della reazione e diventano un prodotto da esportazione. Infiltrati in Venezuela, assassinano i dirigenti contadini in zone ricche di petrolio e con mire secessioniste. In Ecuador danno vita a una versione locale degli squadroni della morte, in Honduras fanno la loro comparsa dopo il golpe, mentre in Bolivia sono da un pezzo a fianco del secessionismo delle regioni della “media-luna”.
Nei giorni scorsi caccia da guerra statunitensi hanno sconfinato in Venezuela. Il Presidente Chavez ha accusato gli Stati Uniti e Olanda, dalle cui basi militari nelle Antille erano partiti gli aerei.
L’impero è passato al contrattacco contro i cambiamenti sociali e politici nel continente.